Il suicidio di Alma: un dramma privato dietro liti e accuse di fondamentalismo

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Nell’abisso di una tragedia costata la vita a una giovane donna, una tragedia del tutto privata adesso sotto la lente di ingrandimento, qualche indicazione importante potrebbe arrivare da un letto dell’ospedale San Martino. Dove nel reparto di rianimazione da ieri respira autonomamente la donna che martedì mattina in un palazzo di via Cantore ha imitato la sorella suicida pochi minuti prima, e si è buttata nel cavedio dal quarto piano. Se la più giovane delle due, 32 anni appena (che su queste pagine abbiamo chiamato con il nome di fantasia Alma), è morta sul colpo lasciando quattro bambini, la sorella maggiore 36enne è sopravvissuta e appena le sue condizioni psicofisiche lo consentiranno, potrà parlare agli inquirenti coordinati dal pm Luca Monteverde.

Il magistrato ha deciso di disporre l’autopsia sul corpo di Alma, e nelle prossime ore valuterà quale reato iscrivere per effettuare gli esami. Nel frattempo, però, la squadra mobile della polizia sta scandagliando la vita in quelle quattro mura divenute asfittiche per le due due sorelle, che ormai vivevano stabilmente insieme, con i quattro bimbi dai 2 agli 8 anni. Il marito della donna, che gli investigatori hanno appurato non fosse in casa al momento della tragedia, era stato più volte denunciato dalla moglie e dalla cognata: in un primo procedimento l’uomo, albanese come le due donne, era stato condannato a quattro mesi per sequestro di persona nei confronti della moglie e assolto dall’accusa di lesioni, mentre un secondo dibattimento per maltrattamenti è ancora in corso (da qui il divieto di avvicinamento dell’uomo alla casa di via Cantore, ancora in vigore martedì mattina). Anche lui, però, ha controdenunciato la moglie, raccontando altri episodi in cui sarebbe stata lei ad alzare le mani.

In tutte le querele delle due donne l’operaio edile, di religione islamica e acceso praticante, viene descritto come radicalizzato e accusato di voler imporre alla moglie l’osservanza più rigida della religione musulmana, compreso l’uso del velo, e di essere vicino a “terroristi” che graviterebbero intorno alla moschea di via Castelli, a Sampierdarena. In più, la donna lo ha accusato anche di fare viaggi “sospetti” in Svizzera e in Arabia Saudita in compagnia di un amico. Per questo di lui si è occupata anche la Digos, che in passato ha sequestrato il telefono dell’uomo compiendo accertamenti partendo proprio dalle dichiarazioni delle due sorelle. Nel dispositivo elettronico dell’operaio non sono stati trovati elementi significativi, ma vista la gravità delle accuse gli accertamenti degli investigatori sono stati a più ampio raggio e su questo aspetto il riserbo della Procura al momento è massimo. Se l’aspetto religioso non sembra dunque al centro del gesto drammatico compiuto dalla donna, è senza dubbio uno dei frammenti che compongono un mosaico di dolore, litigi, violenze psicologiche in una relazione che fin dai primi mesi del 2023 è precipitata. Come Alma peraltro ha sempre raccontato alle amiche, spiegando di essere terrorizzata che i quattro figli potessero diventare fanatici religiosi.

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Ma forse a scatenare l’angoscia di Alma, più che la paura del futuro percorso religioso dei bambini, è stato il timore di perderli proprio, quei quattro bambini ora affidati allo zio paterno. Perché venerdì ci sarebbe stata l’udienza di fronte al tribunale di famiglia, mentre lo scorso 20 dicembre il giudice aveva stabilito, con l’assenso della stessa Alma, che i quattro potessero stare con il padre durante tutte le vacanze di Natale. Come è accaduto. Il 2 gennaio, tra l’altro, la donna aveva chiamato la polizia sostenendo di non sapere dove fossero i figli. Anche in questo senso, allora, per gli inquirenti sarà fondamentale sentire il racconto della sorella di Alma. Forse gli stessi bambini, già seguiti dai servizi sociali, hanno detto qualcosa a proposito del futuro che potrebbe aver portato Alma a reagire nel modo più tragico.

Parla il marito

L’accusa di essere un fondamentalista islamico, per quel che può influire sulla tragedia privata di via Cantore, viene respinta con forza dal marito di Alma.

L’uomo, difeso dall’avvocata Anna Serafino, ha messo nero su bianco in diversi documenti finiti agli atti dei molteplici processi come «quei viaggi in Arabia Saudita e Svizzera» fossero trasferimenti «a cui lei aveva dato il consenso e per andare a trovare un vecchio amico».

Per il resto, i documenti ora al vaglio degli investigatori sono una sequenza di controaccuse nei confronti della moglie dell’operaio e della cognata, un quadro che nelle sue peculiarità (come ogni storia privata si porta con sé) racconta una triste situazione di coppia come ce ne sono altre. Dove, secondo l’uomo, c’entrerebbe anche uno stato depressivo dopo l’ultima gravidanza.

E allora, parlando di una donna all’epoca ancora in vita, ecco che nella versione dell’uomo «lei mi aveva denunciato per gelosia. Ha iniziato ad accusarmi ingiustamente di avere storie extraconiugali o amicizie inadeguate. È arrivata a distruggermi un telefonino e a farmi perdere i clienti. Aveva iniziato a chiamare una di loro dicendo che eravamo amanti finché il marito non mi ha chiamato dicendomi di farla smettere e di non farmi più vedere». Pessimi i rapporti anche con la cognata, che ora gli inquirenti contano di riuscire a sentire.

Nella memoria inoltre l’uomo spiega di essere stato a sua volta aggredito dalla moglie che lo avrebbe graffiato e gli avrebbe nascosto i documenti tra cui il passaporto, impedendogli di fatto di poter andare a trovare il padre malato in Albania. Si era fatto refertare e solo successivamente alla denuncia della donna l’aveva a sua volta controdenunciata. Accuse che Alma ormai non può più affrontare, ma che testimoniano il contesto nel quale è maturata la tragedia di lunedì mattina, che poteva avere risvolti ancor più drammatici se la sorella di Alma non si fosse miracolosamente salvata.

I quattro bambini, nel frattempo, dovranno affrontare giorni terribili. Con il supporto di psicologi e dei servizi sociali che già li seguivano, dovranno sentirsi dire che la mamma non c’è più e che la zia non sta affatto bene

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