La trappola del santone scatta online

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Facebook, TikTok, Twitch. Pure i social possono nascondere dinamiche settarie. Con chat gestite da leader che creano dipendenza emotiva e puniscono ogni critica. E dove spesso la religione fa da esca

Pensavamo che Facebook fosse solo il regno dei gattini, TikTok un gigantesco talent show di ballerini improvvisati, Twitch una sala giochi online per nerd in cerca di gloria. E invece, sotto la superficie di emoji e reaction, possono nascondersi dinamiche settarie virtuali: leader carismatici, messaggi polarizzanti, senso di appartenenza che diventa dipendenza. Ma come può una piattaforma che dovrebbe creare divertimento e condivisione diventare un ecosistema di controllo e sfruttamento emotivo?

 

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Si prenda Twitch. Qui il rapporto tra il creator e la community assume a volte contorni ambigui. Alcuni streamer trasformano le dirette in sermoni digitali e si atteggiano a guide spirituali della Gen Z: dispensano consigli, predicano le loro verità e, nel frattempo, chiedono abbonamenti e donazioni. Più tempo si trascorre dentro a una live, più cresce il bisogno di restare per paura di perdersi qualcosa e il denaro diventa il metro di misura della devozione. Vuoi un saluto personalizzato? Paga. Vuoi un’attenzione speciale dal leader? Paga di più. I sub goal, quegli obiettivi di abbonamento che sembrano innocue iniziative di crowdfunding, nascondono un sistema che premia la fedeltà e punisce l’assenza. Più soldi dai, più vicino ti senti al tuo idolo. Non è raro che vengano istituite punizioni digitali per chi osa criticare il leader: raid contro utenti esterni, ban di dissidenti, blocchi strategici per isolare i ribelli. Il ricatto emotivo si maschera da entertainment e l’algoritmo fa il resto. 

 

Poi c’è il capitolo social e religione. Dove la religione è soltanto il pretesto, mentre il controllo è l’obiettivo. I gruppi a tema religioso, soprattutto su Facebook, sono migliaia. Tanti di questi sicuramente sono innocui, ma molti altri, troppi, si stanno trasformando in altari per nuovi leader carismatici, pronti a plagiare e sfruttare chi cerca conforto. La fede diventa un terreno di conquista, un banchetto digitale per guru che di spirituale hanno solo la capacità di moltiplicare i follower, altro che pani e pesci. Il risultato? Una nuova forma di setta, fluida e ubiqua, dove il controllo psicologico non ha più bisogno di stanze chiuse e cerimonie segrete: basta un Wi-Fi.
 

Lo sa bene Veronica che ha trascorso un anno della sua vita in un calvario e, dopo essere riuscita a liberarsi dalle catene, ha deciso di affidare il suo racconto a L’Espresso, perché possa servire a sensibilizzare. Secondo l’immaginario comune, il suo profilo non avrebbe dovuto renderla una preda facile: una buona posizione lavorativa, che l’ha abituata al contatto con le persone, un’ottima istruzione e un carattere tutt’altro che ingenuo. Eppure, è bastato un momento di fragilità per far scattare il radar dei manipolatori. «Sono molto credente e in un periodo difficile mi sono rifugiata in pagine Facebook a tema religioso – spiega – commentavo con il classico “amen” o lasciavo un like sotto ai post di immagini sacre. Poi un giorno mi hanno contattata in privato, come spesso accade a chi interagisce con queste pagine, invitandomi in una chat su WhatsApp per momenti di preghiera collettiva. Mi hanno accolta con un affetto quasi commovente».
 

A capo del gruppo c’era un leader che si definiva «carismatico», un uomo che si proclamava in possesso di doti spirituali. All’inizio tutto sembrava innocuo: preghiere collettive, messaggi di speranza. Poi la fede è diventata un orologio e la spiritualità un’agenda piena di notifiche. Le giornate erano scandite da videochiamate, tre al giorno, della durata di almeno 3-4 ore ciascuna. In queste sessioni si alternavano preghiere, pseudo-omelie del leader e atteggiamenti controllanti.

 

«Tutto è stato sempre e solo virtuale, non ho mai incontrato nessuno di persona, ma tanto è bastato a intrappolarmi. Il leader chiedeva di coinvolgere i familiari e puniva chi mostrava scetticismo o mancava agli incontri». Chi protestava veniva minacciato con profezie apocalittiche: perdita del lavoro, malattie o addirittura morte dei figli. A volte il capo fingeva visioni, fasi di trance in cui parlava in una lingua presumibilmente inventata e millantava contatti con l’Ultraterreno. L’atmosfera nel gruppo oscillava tra il love bombing (espressioni di affetto e lodi eccessive) e momenti di aggressività.

