Sotto i riflettori il canovaccio, quello più scontato di qualunque altro, è andato in scena sin dal primo giorno. Il Campo largo – dai Cinque Stelle al Pd – ha gonfiato il petto, schierandosi al fianco di Alessandra Todde, la presidente della Regione Sardegna ora in bilico per essere stata dichiarata decaduta dalla Corte d’appello di Cagliari, a causa di un presunto pasticcio sulle spese elettorali sostenute un anno fa. Dall’altra il centrodestra ha fatto lo stesso, ma nel senso opposto: «Chi ha sbagliato, non ha scampo. Deve andare a casa». Dietro la facciata, invece, tutto è molto più complicato, meno netto. Gli esperti di diritto continuano ad aver pareri contrapposti su come la governatrice potrà e dovrà ricorrere contro l’ordinanza che sembra averla messa spalle al muro (anche se lei ha già replicato in tutte le occasioni: «Sono tranquillissima. Ho la coscienza posto. Ho fiducia nella magistratura e tutto si chiarirà nei prossimi gradi di giudizio»). Solo che per scrivere la parola fine ci vorrà ancora del tempo, almeno un anno, stando alle previsioni più ottimistiche, Nel frattempo, neanche tanto sottotraccia, la tensione si fa sempre più alta, dentro e fuori le coalizioni, e oggi – finite le feste natalizie – i commessi riapriranno le porte del Consiglio regionale.
Stando alle voci di corridoio, il Partito democratico è indispettito con i Cinquestelle, il partito della presidente Todde, per gli errori che il Movimento avrebbe commesso nei preliminari e durante la campagna elettorale del 2024: «Come si fa a non conoscere le regole del gioco prima di scendere in campo?», è l’accusa dei Dem, abbastanza infastiditi. Finora i Cinquestelle hanno replicato agli alleati: «Errori non ne abbiamo commesso, e dimostreremo come la decadenza è una punizione esagerata». Fra i due partiti, almeno in Sardegna qualche scintilla, punzecchiatura, c’è già stata, anche se dai leader nazionali è arrivato subito un perentorio ordine di scuderia: «State tutti zitti, non facciamoci vedere divisi proprio in questo momento. Restiamo compatti».
Anche nel centrodestra, al di là della facciata, i pareri sul come comportarsi sembrano apparire abbastanza diversi: Forza Italia e la Lega sono partite lancia in resta, sollecitando «un immediato passo indietro» alla presidente Todde. Fratelli d’Italia, invece, al’inizio è parsa molto più cauta, anche se poi il capogruppo in Consiglio regionale, Paolo Truzzu, il candidato presidente del centrodestra, sconfitto nel 2024 da Alessandra Todde per poche migliaia di voti, ha detto: «Mettiamo in sicurezza i conti della Regione e restituiamo la parola agli elettori, perché nessuno di noi consiglieri è oggi in grado di dire dove e cosa farà fra qualche mese».
Ma in verità e nessuno dei 59 onorevoli in carica vuole davvero andare a casa, neanche quelli di minoranza. Dopo aver speso, investito, un bel po’ di soldi nell’ultima campagna elettorale, quella del 2024, il ritorno alle urne sarebbe un’inaspettata “botta” economica. È anche per questo motivo che potrebbe esserci più di una sorpresa quando il Consiglio regionale sarà chiamato a pronunciarsi sull’ordinanza di decadenza, considerando che il voto sarà scrutinio segreto e qualche sbandamento potrebbe esserci anche fra i banchi dell’attuale minoranza.
L’INDAGINE
In attesa di quanto accadrà in futuro più o meno prossimo, ci sono due novità. La procura della Repubblica di Cagliari ha aperto un fascicolo d’indagine, dopo aver ricevuto dal Collegio di garanzia il verbale di decadenza della presidente della Regione. È un atto dovuto, fanno sapere dal palazzo di giustizia, ma l’ipotesi di reato potrebbe essere il falso in atto pubblico, cioè nel rendiconto presentato dal Comitato M5s che sosteneva la candidata presidente Alessandra Todde.
La seconda novità è legata a un intreccio fra dichiarazioni e memorie scritte della stessa governatrice. Dieci mesi fa, davanti alle telecamere della trasmissione «Piazza pulita» sulla 7, Todde dichiarava: «Nessun finanziamento esterno. Ho pagato con i miei soldi gran parte della mia campagna elettorale». Poi a giugno, nel presentare al collegio di garanzia il rendiconto delle spese (ma è quello del Comitato, non il suo), risultano invece introiti e costi in pareggio per 90mila euro. Infine , l’ultima e terza versione, neanche un mese fa, nella sua replica alle prime contestazioni della Corte d’appello: «Dichiaro sul mio onore di non aver sostenuto spese, né ricevuto contributi, ma di essermi avvalsa solo di materiali propagandistici che mi sono stati messi a disposizione dalla coalizione». Anche sotto questo aspetto, così pare, la confusione è stata tanta, ma per colpa di chi: della candidata governatrice o dei Cinque Stelle?
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