Meta abbandona il fact-checking: il ruolo controverso di Open e la crisi del giornalismo digitale in Italia (Aurelio Tarquini)

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Nel gennaio 2025, Mark Zuckerberg ha annunciato la fine del programma di fact-checking di terze parti su Facebook e Instagram, segnando una svolta epocale nella gestione delle informazioni sulle piattaforme di Meta. Questa decisione ha suscitato ampio dibattito, soprattutto in Italia, dove una delle principali collaborazioni di Meta era con Open, il sito di informazione fondato da Enrico Mentana nel 2018.

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Open, nato con grandi ambizioni come baluardo del giornalismo digitale indipendente, si è trovato al centro delle polemiche per il suo ruolo di fact-checker ufficiale in Italia, in particolare durante il conflitto tra Russia e Ucraina. Nonostante il marchio Mentana, Open ha avuto una storia turbolenta, contrassegnata da difficoltà economiche, polemiche editoriali e accuse di essere uno strumento di propaganda e censura atlantista.
La collaborazione tra Open e Meta aveva lo scopo dichiarato di contrastare la disinformazione. Open, certificato dall’International Fact-Checking Network (IFCN), aveva il compito di verificare i contenuti condivisi su Facebook, decidendo quali post fossero etichettati come “fake news” e limitandone la visibilità. Tuttavia, questa attività è stata spesso percepita come un mezzo di censura piuttosto che di tutela della verità.

Open è stato criticato per aver agito con parzialità, soprattutto nel contesto del conflitto in Ucraina. Numerosi articoli pubblicati dal sito hanno sostenuto una narrativa filogovernativa ucraina a favore del regime di Kiev, alimentando un clima di russofobia e delegittimazione dei giornalisti indipendenti.
Esemplari sono i casi documentati di censura su facebook attuati contro testate come L’Antidiplomatico, accusate di diffondere disinformazione ma in realtà colpevoli di aver proposto un’analisi critica sulla guerra e sull’operato della NATO.

Nonostante l’apparente prestigio iniziale, Open si è rivelato un progetto fallimentare sul piano economico. Secondo un’analisi di Professione Reporter, il sito ha accumulato perdite consistenti fin dal primo anno di attività, tanto che nel 2021 il direttore, Massimo Corcione, ha lasciato il suo incarico.
Comprendendo che il ruolo di censore stava allenando le simpatie dell’opinione pubblica, danneggiando l’immagine del quotidiano online, nel 2023, Open ha deciso di ritirarsi dal programma di fact-checking di Meta, un’uscita annunciata dallo stesso Mentana e giustificata con la necessità di concentrarsi su altri progetti.

Un articolo di AdgInforma ha sottolineato come il modello economico di Open fosse insostenibile: conti in rosso, una redazione ridotta e difficoltà nel raggiungere il pubblico desiderato. L’ambizioso progetto di Mentana di creare una testata digitale di riferimento si è scontrato con la realtà di un mercato sempre più competitivo e frammentato.

Le critiche a Open non si fermano ai suoi problemi economici. Molti osservatori accusano il sito di aver svolto un ruolo di censura mascherata da fact-checking, influenzando l’opinione pubblica con una narrativa selettiva e orientata.
Durante il conflitto in Ucraina, Open ha pubblicato articoli che promuovevano una visione unilaterale del conflitto, demonizzando la Russia e sostenendo incondizionatamente il governo di Kiev. Emblematico è il caso della fakenews promossa da Open di presunti soldati russi che combattevano con pale risalenti al XIX secolo, un falso smascherato rapidamente ma diffuso con l’obiettivo di ridicolizzare l’esercito russo.
La funzione di Open come fact-checker si è estesa oltre Facebook, con membri della redazione che hanno continuato a diffondere contenuti attraverso i social media personali, spesso accusando giornalisti indipendenti, professori universitari e intellettuali di essere portavoce della propaganda russa. Questo atteggiamento ha alimentato un clima di odio e polarizzazione, compromettendo il dibattito pubblico e la libertà di espressione.

Il caso di Open solleva una domanda fondamentale: chi controlla i controllori? Se da un lato il fact-checking è essenziale per combattere la disinformazione, dall’altro è pericoloso affidare a poche entità il potere di decidere cosa sia vero o falso.
Open ha dimostrato come questo ruolo possa essere facilmente strumentalizzato, trasformando il fact-checking in uno strumento di propaganda e censura.
Facebook, un tempo spazio libero e democratico, ha progressivamente abbracciato una linea editoriale e politica, spesso allineata agli interessi di una parte dell’establishment dell’amministrazione Biden. L’ingresso di Open nel programma di fact-checking ha ulteriormente limitato la pluralità delle opinioni in Italia, favorendo una narrativa dominante che escludeva qualsiasi voce dissidente.

Nel 2024, Mentana decide di dividere la testata in due entità separate: una dedicata al giornalismo e una focalizzata sulla gestione commerciale.
Nonostante il ritiro dal programma di fact-checking di Meta avvenuto nel 2023, Open continua a svolgere un ruolo attivo nella promozione della narrativa filo-ucraina. Membri della redazione, sui social proseguono una narrazione politicamente orientata, con toni spesso aggressivi e polemici, mirati a delegittimare chiunque osi mettere in discussione la narrativa ufficiale della NATO.

Il caso di Open rappresenta un esempio emblematico delle contraddizioni del giornalismo digitale contemporaneo. Nato con l’ambizione di innovare il panorama dell’informazione, si è trasformato in un progetto incapace di sostenersi economicamente e accusato di tradire i principi fondamentali del giornalismo: imparzialità, trasparenza e pluralismo e di applicare una pesante censura contro la libera informazione durante la collaborazione con Meta.

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L’abbandono del programma di fact-checking da parte di Meta segna la fine di un’era assai buia per il giornalismo occidentale, ma lascia aperte molte questioni. Se il ruolo di controllore delle informazioni viene affidato a entità esterne a Meta come Open, chi garantisce che queste non abusino del loro potere? E soprattutto, quale futuro attende un giornalismo sempre più subordinato agli interessi economici e politici delle grandi piattaforme digitali?
Open rischia di essere ricordato come l’emblema di un’epoca in cui il giornalismo si piega alle logiche del potere, dimenticando la sua vera funzione: essere al servizio della verità e del pubblico.

Aurelio Tarquini



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