Caro energia, gare azzerate e oneri in bolletta: perché i rincari non sono solo colpa della guerra

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di
Federico Fubini

Se in Italia paghiamo bollette elettriche fra le più care al mondo, è anche colpa nostra. Un emendamento alla Legge di bilancio ha inserito una proroga ventennale delle concessioni sulla distribuzione elettrica al dettaglio

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C’è chi se la prende con Volodymyr Zelensky perché ha bloccato il transito del gas russo dall’Ucraina. Chi con il vento che non soffia in Nord Europa, riducendo la produzione eolica. Chi con l’inverno rigido che metterebbe alla prova le riserve di gas. Non basta una newsletter per entrare in ciascuna di queste discutibili spiegazioni dei nuovi aumenti delle bollette. Nella calza della Befana quest’anno invece io trovo il carbone delle ragioni sconvenienti: se in Italia paghiamo (e verosimilmente pagheremo) bollette elettriche fra le più care al mondo, è anche colpa nostra. Della nostra scarsa voglia di chiedere delucidazioni e della scarsa voglia, per chi può, di darne. Della sempre più tenue propensione nella politica – gran parte della maggioranza, gran parte dell’opposizione – verso meccanismi di mercato non certo di tipo ultra-liberisti, alla Javier Milei, ma improntati un modico e misurato liberalismo. Preferiamo il dirigismo corporativo. Avete letto il passaggio sulle concessioni elettriche nella Legge di bilancio? È una finestra su come funziona l’Italia oggi nei suoi ingranaggi essenziali. 

La lettera qui sopra è di Roberto Marcato e Giampaolo Bottacin, assessori allo Sviluppo Economico e all’Ambiente del Veneto leghista governato da Luca Zaia. Alla vigilia di Natale si sono rivolti al loro leader e vicepremier, Matteo Salvini, contro il rinnovo delle concessioni della distribuzione elettrica per altri vent’anni – senza gara – agli attuali beneficiari. I colleghi del “Corriere del Veneto” se ne sono già occupati benissimo. “Non appare utile che un asset strategico come quello delle concessioni elettriche possa essere posto in discussione senza i necessari approfondimenti”, scrivono i due a Salvini. Chiaramente i leghisti veneti hanno a cuore l’autonomia e vorrebbero che fosse un’impresa locale a portare l’elettricità alle famiglie e alle imprese attraverso la rete a medio a basso voltaggio della regione. Ma anche altri politici di centro-destra in altri territori molto produttivi del Paese sono – per ora anonimamente – irritati. E una lettera simile a quella veneta è partita anche a firma di Vincenzo Colla, una carriera da leader territoriale della Cgil e ora assessore allo Sviluppo economico nell’Emilia-Romagna dei distretti. Sembrano poi sul piede di guerra anche vari industriali di settori in cui il costo dell’energia elettrica pesa molto. 




















































Vedremo chi uscirà allo scoperto. Ma il tema è sentito e si capisce perché. Senza alcuna discussione, un emendamento alla Legge di bilancio in extremis ha inserito una proroga ventennale delle concessioni sulla distribuzione elettrica al dettaglio. Non ci sarà alcun bisogno per gli attuali concessionari di confrontarsi con altre offerte, come era invece previsto dalle “lenzuolate” di liberalizzazioni dell’allora ministro Pierluigi Bersani un quarto di secolo fa. 

Per dare un’idea, la distribuzione elettrica in Italia – un’attività gestita da pochissimi – vale circa 15 miliardi all’anno di fatturati e un vasto margine di 7-8 miliardi l’anno (inteso come ebitda: utile prima di tasse, interessi passivi, svalutazioni e partite straordinarie). Quelle lucrose concessioni, in manovra, vengono riassegnate dallo Stato agli attuali titolari per altri vent’anni senza neanche aprire ad altri potenziali aspiranti. Magari qualcuno poteva offrire investimenti più efficienti e prezzi più bassi. Ma non lo sapremo mai. E la Commissione europea zitta. Altro che balneari. Altro che tassisti. 

Qui però bisogna essere corretti. Va detto che le reti elettriche hanno bisogno di grandi investimenti per la trasmissione da rinnovabili, per la sicurezza e la cyber-sicurezza, per gli usi crescenti e sempre più sofisticati del futuro. Chiunque le gestisca, deve poter contare su un orizzonte lungo. Non solo. Gli attuali concessionari hanno modernizzato molto l’infrastruttura negli ultimi anni. L’Italia è stata fra le prime al mondo a inserire i contatori elettronici e vanta forse la migliore rete d’Europa. Va infine aggiunto che pochi altri Paesi dell’Unione aprono alla concorrenza nello stesso tipo di concessioni. 

