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AAA AMICIZIA VERA CERCASI – no perditempo!

Ma che belle quelle amicizie da film Disney, di quelle forti, di cui non dubiteresti mai, proprio perché sono “vere”, nel senso di costruite ad arte dagli sceneggiatori per creare una finta vera amicizia, magari tra due protagonisti che inizialmente si odiano ma che poi, dopo una serie di avvincenti peripezie sono disposti a rischiare la vita l’uno per l’altro, proprio per trasmettere un ideale, un’idea astratta di ciò che si dovrebbe ipoteticamente fare o non fare con le persone a cui si dice di volere bene quotidianamente, quasi come un’abitudine, un motto, un blando ritornello espropriato di ogni significato intimo e profondo, impoverito della sua sensibilità originaria, di cui sembra rimanere solo un’idea, un’etichetta, un appiglio alla convenzione degli esseri umani, che si dicono “ti voglio bene”, come “buon Natale”, ma poi chi si è visto si è visto, i fatti miei sono i miei, e dei tuoi, se ho tempo, spettegolo.

I regali sono una convenzione, le quattro chiacchiere al pub sono una convenzione, “ci sono nel momento del bisogno” è una favoletta che ci raccontiamo prima di andare a dormire, a meno che per “bisogno” non si intenda il “mio” e non il “tuo”. Le “amicizie” sembrano un’occasione di ostentazione, di finzione di ciò che non si è, un auto-elogio al sé che avremmo voluto essere e di cui non siamo nemmeno la metà di ciò che mostriamo agli altri, un modo per interpretare un ruolo, per evadere da noi stessi e non dover affrontare chi siamo davvero.

Il significato di amicizia sembra quindi essere stato interpretato al contrario dai più: l’amico dovrebbe essere quella persona speciale con cui ci si sente del tutto a proprio agio nell’essere davvero sé stessi, non l’opposto di ciò che si è, proprio perché si ha timore di manifestare i propri reali sentimenti, perché si teme di non essere considerati come vorremmo, perché siamo i primi a non accettarci e quindi perché dovrebbero farlo gli altri.

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L’amico di oggi, che si “interessa” a come stai, c’è quando ha tempo, se ha tempo, di incastrarti tra le sue reali priorità, perché se servi a qualcosa bene, sei tra le sue mezze priorità, sennò i tuoi sentimenti avranno importanza più in là.

Poco importa se quello che provi lo provi oggi, se il bisogno di un conforto sincero allevierebbe la tua sofferenza in quel determinato momento, l’amico non ha tempo, l’amico ha altro da fare, e tu non puoi far altro che capire, raccogliere i tuoi sentimenti e brutte esperienze e fartele passare da solo, magari conservarle in una valigia, da tirare fuori all’occorrenza, magari quando quell’amico avrà bisogno di una parola sincera da parte tua, o magari, ancora meglio, per il te stesso del futuro, più consapevole e maturo, cosciente che nessun altro potrà capirti meglio di quanto tu possa fare da solo, che sei l’unico realmente in grado di aiutarti a superare quei momenti di fragilità.

L’amico di oggi c’è per una chiacchiera, ma, mi raccomando, non bisogna andare troppo a fondo, non bisogna essere troppo sé stessi, non bisogna cercare troppa empatia, sennò pesa, sennò stanca. Essì, perché non va più di moda dire come realmente ci si sente, e non va di certo di moda preoccuparsi troppo, consolare troppo, condividere troppo il dolore con l’altra persona. Non va di moda essere empatici, l’empatia l’abbiamo già usata a sufficienza quando eravamo piccoli, quando moriva la mamma di Bambi, e non ci ha fatto stare bene, ci ha fatto stare male, quindi perché usarla di nuovo, per qualcun altro poi. Basta, abbiamo già dato.

L’amico di oggi c’è per una birra, per fare shopping, per andare ad Ibiza, ma se ti senti solo e hai avuto una brutta giornata al lavoro, la pacca sulla spalla e una frase di circostanza sembra il massimo del suo impegno per te, e tu devi pure apprezzare, il loro sforzo, che cavolo, non ti rendi conto del tempo che hanno sacrificato per dirti quella stronzata?

L’amico c’è per te, ma nel senso che c’è per sé, se si sente solo, se non ha nulla da fare, se nell’ABC dell’amico perfetto c’è scritto che una parola d’affetto va detta, sennò sei un cattivo amico, poco importa se quella parola strozzata aveva meno affetto delle cento che avrebbe potuto dirti ChatGPT.

Poco importa se c’è più menefreghismo e competizione, che stima e rispetto, perché ci sentiamo di tanto in tanto lo stesso, come d’abitudine: tu sei per me una simpatica routine che mi fa sentire meno la mia profonda solitudine quando non ho null’altro da fare.

Perché ,tutto ormai importa poco, se non sé stessi, se non la propria frustrazione, il proprio egocentrismo, o il proprio bisogno di ricevere attenzioni (senza darle).

Sarebbe tutto inevitabilmente perduto, se non ci fossero, fortunatamente, quelle meravigliose eccezioni alla regola, che sono pur sempre eccezioni, ma brillano costanti quando ci si sente circondati da una marea di merda. Quei sorrisi REALI, che scrutano il tuo dolore, perché vogliono farlo, non perché lo chiedi, quegli sguardi che trattengono lacrime, non perché recitino nella soap opera della vita, ma perché ti vedono, ti sentono, e vogliono sentire ciò che provi e perché lo provi, perché non vogliono far altro che aiutare, senza troppe chiacchiere, senza messaggini di routine scarsi in grammatica e faccine di vomitevole ipocrisia.

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Ed è lì, che ti rassereni, con quell’amico, unico, da cui ti senti capito, da cui ti senti accolto, a cui vorresti dare la vita combattendo un drago, combattendo il piattume di una vita grigia, fatta di insulsi convenevoli e blande chiacchiere di cui non frega a nessuno, con quell’amico con cui ti capisci con uno sguardo, con cui condividere la fiaba Disney della vita, con cui sperimentare l’audacia di essere totalmente sé stesso senza la paura di essere troppo o troppo poco.

Per leggere gli articoli di Giusy De Nittis su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

Mi chiamo Giusy de Nittis, ho conseguito la mia laurea magistrale in Lingue e letterature straniere l’anno scorso e da allora è iniziata la mia ricerca senza sosta di lavori e lavoretti in lungo e in largo, senza essere riuscita a trovare nulla di soddisfacente che rispettasse i miei anni di studio e le ore di lavoro richieste negli annunci. Così mi sono arresa ai tirocini, che di per sé sarebbero un ottimo modo per cominciare, se non offrissero paghe bassissime per un orario di lavoro full time. Scrivo da quando sono bambina e cercare di raccontare esperienze, spesso in chiave ironica, mi aiuta sempre. Propongo dunque alla vostra attenzione questo mio piccolo stralcio di vita, nella speranza che ci possa essere per me la possibilità di una collaborazione con voi in futuro o che comunque questo mio pezzetto di esistenza venga pubblicato, per dare voce ad una crudele realtà contro cui noi giovani siamo costretti a scontrarci, dopo anni di studio e sacrifici.



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