Note a partire da Liberlandia di Federico Larsen
“Come ha fatto un popolo con una tradizione di resistenza e lotta come quello argentino a scegliere un governo negazionista delle atrocità della dittatura e del cambiamento climatico. Fa sul serio? Reggerà? Chi lo appoggia?” – potremmo dire che è questa la domanda attorno a cui ruota l’intero testo, Liberlandia. Come l’estrema destra si presa l’Argentina, scritto da Federico Larsen e pubblicato per la casa editrice People nel luglio 2024. Perché l’autore, infatti, pur partendo da una base di cultura geopolitica, alla ricerca, cioè, di quei tratti costanti che compongono, pur nelle congiunture, le strutture fondamentali della storia di un paese, non elimina mai, definitivamente, la problematica del punto di vista, della visuale prospettica – rompendo, in qualche modo, quella neutralità, solo apparente, che contraddistinguerebbe uno dei nuclei portanti della suddetta disciplina. Compito del testo è, dunque, quello di ricostruire i passaggi decisivi della storia Argentina – alla ricerca di una continuità, di alcune strutture fondamentali – ma senza mai tramutare questo movimento in una nuova “filosofia della storia” da cui sarebbe espunta qualsiasi dimensione di soggettività. Non esiste un’unica forma possibile per la cultura e la politica di un paese, e tentativo dell’autore è proprio quello di mostrare le modalità di dispiegamento di differenti alternative prospettiche dinanzi ad una stessa totalità dialettica (a proposito di quella parte di oggettività, che rimane comunque decisiva ed ineliminabile).
Allora, quella domanda da cui siamo partiti è già ben direzionata – essa è un’interrogazione delle cause strutturali e congiunturali che hanno permesso a Milei di divenire presidente dell’Argentina nel dicembre del 2023. Il tema fondamentale è quello della destra radicale: da dove viene e, soprattutto, in quale direzione potrebbe condurre – l’Argentina, come già capitato in altre fasi della sua storia, diviene così una sorta di laboratorio sperimentale. Un dato estremamente interessante, infatti, è che quel mondo incarnato da Milei, da un punto di vista strettamente economico, non solamente non si pone in alcuna linea di rottura rispetto al sistema occidentale egemone, ma ne radicalizza, piuttosto, alcuni suoi tratti portanti: subordinazione dello Stato a favore di una presunta libertà (“libertà astratta”) dei singoli individui, critica di ogni forma di redistribuzione della ricchezza – il che si traduce, nei fatti, in un’esclusione delle classi popolari, e del mondo operaio, dalla partecipazione alla vita pubblica e nella conseguente salvaguardia degli interessi delle classi dominanti. Qui siamo lontani, cioè, dalle varie forme di populismo (termine, ad ogni modo, troppo astratto, perché al suo interno estremamente eterogeneo) che hanno caratterizzato parte importante della cultura politica sudamericana (anche, e soprattutto, argentina), oltreché, seppur in forme differenti, europea. Milei rappresenta, piuttosto, scientemente, una forma di difesa oltranzista del sistema economico – e della forma di vita ad esso corrispondente – Occidentale post ’89.
Allora ci deve essere qualcos’altro – qualcosa, cioè, che ci aiuti a spiegare il perché una parte di quegli stessi settori popolari abbia deciso di dare il proprio voto all’attuale presidente argentino. Un interrogativo che l’autore del libro prende molto seriamente poiché, infatti, e su questo tema torneremo, non ci si può più porre sulla linea di un presunto vero (razionale) da contrapporre ad un supposto falso (irrazionalistico) – perché è forse proprio questo, infatti, e qui siamo già al cuore del nostro discorso, che costituisce uno dei fattori fondamentali della crisi di rappresentazione del mondo operaio. La destra radicale governa l’Argentina: questo è il fatto da cui partire. E quale è stato allora il motore – ciò che ha fatto sì che alcuni strati della popolazione abbiano potuto votare (almeno apparentemente) contro i propri stessi interessi?
Qui entra in gioco un altro fattore fondamentale nella costruzione dell’egemonia dell’attuale presidente argentino – il ruolo del simbolico, o del fattore mitico. Perché se “il nucleo centrale della proposta di Milei è puramente economico”, attorno a questo è stato costruito uno sfondo, una Weltanschauung, sì probabilmente densa di retorica o slogan semplicistici, ma in cui una parte della popolazione si è sentita riconosciuta. Ed è solamente approfondendo questo fatto, come dicevamo prima, che si può pensare alla possibilità di un’alternativa egemonica differente. Il presidente dell’Argentina, infatti, insieme a quella proposta neo-liberista – in realtà mai negata – ha assunto le vesti del distruttore: la possibilità di azzerare la storia, di ricominciare daccapo, di negare il fenomeno del peronismo come unico possibile criterio di comprensione della cultura argentina. Egli, cioè, oltre ai riferimenti classici dell’estrema destra – Dio, patria e famiglia, pur inseriti in uno stile economicizzato – è stato colui che, soprattutto, ha propagandato la possibilità di cancellare una parte fondamentale della storia moderna del paese, richiamandosi ad un presunto passato mitico: quell’Argentina potenza che avrebbe trovato incarnazione tra il 1880 ed il 1930, prima di esser spazzata via da coloro che avrebbero mandato in rovina l’intero paese, i “collettivisti”, e, quindi, i peronisti.
