Quando un ragazzo egiziano di 19 anni, Ramy Elgaml, è morto a Milano durante un inseguimento dei Carabinieri (non aveva risposto all’alt in un posto di blocco), il quartiere Corvetto, ad alto tasso di immigrati, si era sollevato per due giorni contro la polizia. Era il 24 novembre scorso e il paragone che veniva naturale allora era: come una Banlieue parigina. Dalla settimana scorsa è iniziato il seguito della vicenda e il paragone con la periferia islamizzata francese non regge già più. Stiamo assistendo a un fenomeno diverso, più simile a un altro esempio estero del recente passato: il movimento Black Lives Matter contro la polizia americana.
Come mai si è atteso un mese e mezzo per assistere allo scoppio di una nuova ribellione contro la polizia? La causa è la pubblicazione del video delle dashcam (le videocamere montate sulle auto) dei Carabinieri, il 7 gennaio, in cui si può assistere all’inseguimento dello scooter su cui era a bordo Ramy. Nemmeno i filmati, però, dimostrano che Ramy sia stato ucciso. Saranno i periti, nel prossimo processo, a stabilire se si sia trattato di un incidente, o i Carabinieri siano colpevoli. Ma quel che si è visto è stato sufficiente a far scoppiare la nuova rivolta.
A fare la differenza, nel movimento Black Lives Matter, negli Usa, è soprattutto l’intervento della sinistra istituzionale, al fianco della piazza. Non è stata una protesta spontanea fine a se stessa, come reazione alla morte di George Floyd, nel maggio del 2020, ucciso da un poliziotto durante un fermo. E l’antirazzismo (George Floyd era un afroamericano, il poliziotto che l’ha ucciso un bianco) non era l’obiettivo principale. Il vero scopo era il “defund the police”, togliere i fondi alla polizia. Il passaggio, utopistico, dalla repressione alla prevenzione, dalla politica “legge e ordine” a un welfare totale che elimini le cause sociali della delinquenza. Questo ha reso le violente proteste di Black Lives Matter uniche nel loro genere: al fianco delle piazze violente c’erano sindaci, procuratori e anche governatori di sinistra che davano la loro legittimità istituzionale alle violenze.
In Italia stiamo assistendo a qualcosa di molto simile. Oltre alla sinistra antagonista in piazza, la sinistra istituzionale ha subito preso posizione contro la polizia. Le frasi pronunciate da Giuseppe Sala, sindaco di Milano, sono molto più che ambigue: « Certamente le immagini danno un segnale brutto, non c’è dubbio, brutto. Però attendiamo che la giustizia faccia il suo corso. Dal mio punto di vista è chiaro che se qualcuno ha sbagliato deve pagare». Tre frasi: una garantista (“attendiamo che la giustizia…) chiusa fra due sentenze colpevoliste a prescindere. E poi: «Voglio ringraziare un’altra volta il papà di Ramy per l’atteggiamento che oggettivamente è impeccabile. La giustizia faccia il suo corso però mi pare un altro esempio del fatto che quando ce la prendiamo con gli immigrati… Insomma trovare uno (il papà di Ramy, ndr) che dica “c’è un poliziotto buono e uno cattivo ma voglio credere che la maggior parte siano buoni” non è poca cosa». Quindi, per esprimere solidarietà a un padre che ha perso un figlio, Sala ha trovato il modo di stigmatizzare la polizia. Al punto di considerare una lodevole eccezione chi pensa che non tutti gli agenti sono colpevoli.
Ad aggiungere il suo peso professionale, oltre che politico, ai commenti di Sala, è stato Franco Gabrielli, consulente del sindaco ed ex capo della Polizia di Stato. Intervistato a Radio24 ha dichiarato: «È sempre facile fare il professore del giorno dopo ma è ovvio che quella non è la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento perché c’è pur sempre una targa. Esiste un principio fondamentale ed è quello della proporzionalità delle azioni che devono essere messe in campo per ottenere un determinato risultato: io posso addirittura utilizzare un’arma se è in pericolo una vita ma se il tema è fermare una persona che sta scappando non posso metterla in una condizione di pericolo». Quindi, i Carabinieri non avrebbero dovuto inseguire chi non rispetta l’alt?
