PISTOIA. Un’esperienza particolare e bella quella che stanno vivendo alcuni calciatori della squadra Juniores regionali dell’Ac Capostrada: ogni mercoledì, dalle 14 alle 16, si incontrano con i detenuti della casa circondariale di Pistoia per una partita di calcio a 5 e per un scambio di esperienze. Lo fanno dallo scorso giugno e continueranno a farlo fino a maggio, aderendo al progetto educativo “Non solo piedi buoni”, iniziativa dalla forte valenza sociale organizzata dal Settore giovanile e scolastico della Figc Toscana.
Tutto questo è stato possibile grazie alla disponibilità e alla sensibilità di alcune persone che hanno messo insieme le energie necessarie: Loredana Stefanelli, direttrice del carcere pistoiese, che ha accettato la bella sfida; il diacono Tommaso Giani, promotore e coordinatore del progetto; il presidente della Lega nazionale dilettanti-FigcToscana Paolo Mangini, che in Giani ha creduto; Luca Fontana e Mauro Palandri, rispettivamente presidente e diesse del settore giovanile del Capostrada Belvedere, che hanno sposato con entusiasmo l’idea.
Il progetto
«Si tratta di un progetto molto formativo per i ragazzi. Ringrazio le famiglie che lo hanno compreso e apprezzato – spiega Fontana – considerandolo positivo per la crescita dei figli. Partecipano solo i maggiorenni – precisa – essendo vietato ai minori. I ragazzi si arricchiscono di uno spaccato di società a loro in precedenza ignoto. Mi fa piacere che i minori ci dicano che non vedono l’ora di compiere 18 anni per provarla».
Fontana rivela come con Tommaso Giani sia scattata da subito una bella intesa. «Dopo averlo ascoltato – sottolinea – gli raccontai dei nostri inizi, quando ormai mezzo secolo nascemmo dalle ceneri della squadra parrocchiale di don Pollacci. Gli spiegai che iniziammo senza mezzi e che crescemmo piano piano. Ne fu entusiasta. L’inclusione è per noi un aspetto fondamentale. È stato perciò facile aderire alla proposta».
A Fontana fa eco Mauro Palandri, colui che ogni settimana accompagna i suoi calciatori all’interno della casa circondariale di Santa Caterina in Brana.
«È questa la cosa più importante del mio percorso nell’Ac Capostrada, che dura da tanti anni» afferma, per poi raccontare un aneddoto: «Fu una roba forte entrare la prima volta. Mi sentivo osservato da 40/50 grate. A farmi uscire dall’imbarazzo sono stati i ragazzi, più bravi e coinvolgenti di quanto mi sarei aspettato. Mi sento talmente arricchito che già penso a una nuova iniziativa solidale per l’anno prossimo: vorrei introdurre i ragazzi verso un’attività a favore dei senza tetto. L’idea è in embrione. Un mio cruccio è che parte della squadra non abbia ancora aderito, ma dedicherò tutto il mio impegno a convincere tutti».
Eccoci infine a lui: Tommaso Giani, quarantunenne diacono, celibe, della Diocesi di San Miniato.
«Le partite nella casa circondariale di Pistoia sono miste (detenuti e calciatori compongono entrambe le squadre) – spiega – I detenuti sono felici di poter giocare con dei ragazzi che alzano il livello tecnico delle partite. Presenze fisse sono il capitano e il regista del Capostrada. Tra l’altro, quella del mercoledì è una finestra in più. I match durano un’ora, poi c’è un tempo analogo per un incontro in cui i giovani e i detenuti si scambiano le loro esperienze. Ne scaturisce un arricchimento per tutti».
Il ritorno inatteso
I ragazzi vengono a contatto con una realtà difficile, i detenuti tornano a respirare il clima esterno. Prima di Natale è accaduto un episodio molto significativo. «Sugli spalti – racconta Giani – durante una partita a Capostrada dei ragazzi che partecipano al progetto, a cui era presente pure l’assessore allo sport di Pistoia, si sono presentati due detenuti che avevano partecipato ai nostri incontri: uno era nel frattempo tornato in libertà, l’altro aveva goduto di un permesso premio. La loro scelta di presentarsi per assistere a quella partita è molto significativa».
Giani racconta poi uno spaccato della sua vita che fa capire lo spirito che lo anima, anche nel suo percorso nel carcere pistoiese.
«Da cinque anni – spiega – vivo per scelta in un dormitorio a San Croce sull’Arno. Vivo le storie di emarginazione che arrivano. Aiutano a capire quale strada si debba seguire. Ho goduto finora di sostegni importanti ma non nego di ambire a uno sponsor che sostenga future iniziative di solidarietà analoghe a queste» rivela.
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