Israele-Hamas: spiragli per il cessate il fuoco

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La cautela è d’obbligo, ma una tregua, temporanea, della guerra a Gaza sarebbe finalmente a portata di mano. Lo riferiscono diverse fonti giornalistiche secondo cui per la prima volta dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas i negoziatori hanno fatto circolare una bozza per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. “I dettagli dell’accordo per la liberazione degli ostaggi sono stati concordati e ora si attende una risposta definitiva da parte di Hamas” precisa l’emittente israeliana Channel 12 specificando che per la prima volta l’intesa è interamente dettagliata. Il piano, nel complesso, è simile a quello pubblicato a maggio e prevede un accordo in tre fasi, che inizierebbe con la liberazione di circa 34 israeliani della ‘lista umanitaria’. Poi, il 16mo giorno del cessate il fuoco, le parti inizierebbero a discutere la seconda fase che prevede il ritiro delle truppe israeliane da Gaza. Infine, nella terza fase, le parti si concentrerebbero sul governo e la ricostruzione della Striscia. Al-Arabiya aggiunge che la prima fase dovrebbe durare 42 giorni, durante la quale Israele si ritirerà da diverse aree, dove ai residenti palestinesi sarà dato modo di ritornare e sarà aumentato il volume degli aiuti umanitari. “Questa volta c’è ottimismo – ha detto un alto funzionario israeliano citato dal quotidiano Yedioth Ahronoth – e l’accordo sembra più vicino che mai”

Un accordo entro il 20 gennaio?

A premere per una svolta politica in tempi rapidi ci sarebbe anche la nuova amministrazione statunitense. I media israeliani hanno riferito che il prossimo inviato del presidente eletto Donald Trump per il Medio Oriente è arrivato a sorpresa nella regione nelle ultime ore. Steve Witkoff – magnate immobiliare e amico personale di Trump – è volato in Qatar con una delegazione israeliana per partecipare alle trattative in corso per il rilascio degli ostaggi. Secondo i media di Tel Aviv, Witkoff ha dichiarato al primo ministro Benjamin Netanyahu, durante il loro incontro, che il tycoon vuole un accordo sul rilascio di ostaggi entro il giorno del suo insediamento, il 20 gennaio. In un’intervista alla National Public Radio anche William Burns, direttore della Cia, ha confermato che la Casa Bianca stava lavorando per raggiungere un accordo prima dell’insediamento di Trump. “Ho imparato a mie spese a non farmi illusioni sui negoziati per il cessate il fuoco e sugli ostaggi” ha detto Burns. “Ma le distanze tra le parti si sono ridotte e penso che il coordinamento con la nuova amministrazione su questo tema sia stato buono”. Le prossime 24 ore saranno cruciali per raggiungere l’accordo, ha affermato il funzionario, definendo la bozza il risultato di “una svolta” raggiunta nelle ultime ore.

Netanyahu tra due fuochi?

In 15 mesi di guerra, Israele e Hamas hanno accordato solo un breve cessate il fuoco nelle prime settimane di combattimenti. Da allora, i colloqui mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar si sono ripetutamente arenati. Il movimento islamista palestinese insiste sul fatto che qualsiasi intesa debba far parte di un patto di definitiva cessazione delle ostilità a Gaza, mentre Netanyahu punta un accordo più limitato, che preveda la liberazione di alcuni ostaggi preservando al contempo la prerogativa di Israele di riprendere le ostilità alla scadenza dell’accordo. Nelle intenzioni del governo c’è quella di non concludere la guerra finché Hamas non sarà sradicato. Nelle ultime settimane, la questione degli ostaggi è stata al centro di un intenso dibattito nei media israeliani: mentre i critici accusano Netanyahu di aver deliberatamente ritardato l’accordo per attendere l’insediamento di Trump, i membri di estrema destra del suo governo hanno minacciato di abbandonare l’esecutivo se il premier avesse accettato quello che definiscono un accordo “sconsiderato”. Intanto, i servizi di intelligence stimano che almeno un terzo dei circa 95 israeliani tuttora detenuti a Gaza siano morti. Nonostante gli ultimi colloqui, Israele ha intensificato gli attacchi aerei sul territorio palestinese, che hanno ucciso almeno 100 persone lo scorso fine settimana, hanno affermato i funzionari sanitari locali.

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Un bilancio sottostimato?

L’arrivo di Trump alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio è considerato di fatto come un punto di svolta. Il presidente eletto ha dichiarato che se gli ostaggi detenuti da Hamas non fossero stati liberati prima del suo insediamento ci sarebbe stato “l’inferno” in Medio Oriente. Ma mentre i negoziati fervono, nell’enclave palestinese si continua a morire e più dell’80% della popolazione è sfollata. Secondo uno studio pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista britannica The Lancet, il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza nei primi nove mesi di guerra sarebbe stato sottostimato di circa il 40% a causa delle difficili condizioni in cui versavano le strutture di soccorso della Striscia. Oggi, trascorsi altri sei mesi, i ricercatori ritengono che siano morti sotto le bombe già più di 70mila palestinesi. Per arrivare alla loro stima, i ricercatori hanno usato un metodo statistico noto come cattura-ricattura (capture-recapture), già impiegato in passato per stimare il numero delle vittime di altri conflitti nel mondo, e basato sull’incrocio delle fonti. In particolare hanno analizzato e confrontato le liste fornite dagli ospedali e gli obitori della Striscia con quella di un sondaggio online lanciato dal ministero della Salute di Gaza, in cui gli abitanti palestinesi segnalavano la morte dei loro familiari. Una terza lista si basava invece sui necrologi pubblicati sui social network. Il numero delle vittime a Gaza è al centro di un aspro dibattito tra Israele e le Nazioni Unite. Il governo israeliano ha infatti più volte messo in dubbio i dati forniti da Hamas, che però le Nazioni Unite hanno definito credibili e persino imprecisi per difetto.

Il commento

Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre

“Sarà questa la volta buona? Dopo oltre un anno di tentativi negoziali, di incontri e di fallimenti la cautela non può che esser d’obbligo. Quello che stavolta potrebbe però fare la differenza sono le pressioni di Donald Trump perché si giunga al rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, nel quadro di un più ampio accordo per il cessate il fuoco a Gaza, prima del suo insediamento alla Casa Bianca. Altrimenti “scoppierà il finimondo in Medio Oriente” ha tuonato il presidente entrante, forse ignaro del fatto che in alcune parti della regione l’inferno c’è già. Forse il monito non era solo rivolto a Hamas. Se la distanza tra le parti permane, sembra esserci un cambio di passo nei negoziati mentre il prossimo 20 gennaio si avvicina”.



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