Va dato atto a Donald Trump di aver riaperto un canale di comunicazione con Mosca. Dopo l’insediamento del tycoon alla Casa Bianca che avverrà il 20 gennaio prossimo, è già in programma un’accelerazione dei contatti. Keith Kellog, il futuro inviato speciale dell’Amministrazione repubblicana per il conflitto in Europa, ha tracciato una roadmap ottimista: «Cento giorni per far finire il conflitto» ha dichiarato. In campagna elettorale Trump indicò una tempistica di due giorni, surreale bullismo propagandistico. Ma il canale è riaperto ed è un punto di partenza necessario. La trattativa però è un metodo e il suo valore dipende dalla disponibilità e dall’esito.
Il 2025 sarà anno decisivo per la Russia
Il 2025 potrebbe riservare sorprese anche sul fronte interno della Russia, pur sempre responsabile dell’invasione dell’Ucraina già nel 2014 con l’annessione illegale della Crimea, il documentato sostegno militare ai separatisti del Donbas e dell’aggressione totale dal 2022. L’inflazione è fuori controllo, al 9%, il rublo sta precipitando e il tasso di interesse ufficiale al 21% frena gli investimenti, con la Banca centrale russa che non prevede ritocchi.
Negli ambienti imprenditoriali moscoviti poi serpeggiano dubbi: quanto può reggere un bilancio statale che destina il 30% alle spese militari, a fronte di un bisogno di modernizzazione delle infrastrutture civili e di investimenti sulle tecnologie? Inoltre inizia a farsi sentire il morso delle sanzioni: se così non fosse, perché Vladimir Putin ne chiede la revoca fra le condizioni per un negoziato? Certo la situazione economica è ovviamente ben più grave in Ucraina, dove il 44% delle famiglie fatica a coprire i bisogni basilari. Ma la popolazione aggredita in quasi tre anni di guerra su larga scala ha dato prova di resistenza, anche grazie a una rete sociale privata ammirevole. Secondo un sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, nel dicembre scorso la fiducia degli ucraini verso Zelensky è scesa al 52%, rispetto al 90% del marzo 2022: al presidente vengono imputati soprattutto la non sufficiente efficacia nel contrasto alla corruzione e l’accentramento dei poteri, non la lotta contro l’occupazione militare sostenuta con prudenza da una cinquantina di Stati alleati.
Secondo lo stesso sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia, il 47% degli ucraini è favorevole al rinvio della «liberazione dei territori temporaneamente occupati» ma risolutamente contrario all’imposizione russa del divieto di aderire alla Nato, che considera «inaccettabile», seppure venisse concesso di aderire all’Unione europea. Se un negoziato verterà sulla prevalenza dei rapporti di forza (l’esercito invasore nel Donbas avanza seppur lentamente) e non sul ripristino del diritto internazionale e dei confini riconosciuti dall’Onu e da Mosca nel 1991 e ancora dal Cremlino nel 1994 e nel 1998, gli ucraini non recedono però dalla richiesta di garanzie di sicurezza, per scongiurare una terza invasione in futuro.
Le falsità sul conflitto
Tra le falsità che circolano sul conflitto, una delle più gettonate riguarda la bozza di accordo definita fra le parti nel marzo 2022 in Turchia: il negoziato non saltò per le pressioni dell’allora primo ministro britannico Boris Johnson su Zelensky ma per due clausole inaccettabili per Kiev. La prima prevedeva la riduzione delle forze armate ucraine a 50mila effettivi (il 5% delle attuali), la seconda proponeva che un’ intervento militare contro una nuova invasione dovesse essere approvato da Paesi garanti all’unanimità, attribuendosi di fatto un diritto di veto: fra i Paesi garanti c’era la Russia. Inoltre mentre Mosca trattava in Turchia, un suo battaglione compiva l’eccidio di Bucha…
Nel 20% di territorio ucraino annesso illegalmente da Mosca nel settembre 2022, dal prossimo 5 febbraio diventerà legge l’obbligo di prendere la cittadinanza russa, per non perdere lavoro, casa, assistenza sanitaria, accesso ai servizi bancari e perfino ai documenti necessari per sposarsi. Peggio che stranieri nella propria terra. Un processo brutale in atto già dal 2014 in Crimea. Da quei territori è difficile anche scappare. Ma se una parte verrà ceduta alla Russia nell’ambito di un negoziato, andrà avallato lo spostamento di milioni di persone. Non sarà una pace giusta ma che almeno sia sicura.
La speranza è che il 2025 sia davvero l’anno della fine della guerra: per scongiurare l’estensione del conflitto e le criminali minacce atomiche di Putin, per la nostra «stanchezza» ma soprattutto per sottrarre il popolo ucraino ai vasti, quotidiani crimini dei quali è vittima.
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