Sulla cessione dei crediti in blocco e sulla capitalizzazione degli interessi.

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Con la sentenza in commento il Tribunale di Torino, nel pronunciarsi sulla condanna di un fideiussore al pagamento di alcune somme di denaro oggetto di un’operazione di cessione di crediti in blocco, ha richiamato i principi espressi dalla Corte di Cassazione in materia di prova del credito ceduto tramite cessione di crediti in blocco e di divieto di anatocismo.

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1. Fatto.

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La parte attrice in riassunzione ha agito in giudizio dinanzi al competente Tribunale di Torino al fine di ottenere dalla propria controparte il pagamento di due somme di denaro, una delle quali costituente credito derivante da un rapporto di conto corrente bancario oggetto di cessione di crediti in blocco. La parte convenuta, per converso, chiedeva il rigetto della domanda dell’attrice per difetto di legittimazione attiva di quest’ultima, oltre che per la nullità delle fideiussioni prestate dalla convenuta a garanzia del rapporto contrattuale di conto corrente.

2. Diritto.

Il Tribunale di Torino ha respinto l’eccezione processuale del difetto di legittimazione attiva di parte attrice formulata dalla convenuta, qualificandola come eccezione di merito. La convenuta sosteneva come parte attrice non avesse fornito prova adeguata dell’acquisizione del credito pecuniario tramite cessione dei crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), non avendo depositato alcun contratto di cessione e non essendo sufficiente, a fini probatori, la sola pubblicazione della cessione in Gazzetta Ufficiale, meramente strumentale all’operazione di trasferimento dei crediti.

Nel rigettare l’eccezione, il Tribunale di Torino ha richiamato due principi espressi dalla Corte di Cassazione in materia di prova dei crediti ceduti oggetto di un’operazione di cessione di crediti in blocco:

  • il principio espresso da civ. n. 24798/2024, secondo il quale la parte che agisce in qualità di successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione di crediti in blocco, ha l’onere di provare che il credito ceduto rientri in detta operazione, fornendo adeguata prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta. Nel caso di specie, la prova del fatto che il credito ceduto oggetto del giudizio, discendente da un rapporto di conto corrente (n. 62127 del 24 ottobre 2000), rientrasse nell’operazione di cessione dei crediti in blocco si desumeva dalla circostanza che tale cessione aveva riguardato alcuni saldi debitori di conti corrente (sorti nel periodo tra il 1960 e il 2017), in cui poteva farsi rientrare lo stesso contratto di conto corrente dal quale originava il credito oggetto del giudizio;
  • il principio espresso da civ. n. 3405/2024, secondo il quale qualora il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti oggetto di cessione, ai fini della prova non è sufficiente l’intervenuta notificazione della cessione, anche se effettuata tramite pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale, ma il giudice dovrà operare un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, potendo tutt’al più la pubblicazione rivestire valore indiziario nel contesto di tale valutazione. Circa l’esistenza del contratto di cessione, il Tribunale di Torino ha presto atto della circostanza che parte attrice avesse prodotto in giudizio una dichiarazione della banca nella quale si dava atto del trasferimento del credito derivante dal rapporto di conto corrente n. 62127 in capo alla parte attrice.