 

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Ma si è arrivati presto a scoprire quale fosse l’obiettivo finale, il vero grande motore di tutta la storia. Niente a che vedere con il divino in questo caso, ma qualcosa di decisamente più terreno: il denaro. Periodicamente il leader chiedeva contributi economici per viaggi a Međugorje, per aiutare presunti membri in difficoltà o per intercessioni speciali e sessioni di preghiera personalizzate. «Ci diceva che solo lui aveva il potere di intercedere per noi», precisa Veronica. La messa domenicale? Inutile. La preghiera individuale? Superflua. Ogni momento di raccoglimento doveva passare da lui, un pontefice digitale che predicava attraverso una webcam e qualche emoji.

 

Ogni assenza era vista come un tradimento, ogni dubbio diventava un peccato. Chi non partecipava agli incontri veniva richiamato pubblicamente, con brani del Vangelo usati come armi di umiliazione. E quando qualcuno osava lasciare il gruppo, iniziava la persecuzione emotiva. «Era ossessionato dai numeri: ci esortava a far crescere gli iscritti e a far partecipare tutti attivamente, perché la passività era considerata una colpa e lui la attribuiva ai cosiddetti dormienti».

 

Poi la situazione si è fatta sempre più torbida. In privato, uno dei suoi accoliti ha iniziato a contattare le donne con richieste intime e molestie, travestite da necessità di sostegno. Quando Veronica ha provato a denunciare questi comportamenti al leader, la risposta è stata da manuale di manipolazione: «Mi ha accusata di creare divisioni, minacciandomi di espulsione». E quando ti convincono che essere cacciati è la peggiore punizione, sei già nel perimetro di una trappola.

 

La pressione era totale, ogni momento della giornata era monopolizzato dal gruppo. «Anche cucinare o fare la spesa diventava complicato. Mia figlia era molto preoccupata per me, perché mi vedeva trascorrere tutte le ore di veglia in videochiamata. Una volta mi ha convinta ad andare in spiaggia con lei e mi sono collegata alla chat da lì. Il leader ha sentito i rumori di sottofondo e mi ha umiliata pubblicamente: diceva che non avevo bisogno di momenti di svago, la preghiera doveva bastarmi. Mi ripeteva persino di non accettare un lavoro fisso, perché avrebbe tolto tempo alla preghiera». Il leader cominciava oltretutto a interferire con la salute dei membri. «Una donna del gruppo era gravemente malata e lui la esortava ad abbandonare le cure mediche, perché avrebbe provveduto lui con la preghiera».

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Finché un giorno, quasi da un momento all’altro, Veronica si è risvegliata. «Lo chiamo “il mio risveglio dal coma”. Ci ho pensato per una nottata, mi sono alzata al mattino e ho abbandonato la chat, bloccando quasi tutti. Poi ho saputo che il leader ha raccontato agli altri che, per questo mio gesto, mi sarebbero capitate le peggiori tragedie. Forse a un certo punto sono riuscita ad ascoltare tutti quei campanelli di allarme. Più che dei campanelli, dovremmo percepirli come dei campanacci, che risuonano e ci scuotono. Non c’è altro modo per salvarsi. Se qualcuno ci avverte dall’esterno, tenderemo a respingerlo; deve scattare qualcosa dentro di noi. Quando provavo a mettere in guardia gli altri membri, mi accusavano di essere posseduta dal demonio».

 

Oggi Veronica ha una certezza: «Non ci si deve sentire stupidi. Eravamo tutte persone intelligenti, istruite; mai dire “a me non potrebbe capitare”. I leader settari sanno trasformarti nel loro prolungamento, riducendoti a un burattino. La lucidità si perde un pezzo alla volta. La cosa fondamentale è parlarne». Ed è parlandone e documentandosi che oggi Veronica ha capito: quella che lei inizialmente definiva solo «una brutta parentesi di mascalzoni» era in realtà una setta organizzata a tutti gli effetti. Perché quando qualcuno usa la religione come strumento di controllo, non è fede, ma business. E gli adepti non sono altro che un numero sul loro conto corrente.



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