E se la metto sullo scherzo? Anzi, se uso l’autoironia sulle vicende che mi hanno riguardato? Utilizzando questo registro posso rivendicare un premio, il premio al “tontolone”.
Ché non è facile raggiungere un record, essere stato “licenziato” due volte, prima dal padre e poi dalle figlie, ed entrambe le volte con una mancanza di garbo, con un cinismo che anche a me, che non sono permaloso ma anzi portato alla mitezza, non fa certo piacere.
La prima volta.
Ero segretario generale della Fondazione Orestiadi e collaboravo con il suo presidente, in tempi di grande difficoltà per quella istituzione. C’erano – o mi pareva ci fossero – tra noi due un bel rapporto umano e una piena sintonia nel comune impegno di consentire la prosecuzione delle attività.
C’era allora ed è rimasta in me l’ammirazione per un uomo di straordinario valore che aveva, come spesso usa dirsi, trasformato l’utopia in realtà. Aveva fondato la nuova Gibellina facendone uno dei centri di maggiore rilievo dell’arte contemporanea. Davo il mio contributo, apprezzato e riconosciuto. Spendevo il mio antico trasporto per l’arte e la cultura, utilizzavo le mie capacità per organizzare e tenere in vita l’istituzione, mi avvalevo dei legami politici trasversali propri di chi già a quel tempo era un vecchio democristiano. Ricordo bene, e non posso ovviamente dimenticare, che eravamo insieme una sera a ragionare di progetti e di difficoltà e c’eravamo dati appuntamento per il giorno successivo. Ma proprio quel giorno ricevetti da Corrao una fredda, burocratica lettera di licenziamento. Non ne fui lieto né ovviamente riconoscente. Tuttavia non immaginai neppure per un momento di percorrere le vie legali da dipendente, né di mettere in discussione il valore dell’opera realizzata dall’autore della cacciata. Ché una certa dose di cinismo, anche se ti faceva male, la davi quasi per scontata in un uomo con quella storia.
Tra questo primo licenziamento e il secondo, ché le recenti dimissioni, credo si sia capito bene, non sono state un gesto di stizza ma il risultato di comportamenti lucidamente orientati a farmi capire che dovevo togliere il disturbo, c’è stato un lungo intermezzo. C’è stata nel 2015 la preghiera di una delle figlie di prendere io in mano la Fondazione Orestiadi, nel momento nel quale stava per terminare definitivamente la propria esperienza. Accettai e misi mano ad un tentativo che sembrò a tutti velleitario e privo di speranza. Non fui per nulla condizionato dal ricordo di quella vicenda lontana, ché semmai, in tutti questi anni, con le scelte concrete che hanno salvato il progetto di Corrao, con gli scritti e con le parole, ho fatto di tutto per preservare ed alimentare la memoria di uno dei protagonisti della storia politica e culturale della nostra terra. La Fondazione è da tempo risanata, il personale ha mantenuto il posto di lavoro ed è stato perfino incrementato, è stata elevata l’asticella delle iniziative e le Orestiadi sono stabilmente presenti oggi, oltre che a Gibellina, a Palermo e ad Agrigento e con la propria storia antica e con quella degli ultimi dieci anni hanno creato le condizioni per fare ottenere alla città il riconoscimento di prima capitale dell’arte contemporanea. Alla fine del mese passato la Fondazione è stata destinataria, da parte del governo e dell’Assemblea, di un finanziamento inaspettato, con un incremento di 500.000 euro rispetto alla proposta della Giunta. Un risultato, è appena il caso di sottolinearlo, dovuto anche al costante, perfino sfibrante impegno personale.
E tuttavia, con un’originale motivazione, inventando un istituto non previsto finora in nessun testo del diritto del lavoro, l’eccesso di risultati, sono stato indotto a lasciare la presidenza della Fondazione.
Di fatto sono stato per la seconda volta licenziato, ancora per mano dello stesso nucleo familiare, sempre peraltro prodigo, perfino eccessivamente, di apprezzamenti melensi e formale gratitudine.
Al cinismo, che ha una sua perversa dignità, si è aggiunta una notevole dose di ipocrisia, una roba di nessun valore.
Nel mondo al quale ogni tanto, con colpevole ingenuità nonostante i miei tanti anni, mi riferisco, la vicenda avrebbe dovuto avere uno svolgimento diverso.
Il mio mandato sarebbe scaduto ad ottobre di quest’anno. Sarebbe bastata un po’ di pazienza, sarebbe stato opportuno raffreddare i bollori e la fregola dell’ambizione, per concludere il rapporto in modo civile e rispettoso.
In quel mondo nel quale mi rifugio ogni tanto, e che qualche volta somiglia a quello dell’Emile di Voltaire – il migliore dei mondi possibili -, ho immaginato che, prima di concludere il mio mandato, mi sarebbe stata conferita la cittadinanza onoraria di Gibellina, che mi sarebbe stato promesso di intitolarmi, quando sarà, e spero molto tardi, un’aula del museo, che avrei potuto bere un bicchiere di vino da una bottiglia con l’etichetta “Calogero”, certo di qualità inferiore a quello giustamente intitolato a “Ludovico”. Ho pensato che avrei potuto avere l’incarico di presidente onorario, per agevolare i primi passi di chi guiderà la fondazione e intestargli alcuni dei rapporti che nel tempo ho utilizzato.
Senza ricorrere a fantasiose, puerili aspettative, mi sarei contentato di un bell’attestato, della mangiata dello sfincione, ché a Gibellina lo fanno bene, e di un plauso.
Ma quello è un mondo immaginario.
In quello vero, almeno vero per i miei vecchi amici delle Orestiadi, tra un metodo civile e uno oltraggioso, è stato preferito il secondo. Ché non sempre l’arte e la cultura ispirano e conformano i comportamenti.
Ma con chi me la prendo? Altro che scafato politico di lungo corso, per giunta democristiano!
Sono davvero un tontolone.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link