Il Tribunale di Torino ha poi parzialmente rigettato l’eccezione con cui la parte convenuta ha contestato l’applicazione, nel rapporto di conto corrente, del regime di capitalizzazione infrannuale degli interessi passivi per contrarietà al divieto di anatocismo disposto dall’art. 1283 c.c. Nel richiamare le modifiche che hanno interessato l’istituto dell’anatocismo, il Tribunale di Torino ha osservato come l’art. 1, co. 629, della l. n. 147/2013, intervenendo sull’art. 120, co. 2, del Testo Unico Bancario, ha reintrodotto un divieto generale di anatocismo (indipendentemente dall’adozione della delibera CICR sul punto), mentre l’art. 17-bis, co. 1, del d.l. n. 18/2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 49/2016, ha previsto che gli interessi passivi scaduti possono produrre altri interessi solo qualora vi sia stata un’espressa autorizzazione scritta, anche preventiva, del cliente, rimanendo fermo, in caso contrario, il divieto di anatocismo. Richiamando la recente sentenza della Cass. civ. n. 21344/2024 sul divieto di anatocismo, il Tribunale di Torino ha specificato come l’intervenuta modifica normativa del 2013 sul divieto di applicazione dell’anatocismo operi indipendentemente dall’adozione della relativa delibera del CICR che, ai sensi dell’art. 120 del Testo Unico Bancario, è tenuta ad individuare le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni bancarie. Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale di Torino, richiamando le risultanze della CTU, ha evidenziato come il contratto di conto corrente avesse previsto la capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia debitori che creditori, e come la clausola di capitalizzazione infrannuale degli interessi avesse ottenuto specifica sottoscrizione da parte del cliente; per cui le contestazioni sull’intervenuta capitalizzazione erano infondate. Né la corrispondenza tra TAN e TAE per la capitalizzazione degli interessi poteva privare di contenuto la relativa clausola contrattuale, posto che, secondo precedente orientamento del Tribunale di Torino, l’uguaglianza tra i due tassi non dipende dall’assenza di capitalizzazione, ma dal troncamento del risultato di calcolo ad un certo decimale (Trib. Torino n. 331/2024; Trib. Torino n. 1052/2022).

Infine, per completezza, il Tribunale di Torino:

  • richiamando Cass. civ., n. 41994/2021 in merito alla nullità parziale dei contratti di fideiussione stipulati a valle di intese restrittive della concorrenza, ha dichiarato la nullità parziale delle fideiussioni stipulate dalla parte convenuta con riguardo a quelle clausole che, essendo conformi ai modelli ABI contrari alla normativa in materia di libera concorrenza, dovevano considerarsi nulle;
  • ha rigettato la prospettazione della parte convenuta secondo cui la previsione del pagamento “a semplice richiesta scritta” potesse configurare una violazione di quanto disposto dall’art. 1957 c.c. circa le modalità con cui il creditore è legittimato ad avanzare istanza per impedire l’estinzione della garanzia, trattandosi, piuttosto, di una deroga pattizia alla forma con cui l’onere di avanzare l’istanza può essere adempiuto dal creditore stesso (Cass. civ. n. 27333/2005 e Cass. civ. n. 7345/1995);
  • ha ridotto il credito derivante dal rapporto di conto corrente vantato da parte attrice, ritenendo inapplicabile la commissione di massimo scoperto, essendo quest’ultima non contenuta nel contratto di conto corrente, non correlata a precisi criteri di calcolo nel contratto di apertura di credito e, perciò, illegittima e non dovuta, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 13737/2024; Cass. civ. n. 19825/2022);
  • ha rigettato la prospettazione della convenuta secondo cui, essendo intervenuta la conclusione di un contratto di apertura di credito di € 50.000,00 per fatti concludenti, i tassi soglia per l’usura da considerare erano quelli relativi alla categoria delle “aperture di credito in conto corrente” con valore oltre € 5.000,00, con la conseguenza che, nel caso di specie, i tassi applicati risultavano superiori a tale tasso soglia; tuttavia, il contratto di apertura di credito non era né stato disciplinato dall’originario contratto di conto corrente stipulato in forma scritta né prodotto in giudizio, per cui, non essendo stata rispettata la forma scritta a pena di nullità, tale contratto non poteva ritenersi esistente ( Cass. civ. n. 5364/2024), per cui i tassi applicati in concreto non superavano i tassi soglia applicabili al contratto in essere, ossia quelli delle “aperture di credito in conto corrente” entro € 5.000,00.

In conclusione, il Tribunale di Torino ha accolto parzialmente le domande di parte attrice, condannando la convenuta al pagamento delle somme (per come rimodulate), oltre al rimborso delle spese di lite.

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