L’intervento delle autorità della concorrenza, sia in Europa che negli Stati Uniti, è risultato in questi anni incapace di frenare e indirizzare l’emergere dei giganti del web. Riconoscendo questi limiti, si è affrontato un processo di riforma che ne aumentasse l’impatto
Ha fatto il giro del mondo la notizia che Elon Musk è intenzionato ad acquistare il ramo di attività di TikTok negli Stati Uniti, sottoposto a un giudizio della Corte suprema, la quale il 19 gennaio potrebbe ordinarne lo spegnimento per i 170 milioni di account americani, suoi clienti.
Le parti smentiscono, come di prammatica, e le voci circolate potrebbero rivelarsi infondate. Ma l’attenzione che ne deriva permette di affrontare un tema di grande rilevanza per l’economia e la società degli Stati Uniti, con riflessi di tipo planetario.
Elon Musk, emerso con prepotenza presso il grande pubblico al di fuori del mondo high tech per il suo appoggio alla campagna presidenziale di Donald Trump, è divenuto uno dei personaggi più influenti e inquietanti nel panorama odierno, per le sue immense ricchezze, la posizione di leadership in molti segmenti, dall’auto elettrica all’aerospazio, alle telecomunicazioni satellitari, all’intelligenza artificiale, e l’attivismo frenetico che lo ha qualificato come il kingmaker ed eminenza non tanto oscura della nuova destra tecnologica.
Mercato in poche mani
La materia delle recenti notizie su TikTok riguarda i progetti di fusione e acquisizione, che rappresentano una delle aree di intervento delle autorità antitrust di tutte le giurisdizioni. Se, alla fine, si prospetterà una acquisizione del gruppo di Elon Musk delle attività americane della cinese TikTok, questa operazione dovrà passare al vaglio delle autorità antimonopolistiche e ottenerne l’approvazione.
I processi di fusione e acquisizione sono stati uno dei principali canali di crescita dei giganti tecnologici, si pensi all’acquisizione da parte di Facebook di Instagram e WhatsApp, o l’acquisizione di YouTube e Waze da parte di Google o quella di LinkedIn da parte di Microsoft, per non parlare dell’acquisizione di moltissime start-up.
L’intervento delle autorità della concorrenza, sia in Europa che negli Stati Uniti, è risultato in questi anni incapace di frenare e indirizzare l’emergere dei giganti del web. Riconoscendo questi limiti, si è affrontato un processo di riforma che ne aumentasse l’impatto.
La Commissione europea alla fine del 2022 ha approvato il Digital Market Act, seguito da altri interventi regolatori sui dati e l’intelligenza artificiale, dotandosi di strumenti incisivi per contrastare le condotte monopoliste e anticompetitive dei grandi gruppi, i gatekeeper, tra cui, oltre ai soliti cinque (Alphabet, Amazon, Meta, Apple e Microsoft), è stata inclusa anche TikTok.
Negli Stati Uniti, dopo la lunga luna di miele tra i big tech e l’amministrazione Obama, l’amministrazione Biden ha intrapreso una politica che si è rivelata più interventista attraverso le due agenzie antitrust di controllo che fanno capo al governo, Department of Justice-Antitrust Division e Federal Trade Commission.
Caccia ai dati
Nei progetti di fusione, un aspetto importante riguarda l’importanza strategica dei preziosissimi dati che i soggetti coinvolti possono mettere a disposizione della nuova entità che si viene a creare. I dati, raccolti attraverso la partecipazione degli utenti ai servizi offerti, permettono una loro profilazione sempre più accurata nelle scelte di acquisto, magnificando gli introiti pubblicitari delle piattaforme.
E questi stessi dati consentono ai colossi delle piattaforme di espandersi dai settori originari a nuove attività. E sono sempre i dati che – convitato di pietra in tutte queste vicende – hanno un valore ben al di là del mondo dell’economia, consentendo di studiare i comportamenti sociali e orientare le campagne elettorali con messaggi mirati ai singoli elettori.
Inoltre le grandi piattaforme digitali, in molti casi, distribuiscono contenuti agli utenti e rappresentano una fonte primaria di informazione nella formazione dell’opinione pubblica. Questa peculiarità, nota già nel mondo analogico dei media tradizionali, è magnificata nel mondo digitale con una pervasività e una capacità di catturare l’attenzione ignote fino a due decenni fa.
Il potere di mercato dei big tech viene quindi a sovrapporsi a un potere più ampio di orientamento dei costumi e dell’opinione pubblica, rompendo gli argini deontologici nel controllo della veridicità delle notizie, la frontiera del fact-checking, recentemente abbandonata da Zuckerberg e aborrita da Musk, in nome di una concezione selvaggia del free speech.
Profilazione degli utenti-cittadini e dilagare delle fake news e degli eco-chamber sono i fenomeni che oggi preoccupano maggiormente sul futuro dei processi democratici. E una delle ragioni del bando di TikTok per gli utenti americani risiede proprio nel timore che i dati raccolti grazie alle scelte degli utenti sui contenuti video diffusi dalla piattaforma, assieme al diluvio di brevi video senza controllo, consentano di raccogliere informazioni preziose e di influenzare le tendenze del pubblico americano da parte della piattaforma cinese e del governo di quel paese.
Proprio questi timori permettono di comprendere le preoccupazioni che una acquisizione, da parte di Musk, delle attività di TikTok negli Stati Uniti fanno sorgere. Non tanto per una teorica possibilità di utilizzare la combinazione della piattaforma X e di TikTok a fini diversi dalla mera ricerca del profitto, ma per l’evidente interesse di Musk a utilizzare le sue piattaforme per influenzare il gioco politico interno e quello internazionale.
Se non possiamo attenderci che l’attivismo antitrust prevalso con l’amministrazione Biden prosegua con l’insediamento di Trump, la ferma posizione dell’antitrust europeo nel contrastare i giganti digitali può rappresentare una linea del fronte cruciale nei prossimi anni. Forse l’unica.
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