Quando dalla Riviera di Ponente decidi d’inoltrarti a Genova, percorrendo i sei chilometri della spettacolare sopraelevata Aldo Moro, quello che ti si staglia davanti è un paesaggio già montano. Sembra audace affermarlo, ma è ciò che viene naturale pensare – magari inconsciamente – di fronte a quelle case costruite l’una davanti all’altra, l’una sull’altra, così come in ere geologiche tanto lontane da noi nascevano pilastri di roccia atavici ed imponenti. Allora le crêuze altro non sono che moderni couloir, mentre la città diventa una parete di conglomerato vivo, fatta di colori, muri e finestre: tutti elementi quasi disseminati dal caso sulle prime colline di un entroterra che, di montagna vera, già odora sul serio.
«Forse Genova non è mai stata davvero una città di mare» commenta a tal proposito Maurizio Carucci, cantautore, agricoltore e viaggiatore, che abbiamo incontrato a Trento durante una delle presentazioni del suo libro,Non esiste un posto al mondo (edito da HarperCollins), nel quale racconta l’esperienza di cammino che l’ha visto percorrere nel 2018 le strade che dalla sua Liguria portano a Milano, interamente a piedi e in compagnia della fidanzata, MartinaPanarese.
Ma con lei, di strade, ne ha già percorse tante altre. Fra tutte, nel 2010, quella che partendo da Genova dilagain direzione di boschi selvaggi e sperduti, diramandosi poi nell’abbraccio di vallate strette e dimenticate. Come la Val Borbera, dove i due decisero di dare avvio al progetto di Cascina Barbàn.
«Si tratta di un tentativo e di un collettivo, non necessariamente in quest’ordine», spiega Maurizio.«Io avevo già avuto esperienza della vita agricola a partire dai vent’anni, quando un amico mi disse che un contadino cercava un aiutante per qualche giorno alla settimana. La zona era quella di Franconalto, nell’Appennino ligure, più precisamente in Valle Scrivia. Amavo quel lavoro, la connessione con la terra e la natura, che t’insegnano la pazienza di aspettare i tempi altrui senza alcuna pretesa di controllo».
Carucci in realtà la natura e i suoi spazi li cercava fin da bambino, a partire dagli inverni trascorsi con la famiglia a Robilante, piccolo borgo agricolo della Val Vermenagna, e le estati passate invece a Carro, altro paesino a mezz’ora dalla più turistica e marinara Sestri Levante.
«Ma forse le radici nella terra le ho piantate ancora prima, quando da ragazzino frequentavo il “montino”, una sorta di giungla cittadina piena zeppa di escrementi canini, lattine vuote, siringhe, zecche e ginestre. Uno sprazzo malandato di natura in mezzo ai palazzi di Genova e di cui nessuno sembrava curarsi. Io mi sedevo sull’erba e immaginavo cosa avrei fatto da grande», racconta Maurizio.
La prima risposta che la vita gli diede fu la musica. Nel 2002, infatti, insieme a Simone Bertuccini e ad Alberto Argentesi, Carucci forma gli Ex Otago, band musicale mossa dall’obiettivo dichiarato di riscrivere un pop alternativo.I successi arrivarono, gradualmente come in agricoltura, fino ad una strepitosa partecipazione al Festival di Sanremo nel 2019, con il branoSolo una canzone.
Nel frattempo, però il cantautorato era diventato per Carucci l’altra faccia di una medaglia di vita ben più ampia, che già comprendeva Cascina Barbàn.
«Barbàn in genovese era sinonimo di “babau”, il nome di un mostro immaginario, dalle caratteristiche non ben definite, che veniva tradizionalmente evocato per spaventare i bambini. “Se non la smetti chiamo il Barbàn!” si esclamava. Da una parte lo scegliemmo perché ci piaceva come suonava, dall’altra ci eravamo immaginati questo mostro atipico che, terrorizzato dagli esseri umani, vagava fra i ruderi spaventando i possibili avventori», spiega Carucci.
