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Quest’anno, le bollette potrebbero costare all’intero sistema imprenditoriale italiano ben 13,7 miliardi di euro in più rispetto al 2024, pari al +19,2%. La spesa complessiva dovrebbe toccare gli 85,2 miliardi, di cui 65,3 per l’energia elettrica e 19,9 per il gas. E a pagare il conto più salato dovrebbero essere le imprese del Nord, che ospita buona parte dello stock delle imprese presenti nel nostro Paese e, conseguentemente, dovrà farsi carico della quota parte di aumento più consistente, praticamente quasi quasi due terzi dell’aggravio complessivo.
Conto salato – Le stime arrivano dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia) e si basano su un’ipotesi del prezzo medio dell’energia elettrica nel 2025 di 150 euro per MWh e del gas a 50 euro per MWh, mantenendo una proporzione di tre a uno tra le due tariffe, come nei due anni precedenti. Per quanto riguarda i consumi, si è fatto riferimento ai dati del 2023 e si è ipotizzato che rimangano costanti anche nei successivi due anni. Del costo aggiuntivo stimato di 13,7 miliardi, quasi 9,8 (+17,6% al 2024) riguarderebbero l’energia elettrica e 3,9 (+24,7%) il gas.
Il dettaglio delle regioni – I rincari 2025 di luce e gas interesseranno in particolare le aree che presentano i consumi maggiori, vale a dire la Lombardia, con un aggravio di 3,2 miliardi, l’Emilia-Romagna con +1,6 miliardi, il Veneto con +1,5 e il Piemonte con +1,2. Sull’incremento complessivo, 8,8 miliardi, pari al 64% del totale, saranno in capo alle aziende settentrionali. Con 49.331 gigawattora di consumi elettrici registrati nel 2023, pari al 23,8% del totale nazionale, la Lombardia è la regione che ha le imprese più energivore d’Italia. Seguono leVeneto con 22.578 GW/h (10,9%) e l’Emilia-Romagna con 20.934 GW/h (10,1%). Sui 207.434 GW/h consumati a livello nazionale, il 61,3% è attribuibile alle imprese del Nord. Anche per il gas, la regione che nel 2023 ha censito i consumi più elevati è Lombardia con 48.201 gigawattora (22,4%), seguita dall’Emilia-Romagna con 35.828 GW/h (16,7%) e il Veneto con 26.057 GW/h (12,1%).
I comparti a rischio – Con un’eventuale impennata dei costi delle bollette elettriche, i settori più colpiti potrebbero essere la metallurgia, il commercio, altri servizi come cinema, teatri, discoteche, lavanderie, parrucchieri, estetiste; alimentari; alberghi, bar e ristoranti; trasporto e logistica; chimica. Per quanto concerne le imprese gasivore, i comparti che potrebbero subire gli effetti economici maggiormente negativi potrebbero essere l’estrattivo; la lavorazione e conservazione di alimenti; la produzione alimentare; la confezione e produzione tessile, abbigliamento e calzature; la fabbricazione/produzione di legno, carta, cartone, ceramica, utensileria, plastica e chimica; la fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, macchine utensili e per l’industria; la costruzione di navi e imbarcazioni da diporto.
Pericolo spirale – Oltre agli effetti sui bilanci delle imprese e delle famiglie, secondo la Cgia potremmo trovarci davanti a un’impennata dei prezzi del gas e dell’energia che rischiano di provocare una spirale inflazionistica, come nel biennio 2022-2023, in cui la crisi energetica ha causato una significativa perdita del potere d’acquisto per lavoratori dipendenti e pensionati, l’aumento dei tassi d’interesse e quindi il costo maggiore del denaro, che ha messo in difficoltà investimenti e crescita del Pil.
Le conclusioni di Cgia – “Per contrastare efficacemente il rallentamento economico in corso – afferma l’ufficio studi veneziano – in primo luogo dobbiamo evitare il crollo dei consumi interni, obiettivo che potrebbe non essere conseguito se l’inflazione dovesse tornare a crescere. In secondo luogo è necessario spendere bene ed entro la scadenza (31 agosto 2026) le risorse del Pnrr ancora a nostra disposizione, praticamente 130 miliardi di euro. Secondo la Bce, l’utilizzo di tutti i prestiti e le sovvenzioni che ci sono stati erogati da Bruxelles farà aumentare in via permanente il nostro Pil nello scenario migliore dell’1,9% fino al 2026 e dell’1,5% fino al 2031 rispetto a un Pil senza questi speciali sostegni post-pandemici“.
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