Pena aggravata per gli illeciti seriali del consulente fiscale

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Il consulente fiscale è responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente.

In queste ipotesi è possibile anche contestare la circostanza aggravante prevista dall’art. 13-bis comma 3 del DLgs. 74/2000, come modificato dal DLgs. 158/2015, che stabilisce l’aumento della pena della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Tale aggravante sviluppa le indicazioni della legge delega 23/2014, la quale prevedeva la revisione delle sanzioni sulla base anche di “criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti”, perché attribuisce specifico rilievo a condotte che si manifestano “attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”, e che, quindi, sono dotate di caratteri di diffusività e sistematicità, e, come tali, connotate da particolare pericolosità (cfr. Cass. n. 23335/2021).

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La giurisprudenza è concorde nel rilevare la necessità di un duplice presupposto, uno soggettivo, concernente la qualifica soggettiva dell’agente, e l’altro oggettivo, riguardante la tipologia della condotta contestata, nonché la necessità della serialità e ripetitività della stessa (cfr., per tutte, Cass. n. 36212/2019 e Cass. n. 1999/2018).

La “serialità” si ritiene possa consistere “nel ricorso a iniziative elusive sistematiche, perché già sperimentate in casi analoghi, e perché comunque riproducibili in futuro a beneficio di altri potenziali evasori”, quale “adesione a un ben preciso modello comportamentale che, in quanto elaborato o applicate da un esperto del settore, denota la maggiore pericolosità del fatto, stante arche la possibilità di replica del sistema di operazioni preordinate all’illecito in favore di una pluralità indifferenziata di altri utenti” (così Cass. n. 36212/2019).

Nel caso portato all’esame della sentenza n. 1220, depositata ieri dalla Corte di Cassazione, un professionista abilitato, iscritto all’albo dei commercialisti, e amministratore unico di una srl, esercente l’attività di consulenza amministrativa, avvalendosi di tale qualifica professionale come consulente di diciotto diverse società, aveva predisposto ripetutamente dal 2012 al 2016 – in concorso con i legali rappresentanti delle ditte clienti – dichiarazioni fiscali utilizzando in compensazione crediti inesistenti (art. 10-quater del DLgs. 74/2000), con un danno complessivo per l’erario di circa 2 milioni di euro.

Il sistema fraudolento era stato organizzato in modo tale da non permettere alcun incrocio tra i dati sia da parte dell’INPS, sia da parte dell’Agenzia delle Entrate, tanto che i sistemi informatici di detti enti non avevano rilevato alcuna anomalia.
In particolare, mancavano le comunicazioni di accesso al credito e non era stato compilato il quadro RU delle dichiarazioni, in tal modo non consentendo ai sistemi informatici di incrociare i dati e rilevare eventuali anomalie.

Il Tribunale di merito aveva in proposito osservato come ciò presupponesse una specifica conoscenza dei sistemi di controllo dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS e una peculiare competenza nell’utilizzo di software applicativi, oltre alla necessità di forzare il sistema di trasmissione telematica imposto dall’utilizzo del codice tributo 6700 (non più in vigore).

Si pone una questione interpretativa per la confisca del profitto

Se, dunque, per la Cassazione non vi è alcun dubbio sul concorso nel reato da parte di tale professionista, si pone invece una questione interpretativa relativamente alla confisca del profitto. Viene, infatti, richiesto dai giudici di legittimità di ricalcolare il profitto confiscabile alla luce del dispositivo che le Sezioni Unite (non ancora motivate e pubblicate) hanno reso all’udienza del 26 settembre scorso: in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito.

Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca.

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