Il delitto di Piersanti Mattarella e quelle “svolte” che non esistono

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Ormai fanno a gara storici, commentatori, procuratori, giuristi (e sempre più giornalisti) per accollare solo ai Corleonesi i crimini più devastanti compiuti in Italia nell’ultimo mezzo secolo. Mafia e solo mafia, è una narrazione che piace. Verità sempre più lontane

Quando dicono che è solo mafia a me sembra uno scherzo. E però ci sono quelli che si accalorano, che provano a spiegarti e a rispiegarti come stanno veramente le cose, quasi ti compatiscono perché non capisci.

Perché – dicono – lo scalpo di Totò Riina non ti basta, non ti bastano le tracce di sangue lasciate dai suoi Corleonesi, non ti basta la camera dove torturavano i nemici di cosca, non ti bastano gli incaprettati, le lupare bianche e nemmeno i cadaveri dei bambini sciolti nell’acido? Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa? È stato Totò Riina. Falcone? È stato Totò Riina. Borsellino? È stato Totò Riina. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici? È stato Totò Riina.

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Ormai fanno a gara, storici, commentatori, procuratori, giuristi (e sempre più giornalisti) per accollare a quei quattro contadini con le scarpe sporche di fango i crimini più devastanti compiuti in Italia nell’ultimo mezzo secolo. Bombe, magistrati saltati in aria, uomini politici assassinati a distanza di pochi mesi uno dall’altro. Sempre e solo loro: Totò Riina & co.

Notizie riciclate

Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere la mia opinione sul delitto Mattarella, il presidente della regione siciliana e il fratello del capo dello stato, ucciso il giorno dell’Epifania di quarantacinque anni fa giù a Palermo. Ho aspettato pazientemente in attesa che si abbassasse il rumore dopo la pubblicazione di alcune cronache che ho trovato molto approssimative, notizie in parte riciclate, articoli pasticciati su un omicidio a mio avviso più politico che mafioso, più italiano (e americano) che siciliano.

Collegato da una parte al sequestro e all’uccisione del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e dall’altra a quella di Pio La Torre, tre delitti con una sola grande trama nel labirinto Italia. Certo che c’entra la mafia per l’omicidio Mattarella. Come c’entra per l’omicidio La Torre, come c’entra per la strage di Capaci e per quella di via D’Amelio. Tutti delitti avvenuti non casualmente a Palermo. Ma ciò non significa che, insieme alla mafia, non ci sia stato qualcuno altro.

Però in tanti (in realtà sempre più numerosi) ci stanno venendo a spiegare un’altra volta che uno dei delitti del Dopoguerra più strategici nell’Europa divisa nei blocchi Est-Ovest è stato esclusivamente ideato e realizzato fra le masserie di Corleone e i giardini di limone della Piana dei Colli che era il regno palermitano dei Madonia. È da ventisette anni che siamo ufficialmente a conoscenza di Nino Madonia come uno dei sospetti killer del presidente Piersanti Mattarella, è esattamente dal 1998 che sentenze passate in giudicato ci informano che quel mafioso è stato “chiamato” da una mezza dozzina di pentiti come probabile sicario di Mattarella.

«Io lo vado ripetendo ai magistrati dal 1992», ci ha fatto sapere in questi giorni anche Gaspare Mutolo, collaboratore di giustizia originario proprio del territorio dei Madonia.

I complottisti

Sospetti erano ieri e sospetti sono oggi. Ma in occasione dell’ultima commemorazione della morte del presidente della regione siciliana, il sospetto si è trasformato improvvisamente in verità: è lui, è Nino Madonia, è mafia. E quando si dice mafia è sottinteso che è solo mafia, senza altro o altri nei paraggi.

Da un po’ di tempo va molto di moda questa narrazione di una Cosa nostra unica regista della stagione del terrore, piace, scaricare tutto sulle spalle dei Corleonesi è come una benedizione. I servizi deviati? La Gladio? I neri della strage di Bologna? Cose da complottisti. E le indagini che il giudice Falcone ha inseguito fino ai suoi ultimi giorni vita, anche quando era a Roma agli Affari Penali del ministero della Giustizia, sui neofascisti? Una sbandata, un fuoripista.

Non voglio dilungarmi sulle “clamorose svolte” delle indagini che si registrano puntualmente a ogni anniversario perché ogni commento è superfluo. Non voglio neanche entrare nel merito dell’inchiesta giudiziaria perché la procura di Palermo avrà valide ragioni per avere iscritto nel registro degli indagati anche Giuseppe Lucchese (di Madonia se n’era abbondantemente parlato), e probabilmente gli inquirenti avranno elementi in più su altri componenti del commando entrato in azione il 6 gennaio 1980.

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Non voglio fare previsioni avventate, ma non escluderei che il 6 gennaio del 2026 potremo scrivere di una richiesta di rinvio a giudizio per i due mafiosi e forse il 6 gennaio del 2027 scrivere sempre di loro portati a processo. E poi? Poi niente. Cosa volete, pure la verità?
 

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