Fatte le nomine, addio sanità

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Oggi, di fronte all’emergenza, i partiti boccheggiano. La grande fuga dei patrioti di Fratelli d’Italia. Gli scenari

Qualcuno invocava il sorteggio, qualcun altro di scegliere i migliori. Evitando le ingerenze della politica. E basandosi su uno strumento – l’elenco dei “maggiormente idonei” – che tenne fuori alcuni cavalli di razza (retrocessi in Serie B). E’ passato poco meno di un anno dall’affannosa scelta dei 18 manager della sanità siciliana. Il 31 gennaio 2024, l’assessore alla Salute Giovanna Volo ratificò le scelte dei partiti. Che si erano protratte per mesi: tra una puntata nel “retrobottega di Cuffaro” (com’ebbe da ridire qualche esponente di Forza Italia) e i frequenti caminetti di maggioranza, in cui a fare la voce grossa era soprattutto Fratelli d’Italia. Un partito pluripremiato, al di là dei propri meriti (come dimostra la nomina di Walter Messina al ‘Civico’ di Palermo).

E’ passato un anno, ma la politica è rimasta ferma a quelle scelte (e alle successive: la spartizione di direttori sanitari e amministrativi). A quel tentativo impresso sulla carne viva dei pazienti, che oggi si ritrovano con diciotto burattinai a capo di altrettante Aziende e ospedali, ma con le solite questioni irrisolte. Anzi, l’assistenza sanitaria sta invecchiando male: le difficoltà dei Pronto soccorso, le liste d’attesa, le morti di malasanità, lo strappo dei convenzionati sul decreto Schillaci. Tira vento di maestrale, ma i partiti – a cominciare da quello della premier – si sono tirati fuori. Mentre Schifani, che non può farlo, prova strenuamente a dare la scossa. A parole. Durante uno scambio d’auguri col popolo di Tamajo, il suo alter ego verso l’appuntamento elettorale del 2027, è tornato a indignarsi: “Sento il dovere di intervenire personalmente per cercare di capire il perché di certe morti in certi Pronto soccorso, dove i malati stanno nei corridoi e non nelle stanze. Non è possibile. È uno scandalo. Questi scandali non dobbiamo soltanto denunciarli, ma dobbiamo risolverli”.

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Poi, però, la reminiscenza prende il sopravvento: “Se qualcuno non è all’altezza di risolvere i problemi se ne torni a casa. Poltrone di comodo, con Schifani, non ce ne sono più. La questione sanità ospedaliera mi preoccupa molto. Non staremo fermi. La politica è entrata troppo su quelle che sono le nomine e le disfunzioni organizzative della sanità pubblica”. A decidere le ultime caselle, però, è stato il centrodestra. Che un minuto dopo aver concesso l’upgrade ai manager (a metà giugno i commissari straordinari sono diventati direttori generali, senza nemmeno passare dalle ‘forche caudine’ della prima commissione dell’Ars), si è ripulito la coscienza inserendo un codice di valutazione del loro operato. Il nuovo schema di contratto prevede, infatti, “obiettivi specifici e concreti specialmente sulla riduzione delle liste d’attesa, con un monitoraggio trimestrale e una verifica annuale del raggiungimento degli stessi, a pena di decadenza automatica dei direttori generali anche dopo il primo anno dall’insediamento”. Tra le novità, anche il necessario conseguimento del cento per cento delle azioni previste dal cronoprogramma del Piano operativo regionale (Por) della Missione 6 – Salute del Pnrr.

Ma arrivare alla valutazione dell’operato dei manager non sarà facile, come ha riconosciuto qualche giorno fa Davide Faraone. Potrebbe essersi trattato di un furore passeggero, per dimostrare di essere sul pezzo: “Se la Regione non ha trasmesso i dati all’Agenas sulle liste d’attesa, come si farà a destituire i direttori delle aziende sanitarie e a ridurre le liste d’attesa in assenza di parametri?”. Questa è solo una domanda, ma ce ne sono tante altre da evadere. Ad esempio sulla conclusione delle opere finanziate dal Pnrr e sulla effettiva funzionalità di Case e ospedali di comunità, che già nascono a corto di personale. La medicina territoriale dovrebbe venire incontro alla grave crisi degli ospedali, dove oggi è impossibile fare fronte alle emergenze. La sopravvivenza stessa dei Pronto soccorso è messa in serio pericolo dalla carenza di medici e da un altro fenomeno sempre più accentuato: il boarding (o “ricoveri fantasma”).