Perché allora fra i produttori del Nord e fra i loro politici locali, anche di centrodestra, c’è aria di rivolta? Perché bisogna leggere bene quell’emendamento all’articolo 7-bis apparso all’ultimo in Legge di bilancio. Quel testo potenzialmente getta le basi di un rincaro della bolletta per le famiglie e le imprese: prevede che i concessionari per il loro rinnovo automatico paghino un canone (e ci mancherebbe); ma per la prima volta quel canone viene riconosciuto come investimento. In quanto tale, l’“investimento” viene trasferito per legge direttamente in bolletta a carico delle famiglie e delle imprese. In sostanza, paghiamo noi il diritto del concessionario – vincitore senza gara – a esercitare su noi stessi una delle attività più redditizie d’Italia. Non era mai accaduto prima. 

Non solo. Bisogna anche vedere il tasso d’interesse al quale si permette ai concessionari della distribuzione elettrica di scaricare automaticamente sui clienti – noi – i costi dei loro piani rafforzati di investimenti del prossimo ventennio. Quei costi formano i cosiddetti “oneri” che si aggiungono alle tasse e al costo della materia prima, facendo salire le bollette degli italiani verso il record mondiale. L’interesse è fissato dall’autorità di settore, Arera, ogni triennio. Per il periodo 2025-2027 per esempio si prevede che gli investimenti dei concessionari siano remunerati al 5,6%, perché si immagina (sulla base di un algoritmo) che quello sia il costo al quale i distributori elettrici si finanzieranno. 

Sembra un tasso decisamente alto, ancora una volta a carico dei comuni consumatori. Portare elettricità nelle case o nelle aziende è un business regolato, prevedibile e a rischio zero, quasi più sicuro di un titolo di Stato. Ma noi paghiamo gli investimenti dei nostri fornitori come se a loro costasse il doppio o quasi. Di recente l’interesse è stato ridotto da Arera di appena lo 0,4%, ben poco dato che la Banca centrale europea invece ha ridotto il costo del denaro dell’1% e presto lo ridurrà ancora forse di altrettanto. 

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Insomma, questa miscela mette famiglie e imprese in posizione di debolezza. Per sviluppare le reti, i concessionari elettrici hanno già diritto a ingenti fondi dal Piano nazionale di ripresa (Pnrr). E ora potrebbero avere oggettivamente convenienza a catalogare come “investimenti” quanto più possibile delle loro spese, perché saremo noi a pagarle per loro a un tasso elevato e loro intanto non dovranno temere concorrenti che offrano condizioni migliori. E’ vero che la Legge di bilancio parla di destinare al calo delle bollette “eventuali maggiori entrate”. Ma molto dipenderà dalla vigilanza di Arera; e quante divisioni ha l’arbitro del mercato in Italia? 

Anche perché qualcosa di simile intanto succede anche sull’energia idroelettrica, quella prodotta con dighe e cascate. Anche questo è un meccanismo fondamentale del Paese, assicurando circa il 17% del fabbisogno. Si può stimare che il settore nel 2024 abbia prodotto elettricità a un costo di circa 25 euro a megawattora e l’abbia ceduta alla rete nazionale a un prezzo non molto sotto ai 140 euro a megawattora. Così per 50 miliardi di megawattora, per un margine di guadagno – stimato con molta cautela – di circa 4 miliardi di euro coperto dai consumatori. 

Anche in questo caso tutto è gestito da antichi soggetti concessionari (le montagne e i fiumi sono degli italiani) che, in gran parte, hanno da tempo ammortizzato i costi dei loro investimenti industriali. Ora chiedono rinnovi molto lunghi delle concessioni, anch’essi facendo saltare le gare previste. Non vogliono concorrenti. Puro stile balneari, anche loro. E la politica sembra propensa ad accedere anche a questa richiesta, ma ha il problema del Pnrr: le gare sull’idroelettrico sono una delle riforme previste dal Piano, al punto che qualcuno si spinge già a proporre di rinunciare a una parte dei fondi europei pur di mantenere il settore chiuso alla concorrenza. 

Va riconosciuto che alcuni degli attuali concessionari idroelettrici girano i loro utili alle regioni che li controllano, finanziando così il welfare e la sanità locali. Ma davvero non si possono indire competizioni aperte in cui vinca chi si offre di versare un canone più alto alle regioni (che poi possono farci strade o ospedali), o un prezzo più basso ai consumatori, oppure di investire per aumentare l’offerta di questa energia pulita e a basso costo? 

Nell’Italia di oggi, sembra impossibile. La politica ignora o sistema tutto con emendamenti notturni. Gli interessi organizzati pesano sempre di più, il ceto dei produttori e dei consumatori minuti sempre meno. Sembra un secolo fa, quando era Bruxelles a spingerci a fare qualcosa di utile per noi stessi. Ora una photo opportunity con Giorgia Meloni, per Ursula von der Leyen, vale di più.     

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6 gennaio 2025 ( modifica il 6 gennaio 2025 | 08:00)

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