Olbia. Il silenzio della notte è rotto dal fragore dei candelotti di dinamite. Esplodono prima di Natale sotto i ponti della ferrovia. A Terranova è l’ora della rivolta: adesso la battaglia non è più solo parlamentare ma anche popolare. E c’è chi alza il tiro: il piroscafo deve tornare in città e quindi va bene tutto, anche le azioni dimostrative con l’esplosivo. È il culmine di una battaglia durata 40 anni e che alla fine si conclude con la vittoria. È nel gennaio del 1920 che Terranova si riappropria dell’approdo del piroscafo postale. In altre parole, quella che ancora non si chiamava Olbia torna a poter contare su un collegamento quotidiano con Civitavecchia. Gli effetti sono destinati a durare: se la città è andata incontro a una crescita e a uno sviluppo senza precedenti, lo si deve anche a quei giorni là. Insomma, alla miccia che ha innescato lo sviluppo portuale. Una battaglia, quella per il trasferimento dell’approdo da Golfo Aranci a Terranova, che porta con sé volti e nomi. A cominciare da Giacomo Pala, deputato radicale di Luras, e Alessandro Nanni, futuro sindaco socialista e anima dei moti popolari.
Lunga battaglia. Un grande conoscitore di ciò che avvenne a Olbia in quel periodo è Giovanni Forteleoni. Chirurgo in pensione, classe 1946, è di padre lurese e madre olbiese. Suo nonno era il cavaliere Silverio Piro, per alcuni anni podestà di Terranova. Nel 2011, con la collaborazione di Antonio Appeddu e Giulio Careddu, Giovanni Forteleoni ha pubblicato un libro di 500 pagine in cui ha ricostruito, in maniera piuttosto dettagliata, la storia del deputato Giacomo Pala e della battaglia per l’approdo di Terranova. Fu infatti proprio Pala, a cui è dedicata la strada che porta alla stazione, il grande artefice della riconquista del porto. Una lotta che ha come radici gli anni Ottanta dell’Ottocento, quando, durante la realizzazione della ferrovia in Sardegna, si decise di far proseguire i binari fino a quello che sarebbe poi diventato Golfo Aranci, dove venne quindi realizzato l’approdo del piroscafo postale appena scippato a Terranova. Una scelta caldeggiata da alcuni potentati cagliaritani con interessi di tipo imprenditoriale proprio ai piedi di Capo Figari. «La ferrovia si sarebbe dovuta fermare a Terranova – spiega Giovanni Forteleoni –. Con la scusa dell’avanzo di materiale, si arrivò fino a Golfo Aranci, dove venne quindi creato un porto provvisorio. Alla fine l’approdo restò lì 40 anni».
Onorevole Terranova. Per Terranova fu una ingiustizia. Così il deputato Giacomo Pala, poi ribattezzato Onorevole Terranova, diede vita a una lunga battaglia parlamentare e si mise contro gli stessi deputati cagliaritani che difendevano invece l’approdo di Golfo Aranci. Tra le altre cose, Giacomo Pala riuscì addirittura a reperire i giusti finanziamenti per costruire l’attuale porto dell’ Isola Bianca, con la realizzazione di una strada. E questo per migliorare l’accesso delle imbarcazioni nel golfo, considerato che la parte più interna era in buona parte caratterizzata dal basso fondale.
Sconto crediti fiscali
Finanziamenti e contributi
Il comitato. La realizzazione dell’Isola Bianca, però, ancora non bastò. I parlamentari cagliaritani riuscirono in qualche modo a tenere l’approdo ancora lontano da Olbia. E così, dopo la prima guerra mondiale, a Terranova si decise di prendere in mano la situazione una volta per tutte. È il 1919 l’anno della svolta. A Olbia la protesta diventa popolare e unisce un po’ tutti. Ci sono i socialisti, ma anche i commercianti, gli imprenditori e i pochi professionisti dell’epoca. Si arriva così al momento in cui Alessandro Nanni, militante 29enne del partito socialista, nel mese di settembre diventa il presidente di un comitato di agitazione pro Terranova. Con lui, come ricostruito da Giovanni Forteleoni, anche il farmacista Cesare Giorgini, il geometra Arturo Bavarelli, il medico Agostino Amucano, l’insegnante Giovanni Sotgiu, il futuro podestà Stefano Linaldeddu, l’industriale Franco Bergami, il proprietario terriero Giovanni Maria Bardanzellu e l’impiegato comunale Pietro Spano. Questo il loro motto: «Oggi a qualunque costo».
I moti di Terranova. I fatti del 1919 furono un unicum per Olbia. «È stato l’unico caso di moti popolari» sottolinea Giovanni Forteleoni. Dopo anni di richieste e interrogazioni parlamentari da parte di Pala, verso la fine del 1919 la lotta prese un’altra piega. Così la situazione a Terranova – sostenuta nella sua battaglia anche da molti altri Comuni dell’isola tra cui Sassari – si fece presto esplosiva. Il comitato capeggiato da Nanni fece sentire la sua voce a più livelli, fino a Roma. Piazza Regina Margherita, nel frattempo, divenne il cuore della mobilitazione. Si tenne un grande comizio al quale parteciparono anche l’avvocato Antonio Sotgiu, ex sindaco socialista e tre anni più tardi malmenato dai fascisti, e Mario Berlinguer, anche lui avvocato, padre del futuro leader comunista Enrico. E se da una parte la battaglia mostrava un volto duro ma comunque istituzionale, allo stesso tempo qualcuno – mai individuato – passò ad altre maniere. Per esempio facendo esplodere candelotti di dinamite lungo la ferrovia per Golfo Aranci. Il 24 dicembre, la vigilia di Natale, fu il giorno dello sciopero proclamato dalla Lega dei lavoratori. Le attività restarono chiuse e la piazza di Terranova si riempì ancora una volta. E poi fiamme lungo i binari e addirittura un assalto (pacifico) ai treni per Golfo Aranci. Vista la situazione, a Terranova vennero inviati 500 militari con due sezioni di mitragliatrici. I giorni successivi passarono però tranquilli. E questo fino al 29 gennaio 1920, quando il piroscafo, dopo 40 anni, attraccò finalmente a Terranova. La città lo accolse vestita a festa, con tanto di banda musicale, campane, applausi, fiori dai balconi, tricolore italiano e bandiera rossa della Lega dei lavoratori.