“Stiamo affrontando situazioni che forse non vedevamo nemmeno durante la pandemia da COVID-19. – spiegano dal Simeu, la Società Italiana dei Medici dell’emergenza-urgenza – Il territorio non filtra più: tutti arrivano in Pronto Soccorso, anche per problemi che si potrebbero gestire altrove. È un accesso disordinato e spropositato. E poi ci sono le diagnosi: ogni paziente richiede esami, radiografie, TAC, consulenze. Questo significa che non possiamo limitarci a visite rapide; siamo costretti a tenerli in attesa per ore, o addirittura giorni. Gli studi evidenziano che la mortalità dei pazienti in attesa di ricovero aumenta dal 2,5% al 4,5% quando il tempo di boarding supera le 12 ore. Inoltre, ogni paziente trattenuto al Pronto soccorso in attesa di un posto letto in reparto genera un ritardo di almeno 12 minuti per gli accessi successivi, aggravando ulteriormente la situazione”.

Di questo la politica non si è occupata. Ma è per questo che la gente muore: all’Ingrassia di Palermo o altrove. Sono le barelle di Schifani stipate nei corridoi. Fuori dalle stanze di degenza. In attesa di essere smistate. Mentre l’assessore alla Salute, Giovanna Volo, è sparita dalla scena, il presidente della Regione deve provare a farsi carico anche di questo. O delle interlocuzioni, sempre più complicate, con il ministro meloniano Orazio Schillaci. Cioè l’artefice di un nomenclatore tariffario – pubblicato in Gazzetta ufficiale ed entrato in vigore nell’arco di tre giorni, il 30 dicembre – che taglia fino al 50% i rimborsi alle strutture convenzionate che effettuano prestazioni per il servizio sanitario. Che adesso non ci stanno dentro coi costi. A pagarne le conseguenze sono i cittadini, che per alcune tipologie di esame (vuoi per la rinuncia dei laboratori ad eseguirle o perché non ancora codificate nei sistemi di prenotazione) devono attenersi al tariffario dei privati. O rinunciare alle cure.

Di fronte a una umiliazione del genere – che ha visto le strutture convenzionate proclamare lo stato d’agitazione – la politica non fiata. I patrioti se ne rimangono muti. Schifani si arrabatta alla ricerca di soluzioni che passano dalla revisione del Piano di rientro (una prospettiva futuribile, ma non attuale). Ma anche gli altri protagonisti dell’agorà siciliana, con pochissime eccezioni, si rigirano i pollici. Oggi, nel corso della riunione di maggioranza convocata a Palermo, affronteranno altri temi, certamente meno ingombranti: a cominciare dalla reintroduzione delle elezioni di primo livello nelle ex province. Trattano la sanità come si trattasse soltanto di nomine e di potere. O di allestire una dispensa di preziose cibarie per gli anni a venire. Poi la abbandonano al suo destino e non se ne curano. Se non dall’opposizione.

Dopo le denunce del renziano Faraone, che ha “costretto” persino Schifani a farsi un giro dei Pronto soccorso per tastare la tragicità degli eventi, solo il Partito Democratico ha avuto un’impennata d’orgoglio, certamente tardiva. Da ieri è partita la spedizione di Barbagallo & Co. in tutti gli ospedali dell’Isola, coi primi resoconti ufficiali. Al “Cervello” dal 31 dicembre ci sono pazienti parcheggiati in barella al Pronto soccorso, perché mancano medici e posti letto nei reparti. All’ospedale Ingrassia ci sono decine di pazienti in attesa e altrettanti ricoverati bloccati, anche per giorni, per essere ricoverati. Nel Pronto soccorso di Ragusa lavorano appena 6 medici a fronte dei 17 previsti dalla dotazione organica, a Marsala sono 4 su 13. “Che Schifani dica oggi che la politica si è occupata di nomine e non di funzionalità delle strutture è importante anche se parliamo di corda in casa dell’impiccato – sostiene Antonello Cracolici -. Perché è lui, col suo governo e con quelli che lo hanno preceduto, che avrebbe dovuto mettere al centro il paziente e non il medico o il manager da nominare. L’estrema politicizzazione del sistema sanitario siciliano sta determinando lacune devastanti che poi pagano i cittadini”. Adesso non serve più parlare o indignarsi. Bisognerebbe agire.





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