La cultura come argine alla sopraffazione. Impegnarsi nella formazione alla pace rilanciando la nonviolenza efficace come strategia educativa (Laura Tussi)

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I giovani debbono assumere una piena consapevolezza delle sfide del terzo millennio dalla diseguaglianza globale, ai dissesti climatici, alla potenziale, ma quanto mai imminente e irreversibile, guerra nucleare

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Secondo Sigmund Freud, padre della psicanalisi e quindi di una parte importante della cultura contemporanea, il lavoro dell’educatore, come quello dello psicanalista e del politico, è un mestiere impossibile.
Non c’è bisogno di condividere in pieno questo giudizio per rendersi conto di quanto sia impegnativa l’azione educativa, formativa e analitica.
Le difficoltà sono di diverso tipo: di relazione interpersonale, di comunicazione, di linguaggio, di metodologia e spesso si assiste al prevalere del trasmettere sul comunicare come direbbe Danilo Dolci, maestro di educazione maieutica.
Paradossalmente, la letteratura su questo tema cresce notevolmente con continue nuove proposte che sovraccaricano educatori, insegnanti, analisti e formatori rendendo il loro compito ancora più difficile, schiacciati tra diverse esigenze concrete e impellenti, dai programmi da svolgere, dalle carenze strutturali, organizzative, economiche del mondo scolastico, dalla disattenzione della società che invia messaggi diseducativi o quantomeno in forte contrasto con quelli che l’educatore, il formatore, lo psicologo cercano di trasmettere nel fare esperienze dirette.
E così sottoporsi al forte impatto dell’incontro con realtà culturali molto diverse dalle nostre è un modo intelligente per cercare di suscitare nei giovani quegli interessi e quelle curiosità che, pur innati in molti di loro, spesso vengono sopiti dal consumismo dilagante di mode effimere.

Si tratta di quella irrequietezza giovanile che, se incanalata positivamente, può aprire ai ragazzi strade nuove e impreviste, favorendo lo sviluppo delle loro capacità e creando un clima di fiducia e di impegno.
Si tratta inoltre di accogliere la sfida lanciata dai venti premi Nobel per la pace, con un appello delle Nazioni Unite, che sia dedicato all’educazione alla nonviolenza dei bambini e delle bambine nel mondo.
La nonviolenza che fa fatica a entrare nel nostro vocabolario educativo e soprattutto nelle nostre pratiche metodologiche. Ma è oggi assolutamente indispensabile educare le nuove generazioni alla nonviolenza attiva e efficace se vogliamo che l’umanità abbia un futuro sostenibile e desiderabile.
Questo intenso investimento non può limitarsi a proporre i modelli classici della competitività e della carriera, ma deve prospettare la creazione di condizioni perché il mondo della scuola diventi un vero e proprio laboratorio della nonviolenza, dove fare germogliare e crescere questa esile pianta.

In questa ambiziosa impresa siamo tutti coinvolti: insegnanti, educatori, genitori, psicologi, analisti, associazioni del mondo della solidarietà, della cooperazione e della nonviolenza, amministrazioni, amministratori politici e questo impegno ci può indicare una possibile e concreta strada da percorrere. Si sa bene quante e quali difficoltà si incontrano nel cercare di fornire ai propri studenti strumenti utili per una migliore comprensione dei principali fenomeni quali la globalizzazione, il neocolonialismo, il neoliberismo, il divario nord-sud, gli squilibri ambientali caratterizzanti il mondo attuale e comprenderlo nel suo tormentato divenire storico.
È divenuto quantomai importante, oltre che efficace strumento di prevenzione contro il diffuso atteggiamento di pregiudizio razziale, trasmettere il messaggio di quanto ricca può essere la diversità, intesa come differenza culturale, naturalistica cioè biodiversità e paesaggistica e altro.

