La prospettiva era, sin dal primo giorno molto chiara. Lo aveva spiegato subito con parole semplici Mohsen Sazegara un disertore dei Guardiani della rivoluzione iraniani: “Se Abedini resta in cella, la Sala resta in cella. Se Abedini viene mandato in America, lei resta in cella come lezione agli italiani. Se si arriva a uno scambio, magari mascherato, magari una triangolazione, la Sala esce. Tanto nel Codice penale iraniano ci sono più di 400 articoli e possono accusarla di qualsiasi cosa”.
Il giornalista del Washington Post Jason Rezaian è stato detenuto in Iran per 544 giorni, un tempo infinito per la coscienza di un paese democratico come il nostro e meno resiliente degli Stati Uniti d’America e che sarebbe stato infinito per la giovane giornalista che, seppur in isolamento, si trovava nel carcere di Evin accanto a dove si praticano torture ed esecuzioni. D’altro canto il regime teocratico di Teheran non aveva fretta, in quel paese la magistratura non è indipendente, è un simulacro, un’appendice dei Guardiani della rivoluzione e dell’intelligence e da quel fronte non potevano aspettarsi sorprese.
Considerato che Cecilia non era sottoposta ad un processo ma ad un sequestro di persona, era un ostaggio e non un’accusata, e non sarebbe bastato mandare in Iran un avvocato specializzato in diritti umani, peraltro in quel paese spesso arrestano anche loro, l’unica via possibile era trattare, e subito.
Non è certo uno scandalo e lo si è fatto, giustamente, molte volte in passato per salvare nostri concittadini e anche, forse in modo più ambiguo, per tutelare la sicurezza del Paese.
Molte volte sono stati pagati riscatti per liberare soprattutto tecnici e cooperanti italiani sequestrati in Africa e poi, in un contesto ancor più difficile, per salvare alcuni ostaggi italiani catturati da Al Qaeda e altri simili predoni. Tra di essi la giornalista Giuliana Sgrena.
Da molti anni non è più un segreto, grazie a indagini dei magistrati e delle Commissioni parlamentari che i 5 arabi arrestati nel 1973 a Fiumicino furono liberati e rimandati nei loro paesi di origine: 2 portati con un aereo militare in Libia e gli ultimi tre rilasciati in libertà provvisoria, e subito scomparsi, dopo che incaricati del nostro Ministero si erano recati personalmente dai magistrati per perorare un provvedimento benevolo e i magistrati avevano acconsentito. La contropartita, che durò negli anni e in parte riuscì, era l’impegno dei gruppi palestinesi a non compiere attentati nel nostro paese, il cd Lodo Moro.
Forse si poteva anche trattare di più e meglio nel sequestro Moro, ma intervennero in quel caso considerazioni che andavano ben oltre la vita di un comune ostaggio e che riguardavano la figura e il ruolo politico dello statista.
Certo nel caso di Cecilia la situazione era resa più complicata dal fatto che il rapporto non fosse a due ma a tre in quanto l’iraniano era detenuto in Italia non per accuse che gli erano mosse del nostro paese ma perché richiesto in estradizione dagli USA. Ma anche questo ostacolo è stato superato. L’atteggiamento morbido da parte degli Stati Uniti, una sorta di via libera è stato anche un gesto di considerazione nei confronti dell’alleato.
Gli USA dal canto loro quando si è reso necessario salvare loro cittadini, anche gli USA si sono mossi nello steso modo molte volte: nel 2023 cinque prigionieri iraniani sono stati scambiati con altrettanti prigionieri americani e più recentemente questo è avvenuto anche con la Russia di Putin.
Un trafficante in più o in meno libero non fa, nel grande gioco internazionale che è in corso, grande differenza mentre la vita e libertà di Cecilia erano una questione di principio e un obiettivo irrinunciabile.
Così in questa storia alla fine si è mosso il Ministro di Giustizia con qualche acrobazia interpretativa sulle accuse mossa ad Abedini e in base all’art. 718 del Codice di procedura penale che gli consente di chiedere la revoca della detenzione di un estradando. Del resto è sempre il Ministro l’autorità cui spetta la decisione finale su una estradizione che è un procedimento per metà giudiziario e per metà politico.
I giudici si sono tirati un po’ da parte, rinunciando al consueto ruolo di protagonisti, di salvatori della patria. I giudici milanesi avevano già fatto una gaffe lasciandosi scappare il trafficante russo Artem Russ, anch’egli in attesa di estradizione negli USA, posto agli arresti domiciliari e subito “esfiltrato” con una operazione dei Servizi di intelligence del suo paese. È giusto essere garantisti ma in quel caso i giudici non avevano proprio capito chi avevano davanti. Quello di Artem Russ è un precedente che molto probabilmente ha favorito la cattura di Cecilia Sala. Gli iraniani ne avevano infatti tratto sicuramente l’impressione che l’Italia fosse un anello debole della catena occidentale e che quindi, per bloccare l’estradizione del loro concittadino, poteva essere efficace la cattura di una ragazza italiana.
L’importante è che i partiti rinunzino sin d’ora, in uno spirito di unità repubblicana, come si dice in Francia, a fare di questo scambio motivo di rivendicazioni o di polemiche politiche. Non ci devono essere divisioni in questa vicenda, non deve essere usata come arma da nessuno.
Poi, con Cecilia tornata a casa e una volta chiuso anche il caso Abedini, può venire il tempo delle risposte. Sanzioni commerciali o politiche, ad esempio cacciare per qualche tempo dal nostro paese l’ambasciatore dell’Iran. E anche usare gli strumenti del nostro Codice. Gli elementi ci sono tutti per aprire un fascicolo per sequestro di persona a scopo di estorsione, Cecilia Sala era la sequestrata e l’obiettivo dell’estorsione era ottenere la liberazione di un trafficante di droni. I delitti politici commessi all’estero contro cittadini italiani sono perseguibili anche in Italia ai sensi del Codice penale e la pena è in questo caso ben da 25 a 30 anni di reclusione.
Un fascicolo che, se si vuole, si può aprire alla Procura di Roma contro i capi dei Guardiani della rivoluzione, i sequestratori col turbante.
Sarebbe una risposta destinata forse anche a rimanere simbolica, ma se lo meritano.
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