L’uomo aveva rovesciato una scrivania e colpito con un pugno il dottore. I giudici: «Intemperanza altamente stigmatizzabile, nessun rispetto per chi si prodiga»
Avviso ai naviganti (violenti) nei (sempre più procellosi) mari dei Pronto Soccorso: alzare le mani su medici e infermieri può costare parecchio caro. Ad esempio 1 anno e 1 mese di reclusione, 18.000 euro di risarcimento danni al dottore picchiato e all’ospedale, e altri 11.000 euro di complessive spese legali: tutto quello, insomma, che si è visto infliggere in via definitiva il 46enne italiano che il 15 settembre 2017 aveva preso a pugni un medico del Pronto Soccorso dell’istituto clinico «Città Studi».
Una condanna, peraltro, non soltanto per l’evidente reato di «lesioni volontarie», ma anche per il meno scontato reato di «interruzione di pubblico servizio», integrato dal fatto che l’aggressione costrinse il sanitario a farsi sostituire da un collega nelle visite dei pazienti e causò così per mezz’ora la paralisi dell’attività del servizio di emergenza.
L’uomo era rientrato dalla Svizzera alla notizia che la madre fosse stata portata in ambulanza al Pronto Soccorso per una grave crisi respiratoria. Qui, secondo tutte le coincidenti testimonianze, aveva iniziato con fare aggressivo a chiedere «che farmaci le avete dato?», e a incalzare il medico che era uscito proprio per spiegargli la serietà della patologia e prepararlo alla gravità della situazione.
Poi, dopo averlo apostrofato «stia attento che la faccio trasferire a Lampedusa», aveva preso a mulinare pugni contro di lui. Schivati i primi, il sanitario si era riparato dietro la propria scrivania, ma il figlio della paziente l’aveva rovesciata scagliandosi contro il medico, strappandogli il camice e centrandolo in particolare con un pugno in faccia costatogli un (per fortuna piccolo) trauma cranico, un grosso ematoma appena sotto l’occhio, e 10 giorni di prognosi. Non contento, di fronte all’arrivo del superiore del medico, aveva quasi aggredito anche lui al grido di «tu sei come un moscerino sul parabrezza della mia Porsche».
Nel processo — dove il medico si è costituito parte civile con l’avvocato Nicola Brigida e l’ospedale con il legale Paolo Veneziani — l’imputato ha provato a minimizzare la dinamica dell’accaduto, per il quale è stato condannato a risarcire 10.000 euro al dottore e 8.000 all’ospedale: «Siamo separati da questa scrivania, lui sostanzialmente si alza, credo per uscire da questa stanza, e io purtroppo lì devo aver perso la pazienza, mi sono alzato anch’io e l’ho, diciamo, incrociato all’uscita di questa scrivania… E c’è stato uno scontro fisico…, nel senso che l’ho colpito, mi sembra di avergli dato un pugno».
Ma soprattutto ha ritenuto nelle udienze di invocare a proprio discarico non soltanto le attenuanti generiche, o quella della «tenuità del fatto», bensì anche l’attenuante della provocazione del «fatto ingiusto altrui» (cioè in questo caso proprio del medico picchiato).
Tutte attenuanti che prima la VI sezione del Tribunale di Milano, poi la II Corte d’Appello e adesso la V sezione di Cassazione hanno respinto additando invece le «ragioni assolutamente evanescenti del perpetrare violenza fisica ai danni di un sanitario di turno all’interno di un Pronto Soccorso: intemperanza davvero altamente stigmatizzabile, che non si ritiene possa essere minimamente emendata o anche solo resa meno rimproverabile dallo stato di apprensione per la parente malata, visto che la sofferenza e l’ansia, che ovviamente connotano il vissuto di ogni soggetto che si trovi al capezzale di un congiunto gravemente malato in un reparto di emergenza, impongono rispetto per le altrui e comuni pene. E ancor maggior rispetto per l’operato di chi, ogni giorno con abnegazione, si prodiga in condizioni notoriamente ostiche in reparti sanitari di massima delicatezza ed urgenza».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link