Credo che i giovani abbiano bisogno di capire che nel mondo esistono diversi modelli di vita e indagare questo mare di differenze certamente è stimolante e arricchente per la nostra stessa esistenza di persone.
Ci attendono sfide assai difficili e una sempre più diffusa cultura della nonviolenza e della cooperazione e della solidarietà umanistica e umanitaria non soltanto sono elementi necessari, ma rappresentano la nostra speranza per una convivenza accettabile tra donne, uomini, popoli e per un inserimento sostenibile della nostra specie come parte integrante della natura.
Le giovani generazioni sono poco ideologizzate e hanno scarsa coscienza politica e hanno bisogno, nel loro realismo spesso disilluso di avere di fronte esempi concreti, persone credibili, testimonianze sul campo.
Inoltre, i giovani parlano un loro linguaggio, legato alla loro particolare sensibilità e non è sempre facile per noi adulti calarsi in questo originale codice comunicativo. Dunque è necessario trasmettere un codice fondato sulla nonviolenza efficace come innovativa strategia educativa che porti i giovani alla piena consapevolezza delle sfide del terzo millennio dalla diseguaglianza globale, ai dissesti climatici, alla potenziale, ma quanto mai imminente e irreversibile, guerra nucleare.

Laura Tussi

Nella foto: Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi e figura centrale del pensiero moderno, offre un grande contributo alla formazione alla pace, in particolare con il carteggio con Albert Einstein dal titolo “Perché la guerra?”, nel quale emergono elementi fondamentali per comprendere le radici della violenza e promuovere un approccio consapevole alla risoluzione dei conflitti.
Freud identifica nell’essere umano due pulsioni fondamentali: Eros, la pulsione di vita che tende a creare legami e connessioni, e Thanatos, la pulsione di morte che spinge verso la distruzione e l’annullamento. Queste forze sono in costante tensione, non solo a livello individuale ma anche collettivo. La violenza, secondo Freud, non è un’anomalia, bensì una potenzialità inscritta nella natura umana, una forma attraverso cui la pulsione di morte può manifestarsi.
Questa visione, seppur disincantata, offre un punto di partenza cruciale per un’educazione alla pace: il riconoscimento della violenza come parte integrante della condizione umana. Solo accettando questa realtà si può lavorare per mitigare i suoi effetti e incanalare le pulsioni distruttive verso esiti costruttivi.

Freud vede nella cultura il principale antidoto contro la violenza. La costruzione di legami sociali, il rispetto delle norme condivise e l’elaborazione simbolica delle tensioni sono strumenti attraverso cui la pulsione aggressiva può essere sublimata. L’educazione gioca un ruolo chiave in questo processo, poiché aiuta gli individui a sviluppare capacità di autocontrollo, empatia e riflessione critica.
Nel suo dialogo epistolare con Einstein, Freud sottolinea l’importanza di rafforzare i legami emotivi tra le persone per contrastare le tendenze bellicose. Le istituzioni educative, dunque, possono favorire una cultura di pace promuovendo la cooperazione, la comprensione reciproca e la valorizzazione delle differenze.

Un altro contributo significativo di Freud è l’invito a esplorare le profondità dell’inconscio. La psicoanalisi offre un metodo per riconoscere e gestire le pulsioni aggressive, aiutando gli individui a non essere sopraffatti dalle proprie emozioni distruttive. Questo processo di auto-conoscenza può essere esteso anche a livello collettivo, promuovendo un’analisi critica delle dinamiche sociali e politiche che alimentano la violenza.
Ad esempio, l’educazione alla pace può trarre ispirazione dall’idea freudiana di “proiezione”, un meccanismo di difesa che porta a vedere negli altri le proprie caratteristiche negative. Riconoscere e decostruire queste dinamiche è essenziale per superare pregiudizi e conflitti.

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Freud non è un utopista. Nel suo pensiero, non vi è spazio per un pacifismo ingenuo che ignori le complessità della natura umana. Tuttavia, la sua analisi lucida delle radici della violenza e del ruolo della cultura fornisce strumenti utili per un pacifismo critico e consapevole. Invece di aspirare a eliminare completamente la violenza, Freud invita a riconoscerla, comprenderla e trasformarla.
Sigmund Freud, con il suo approccio profondamente realistico e la sua attenzione alle dinamiche inconsce, offre un contributo inestimabile per un’educazione alla pace. La sua opera ci ricorda che la pace non è un punto di partenza naturale, ma un processo da costruire giorno per giorno, attraverso il dialogo, l’educazione e la consapevolezza delle forze che ci abitano. Freud, dunque, non è solo il padre della psicoanalisi, ma anche una fonte inesauribile di riflessioni per chiunque desideri lavorare per un mondo più giusto e pacifico.

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Bibliografia essenziale:
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altri

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