Primo morto sul lavoro del 2025 in Calabria: dov’è chi dovrebbe far rispettare le regole?

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di Fiore Isabella

La prima vittima dell’insicurezza sul lavoro in Calabria si registra il terzo giorno dall’avvento del 2025. Ancora si sentono i botti di saluto al nuovo anno che Lamezia Terme, la Calabria e l’Italia intera piangono i loro morti; non morti per caso, ma lavoratori esposti sistematicamente al rischio nonostante il D.Lgs. 81 entrato in vigore il 15 maggio 2008; 306 articoli e 51 allegati, organizzati in vari titoli che ne delineano la struttura.

Cito sinteticamente i primi 87 articoli che riguardano: i principi comuni (dall’art. 1 al 61) tra cui la gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro e norme penali; le disposizioni generali e sanzioni relative ai luoghi di lavoro (dall’art. 62 al 68); Uso delle Attrezzature e Dispositivi di Protezione Individuale: l’utilizzo di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale, impianti e apparecchiature elettriche (dall’art. 69 all’art.87). Ce n’è a sufficienza per affermare che l’attività del legislatore è stata proficua e quel che è mancato e manca è il controllo del rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro. Dove sono i finite le figure responsabili della sicurezza? I datori di lavoro? I responsabili del servizio di prevenzione e protezione? I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza? Dove sono finite le istituzioni e la politica?

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Anche in questo caso le dichiarazioni post mortem di Francesco Stella non si sono fatte attendere, a partire dal governatore della Calabria Occhiuto per finire alle forze sindacali: “È una situazione inaccettabile”; “Momento che richiama alla responsabilità nel garantire sicurezza”; “Ogni morte sul lavoro è un fallimento”; “Necessari controlli adeguati per garantire applicazione norme”; “Rafforzare misure di sicurezza per proteggere i lavoratori”; “Si investa ogni giorno di più nella sicurezza sul lavoro”; “Istituire tavolo di lavoro straordinario”. Per finire all’unanime cordoglio. Ma a parte il cordoglio che si associa alla morte a prescindere da chi ne porta la responsabilità (e spetta ai tribunali stabilirne il grado), è indiscutibile che le leggi esistono ma chi dovrebbe rispettarle e farle rispettare non si sa dove sia finito.

Le morti sul lavoro aumentano di anno in anno e ciò vuol dire che la responsabilità delle morti bianche non è attribuibile al destino beffardo, ma a chi non rinuncia ad un centesimo di profitto, fottendosene altamente della sicurezza di chi ha solo le braccia per guadagnarsi il pane. Un ricordo personale mi sovviene ogni volta che il diritto ad un lavoro sicuro si associa alla prevedibilità della morte: mio padre, due mesi prima che io nascessi, emigrò nel 1952 in Canada. Trovò lavoro in un’impresa canadese impegnata nella costruzione della rete fognante di Toronto. L’uomo di fiducia dell’impresa era suo zio, il fratello di sua madre, che ogni mattina gli ripeteva come un mantra: “Figliolo, tu che sei mio nipote devi, rispetto agli altri operai, lavorare di più e pretendere di meno!”. Quattro anni dopo, erano ancora anni in cui la vita di un operaio era legata al caso e non certo alle misure di sicurezza; rimase imprigionato, per circa un’ora, in una galleria interessata da un crollo improvviso e sprovvista di misure di protezione. Si salvò per puro miracolo. Altri suoi colleghi e amici, in simili frangenti, ci avevano lasciato la pelle.

Oggi viviamo in un paese con prescrittive leggi di tutela di chi lavora, ma la volontà di applicarle rimane un interrogativo stringente perché i padroni (che esistono ancora), le istituzioni e la politica le maglie dei controlli della sicurezza preferiscono mantenerle larghe. E mentre a Lamezia Terme il nostro giovane concittadino Francesco Stella ha aperto, per il 2025, il registro delle morti bianche, a me non rimane che recitare in silenzio una laica preghiera. Ma quanta rabbia per una famiglia intera che dal lavoro si aspettava tante cose buone e non dolore!

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