Fuga di cervelli dall’Italia: basta pannicelli caldi, servono più investimenti – Così è (se vi pare) #25

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Buonasera e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Così è (se vi pare)“.

Anche se il nuovo anno sembra iniziato sotto i buoni auspici grazie alla liberazione della giovanissima giornalista del Foglio, Cecilia Sala (tornata a casa per merito della premier Giorgia Meloni), ai dati riferiti all’occupazione e all’export che fanno registrare performance superiori a quelli di tante altre nazioni e, al riconoscimento conferito al nostro ministro dell’economia, sento comunque il dovere di occuparmi di una questione cruciale: il destino dei giovani.

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A questo proposito ricordo a me stesso che negli ultimi dieci anni sono andati via dall’Italia oltre un milione di giovani, non perché i ragazzi e le ragazze di oggi sono sempre più attratti dalle bellezze di altri Paesi e hanno voglia di conoscere altre culture, ma per mancanza di alternative; e perché da noi, in Italia, non trovano lavoro.

Qualcuno rispetto a questa “fuga” obietterà: embè dov’è la novità? I giovani emigravano prima, e continuano ad emigrare oggi… così va il mondo.

A questa obiezione rispondo che rispetto al passato ci sono due novità che non possono non preoccuparci.    La prima: statisticamente chi va via non ritorna più; la seconda: i nostri giovani si dirigono in Francia, Germania, Inghilterra, mentre da questi paesi non si registra un flusso di entrate verso l’Italia, nonostante siamo un paese ricco di storia, di cultura, di innumerevoli siti archeologici, di tantissime bellezze monumentali e paesaggistici; e siamo la patria della pizza, della pasta alla norma, della bagna cauda e di tante altre prelibatezze.

Altra novità che deve preoccuparci è che oggi, a differenza del passato, non esportiamo braccianti, pescatori, artigiani, povera gente, ma giovani laureati e diplomati. Un fenomeno, questo, assolutamente allarmante se penso al fatto che il Belpaese già sforna pochi laureati: basti pensare che in Europa ci collochiamo al 28° posto su trenta Paesi.

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Un fenomeno che ha effetti devastanti sui territori di partenza perché determina un impoverimento culturale e sociale e incide negativamente sia sulle possibilità di innovazione e di sviluppo sia sull’esigenza di bloccare lo spopolamento delle zone interne, che come ha ricordato il Presidente della Repubblica, in occasione della sua visita a Militello, rappresentano il 60 per cento del territorio nazionale.

Ma l’Italia non si distingue solo perché occupa gli ultimi posti della classifica europea per numero di laureati, ma anche perchè siamo terzultimi su 27 Paesi per lavoratori laureati e ultimi per laureati stranieri immigrati in Italia. Per non parlare del fenomeno abnorme dei giovani che non lavorano, non studiano e non fanno formazione.

Le cause di tutti questi primati negativi, a mio modo di vedere, sono anche riconducibili al fatto che l’istruzione non è considerata una priorità per lo Stato, tant’è che l’Italia è quintultima per investimenti in istruzione.

Che fare dunque per bloccare la fuga dei laureati, di quei cervelli che sono costati centinaia di migliaia di euro alle famiglie e allo Stato?

Pensare di affrontare questo problema con qualche sgravio fiscale indirizzato a una nicchia di neo-emigrati, come è stato fatto finora dai governi, è una pia illusione.

Poiché a partire, come ho accennato prima, sono prevalentemente giovani laureati – quindi insegnanti, medici, ingegneri – per affrontare seriamente il problema occorre stanziare più risorse per l’istruzione, la sanità, l’edilizia pubblica e, nel contempo rendere più meritocratico, trasparente e competitivo, il sistema accademico e quello sanitario. Settori dove spesso si accede per censo, vale a dire al padre deve succedere il figlio/a o per nomina politica.

Penso che sia questa la strada che occorre percorrere allineando gli investimenti in istruzione, formazione e ricerca agli altri Paesi sviluppati: anche perché se prendiamo a riferimento la quota che l’Italia spende per l’istruzione universitaria emerge che noi dedichiamo solo lo 0,9 per cento del PIL, contro una media OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dell’1,45 per cento, ovvero 10 miliardi in meno.

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Analogo discorso si può fare per la sanità, per la quale l’Italia si attesta a una spesa pari al 6,2 per cento, un valore ben al di sotto sia della media OCSE che è del 6,9 per cento che della media europea che è del 6,8 per cento.

Per dare un’idea più precisa di quello che spendono per la sanità gli altri Paesi dico solo che la Germania spende quasi 466 miliardi di euro, la Francia 308 miliardi, noi 168 miliardi di euro.

Lo scarso investimento pubblico riguarda anche la politica per la casa; Eurostat infatti ci dice che in Italia la spesa pro capite in questo settore nel 2021 era appena di 11 euro e cinquanta centesimi, mentre in Germania era di 199 euro e in Francia di 219 euro. Il governo Meloni non ha migliorato questa andazzo, ecco perché mancano le abitazioni per le persone meno abbienti.

Medici, professori, ingegneri, vanno dunque via, non solo perché mancano opportunità di lavoro, ma anche perché da noi gli stipendi sono più bassi, non viene premiato il merito ed è quasi impossibile fare carriera, soprattutto se non si hanno Santi in paradiso.

Pertanto se vogliamo bloccare davvero la fuga dei cervelli occorre suonare tutti i tasti del pianoforte, vale a dire occorre investire di più nell’istruzione, nella sanità, nella politica della casa, nella sicurezza del territorio e nella salvaguardia dell’ambiente e, nel contempo, pensare ad una vera riforma del mercato del lavoro.

Ma su quali principi si dovrebbe fondare questa riforma? Lo scopriremo insieme questa sera! Non ci resta che darvi appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!

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