«Fare goal non serve a niente», il titolo di un libro di Luca Pisapia, che si addentra nei meandri dell’industria mondiale del calcio. E rilancia il tema la recente dichiarazione Michael Spencer, ex tesoriere del partito conservatore inglese, sul Financial Times: «Gli stipendi dei top manager devono essere equiparati a quelli dei calciatori».
Un calcio a noi gente comune
Il Financial Times mostra in un grafico che negli ultimi dieci anni lo stipendio medio di un calciatore del campionato inglese è raddoppiato da 1 a 2 milioni di sterline l’anno. Mentre quello dei top manager delle società quotate in borsa si aggira intorno ai 4 milioni di sterline l’anno. Insomma, i boss dell’industria guadagnano più dei calcatori e la dichiarazione del conservatore Spencer mira provocatoriamente ad attaccare il governo laburista perché abbassi le tasse sulle transazioni finanziarie della City, ivi compresi gli stipendi dei top manager.
Celciatori bravi da sempre ricchi, ma con un po’ di decoro
Bene inteso, i calciatori hanno da sempre guadagnato e reso cifre astronomiche al di fuori dei rapporti di produzione. Negli anni Settanta Gianni Rivera guadagnava 6 milioni di lire al mese, mentre un operaio guadagnava 352mila lire al mese. Già mezzo secolo fa lo stipendio di un calciatore era diciassette volte maggiore rispetto a quello di un lavoratore medio. E da allora sappiamo bene che la forbice si è allargata.
Liberalizzazione del furto?
Nel 1994, un anno prima della Sentenza Bosman, che ha liberalizzato il mercato dei calciatori, un calciatore in Serie A italiana guadagnava in media 782 milioni di lire l’anno. Un operaio 15,6 milioni. Cinquanta volte di meno. Nel 2001, all’apice della bolla speculativa della Serie A, un calciatore guadagnava in media 2 miliardi e 150 milioni. Un operaio 16,8 milioni. Centoventisette volte di meno.
Club in defit a truccare bilanci
Secondo l’ultimo report Uefa le perdite complessive dei club europei superano i 37 miliardi di euro. E i debiti aggregati sfiorano i 26 miliardi. Allora, come fanno le squadre di calcio a sopravvivere con i bilanci in rosso e una voragine di debiti? Galleggiano in una sorta di metafisica finanziaria. Un flusso di denaro su cui scommettere al rialzo o al ribasso senza preoccuparsi delle reali capacità produttive di un giocatore. Un modello della schizofrenica disconnessone tra economia e finanza i cui principali attori sono rappresentati dai (soliti) fondi americani, sauditi e degli Emirati.
Mito Barcellona svenduto
Ad esempio, nella stagione in corso il Barcellona ha venduto in anticipo gli affitti dei box di lusso, delle specie di terrazze da cui vedere le partite nel suo mitico stadio Camp Nou, fino al 2045 a un misterioso fondo arabo per pagare lo stipendio del suo attaccante e star Dani Olmo. Ma chi assicura che nei prossimi vent’anni il famoso club catalano non possa, diciamo, scendere in serie B? O più realisticamente, riusciranno queste squadre e i loro giocatori a mantenere le prime posizioni nell’olimpo calcistico?
Scommesse al rialzo
Ciò nonostante le scommesse rimangono oggi al rialzo, toccando così il punto più avanzato della finanziarizzazione del calcio. Nel campionato inglese, un calciatore in un anno guadagna in media tra i 2,7 milioni di euro (dati del Financial Times) e i 4,1 milioni di euro (dati di Off The Pitch 2023). Lo stipendio annuale di un cameriere a Londra, paragonabile a quello dell’operaio delle catene di montaggio negli anni Settanta di Rivera, è 21mila euro. Quasi duecento volte di meno.
Stellantis a picco ma Juventus incassa
Sul finire dell’anno appena trascorso ha fatto scalpore la buonuscita da 100 milioni di Carlos Tavares, top manager di Stellantis. Negli ultimi tre anni Tavares ha preso stipendi annui oltre cinquecento volte quello di un suo dipendente. Eppure in quegli anni la parte della produzione industriale di Stellantis è crollata, ma grazie agli investimenti e alle speculazioni finanziarie, la holding che possiede la Juventus (con sede in Olanda) ha registrato utili operativi per oltre 60 miliardi di euro. Lo stesso discorso si può applicare al pallone.
Il problema che ci poniamo non è quindi se gli stipendi dei top manager debbano essere equiparati a quelli dei calciatori, come dice Lord Spencer. Ma se ancora vogliamo accettare di vivere in una simile realtà.
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