È importante ricordare queste prese di posizione della sinistra milanese, perché gli effetti sono stati immediati. Queste dichiarazioni risalgono a giovedì 9 gennaio mattina, la sera stessa iniziavano i disordini di piazza. Ad inaugurare il Black Lives Matter italiano è stata, non Milano, ma Torino, a dimostrazione che non si è trattato di una reazione spontanea, ma di un moto politico nazionale organizzato. Nel capoluogo piemontese, un gruppo di antagonisti ha lanciato delle bombe carta contro un Commissariato di Polizia, oltre a uova con vernice. Le forze dell’ordine hanno chiuso le vie che portano verso il centro cittadino e sono stati lanciati contro di loro bottiglie di vetro. Cinque gli agenti feriti. Protagonista dei disordini, l’ormai noto centro sociale Askatasuna, recentemente legittimato dalla visita dell’europarlamentare Ilaria Salis. Un centro protagonista di tutti gli scontri degli ultimi anni contro la polizia a cui il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo (Pd), vorrebbe regalare la sede.
Il sabato sera si sono verificati gli scontri peggiori, a Roma e a Bologna, mentre a Milano la protesta è stata più pacifica: i manifestanti si sono limitati a imbrattare palazzi e strade. A Roma, invece, scene di guerriglia urbana, con negozi vandalizzati e otto agenti feriti. A Bologna è andata peggio: dieci agenti di polizia feriti, barricate e lanci di oggetti contundenti di tutti i tipi. Bologna ha fatto notizia soprattutto perché i manifestanti hanno anche preso di mira gli ebrei locali, imbrattando i muri della sede degli uffici della Comunità, nella via parallela a quella della sinagoga. Avendo così provocato un incidente diplomatico (anche l’ambasciatore di Israele è intervenuto sulla vicenda), almeno in questo caso la sinistra ha stigmatizzato la violenza.
Anche in questo caso, la sinistra tace o accusa la destra di “strumentalizzare”. Elly Schlein, segretaria del Pd, è intervenuta solo dopo che è stata sollecitata dalla premier Giorgia Meloni. E, oltre a una generica e doverosa condanna alla violenza di piazza, ha chiesto al centrodestra di “non strumentalizzare”. La posizione più netta è quella di Alleanza Verdi e Sinistra: contro la polizia. Con il segretario verde Angelo Bonelli che paventa l’introduzione di “norme da Stato di polizia” dietro “il pretesto” delle aggressioni ai poliziotti. Insomma, neppure di fronte a diciotto agenti feriti in una sola sera, di cui otto nella stessa capitale, la sinistra riesce a prendere le distanze dai violenti.
Ci sono invece violenze dello stesso tipo che praticamente non hanno fatto notizia, se non nella cronaca locale. A Busto Arsizio (Lombardia, provincia di Varese) i poliziotti sono intervenuti contro due nordafricani esagitati che stavano sfasciando un’auto in un parcheggio. Ma non appena gli agenti sono arrivati sul posto si sono trovati circondati da una folla di immigrati che insultavano la polizia e inneggiavano alla “giustizia per Ramy”. Solo l’arrivo di rinforzi ha evitato il peggio. Sono azioni violente che fanno meno notizia, perché spontanee. Ma proprio per questo più pericolose, più incontrollabili e quindi in grado di dilagare. Come Black Lives Matter, appunto.
Se la protesta ottiene il suo scopo, quello di criminalizzare e legare le mani alla polizia, gli effetti saranno anche gli stessi che abbiamo visto negli Usa dopo Black Lives Matter. Ovunque i sindaci di sinistra abbiano mantenuto le promesse di depotenziare la polizia, l’ordine pubblico è crollato. Le grandi metropoli amministrate da Democratici sono tornate ad essere luoghi pericolosi, come lo erano negli anni ’70. E a farne le spese sono soprattutto i più poveri, quelli che abitano nei quartieri ghetto e che non possono permettersi un servizio di vigilanza privato. Negli Usa hanno così scoperto che lo Stato sociale non può sostituire l’ordine pubblico. In Italia, una parte della politica ci crede ancora.
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