I ruderi cui Carucci fa riferimento sono quelli del borgo abbandonato che nel 2010, con Martina, scelsedi riqualificare attraverso questo progetto:«Si trattava di Cantine di Figino», precisa Maurizio, «in Val Borbera ovviamente, dove in due anni ristrutturammo un rudere di cinquanta metri quadrati, diventato ben presto casa nostra».
Proprio in quel rudere, nei primi anni Ottanta, un uomo di mezza età chiamato Clementino si tolse la vita.«Io e Martina interpretammo quella storia come una sorta di dono. Pensammo che Clementino avesse voluto in qualche modo offrire la sua vita a quel posto: nessuno ci ha chiesto di nascere e nessuno ci deve costringere a vivere. Non avevamo mai raggiunto, fino a quel momento, un rapporto così intimo con la morte. E, di riflesso, con la vita», sottolinea l’artista. Fu proprio quest’episodio ad ispirare a Carucci e alla sua band una canzone –La ballata di Mentino– uscita nell’album In capo al mondo del 2014.
Un suicida, una ballata, un artista contadino: viene quasi naturale pensarea La ballata del Miché, primo brano scritto da Fabrizio De André e dedicato parimenti ad un suicidio.«Le affinità fra la vicenda di Faber e la mia ovviamente si sprecano», conferma Maurizio,«anche se non ho mai capito il desiderio di evadere che spinse De André a spostarsi in Sardegna per dare vita alla sua azienda agricola, quando comunque l’entroterra ligure offriva, e offre tuttora, potenzialità immense».
Sul solco di quelle potenzialità, Maurizio e Martina diedero invece vita a Cascina Barbàn, progetto in cui «l’agricoltura aveva e ha un ruolo centrale, ma non era l’unico aspetto di cui volevamo occuparci. Nel 2015 si unirono a noi anche gli amici Pietro e Maria Luz con i loro due bambini, Matilde e Pablo, e questo ci permise di trasformarci a tutti gli effetti in un collettivo, al netto di una forte connotazione politica e sociale, che ci fece pensare all’organizzazione, nei nostri spazi, di un festival ad hoc, il Boscadrà, pensato per far dialogare ogni anno culture, visioni e persone».Un vero e proprio laboratorio di montagna, insomma, agricolo, enogastronomico, culturale e filosofico.
«La Liguria e i suoi boschi riescono a tenere insieme le etnie. Il mare e la montagna sono luoghi aperti, che impongono i propri confini e al contempo li eliminano, creando relazioni. Su questo volevamo focalizzarci», dice ancora Carucci.
La natura e le relazioni, in tempi non sospetti, furono anche al centro di Gian Antonio, altra canzone targata Ex Otago, che narra l’improbabile storia d’amore fra un abete rosso e una betulla.
«Le relazioni che la natura ci insegna sono fonte inesauribile di ispirazionenon solo per la musica ma nella vita quotidiana. Anzitutto la natura ci mostra come modularci, come cambiare,perché il cambiamento è un riflesso della nostra capacità altrettanto naturale, ma spesso dimenticata, di essere permeabili e di non rimanere refrattari. Il progetto di Cascina Barbàn s’inserisce in quest’ottica: abitare un posto prima abbandonato per dare il proprio contributo al suo ripristino senza ferire nessuno. Si tratta di creare bellezza e ricchezza, aggiustare il tiro ogni giorno, porsi sempre come faro luminoso e saper cambiare traiettoria».
E a proposito di traiettorie, l’ultima domanda riguarda un’altra grande passione di Carucci, agricoltura e musica a parte: ovvero, il camminare. Qualche anno fa, in sordina, Maurizio ha pubblicato una guida escursionistica – Camminare in Val Borbera, edizioni Il Piviere – dove consiglia ai lettori 40 itinerari per scoprire la valle che lo ha dapprima conquistato e poi accolto.
Ma c’è un cammino in particolare che si staglia su tutti gli altri?«Se penso a un trekking di più giorni, direi sicuramente il Cammino dei Ribelli: 130 chilometri fra Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Lombardia, alla scoperta di storie medievali, feudali e partigiane».Un’esperienza di turismo lento per rilanciare terre spopolate, bellissimee sorprendenti. Un rilancio di cui Maurizio Carucci e Cascina Barbànsono attori ormai da quasi quindici anni.
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