Scrive ancora Federico Larsen – “Milei ha messo in azione un meccanismo simile a quello della fede religiosa: in Dio si crede anche e soprattutto perché non dà garanzie materiali”. E, tuttavia, questo sfondo religioso, simbolico ha, qui, una sua connotazione estremamente peculiare: Milei non preannuncia l’avvento di un Regno, bensì la distruzione dell’esistente (a proposito del costante riferimento, nella sua narrazione, alla motosega). È una fede tutta negativa, alle soglie del nichilismo: non rigenerare la società, ma distruggerne le fondamenta – un messianismo della disperazione, che ha obliato ogni possibilità di trascendenza. E quali sono quindi quei settori, quelle classi, o, ancor prima, quelle esistenze, quelle antropologie, che hanno ritrovato riconoscimento nella prospettiva politica di Milei? È evidente come dal laboratorio argentino siamo riportati ad alcune questioni centrali dell’attualità europea.
Il testo insiste molto sul problema di uno “scontento esistenziale” – del fatto, cioè, che ci si trovi di fronte non solamente di fronte ad una crisi politica, culturale, ma, ancor prima, antropologica, o esistenziale. E questo nuovo “mondo della crisi” costituisce un fattore fondamentale – forse il vero terreno di scontro – per tutti coloro che si interrogano sulla politica argentina (ma non solo). Non ci troviamo più, infatti, in un terreno classico, o convenzionale, di lotta politica: si sono sgretolate quelle coordinate stabili, così come divengono sempre più sfumate, o ramificate, le possibilità di rappresentazione delle classi. Una crisi arrivata al cuore dell’individuo, delle singolarità – che si muovono alle soglie di una disperazione sempre più impellente, senza neanche anelare ad un vicino riscatto.
Ed è in questo terreno che bisogna inabissarsi: l’alternativa, infatti, si gioca tutta attorno a questa nuova cultura della crisi. Non vi è più possibilità di contrapporre la verità alla falsità, la razionalità all’irrazionalità – piuttosto, scendere in questo differente campo di lotta, e da qui ricominciare a parlare. Perché, seppur in uno sfondo di retorica e, spesso, di ipocrisia, Milei, come nota ancora bene Larsen, ha assunto, nell’immaginario collettivo, l’immagine del loser, lo sconfitto e questo mondo in transizione lo ha riconosciuto come una figura della crisi. Non è più importante che Milei faccia gli interessi delle classi dominanti – ciò che conta è il potenziale riconoscimento in questo comune sfondo di angoscia: il simbolico, ancora una volta, è costituito dalla disperazione, dal possibile azzeramento di una Storia.
Infatti una parte rilevante di “quell’umanità disprezzata” a cui accenna anche l’autore – e che un tempo aveva costituito uno dei motori fondamentali della rigenerazione del paese – avverte di non avere più un luogo nel cosmo. Che vi possa essere una radicalizzazione in questa percezione è indubbio, ma rimane il problema politico: come fronteggiare questo messianismo della disperazione, cominciando proprio da una messa a tema di quello “scontento esistenziale”, dal tema antropologico. Il problema riguarda coloro che potremmo definire i nuovi “descamisados” – quella componente barbara, non sempre civilizzata, che sta decidendo per la distruzione. Vi è modo di reintegrare questa parte in una prospettiva emancipativa o rivoluzionaria, e, soprattutto, in questa linea di faglia che si apre sempre più tra civiltà e barbarie da quale lato della barricata dovremmo porci? Oggi, probabilmente, la speranza di una “nuova Cultura”, o di una nuova civiltà, non può che passare che da un inabissamento nella barbarie – l’alternativa, infatti, si gioca tutta attorno alla cultura della crisi, e sembra non esserci altra strada se non passando-attraverso questa nuova, e differente, fase del Moderno.
Ad ogni modo, vi è ancora una parte di quei settori popolari che continua a combattere per una forma di riscatto “positivo” – quella che l’autore chiama “l’Argentina ribelle”, a cui dedica il capitolo conclusivo del libro, attiva dalle questioni sociali a quelle civili, fino ad arrivare al movimento femminista “Ni una menos”, fondato nel 2015, e legato, a stretto giro, ad un rilevante campo di cultura popolare. Ed è forse qui, sul tema della ribellione, che si divaricano, almeno parzialmente, nel nostro mondo contemporaneo, la strada argentina e quella europea perché in quest’ultima, infatti, vi è una sempre maggiore difficoltà di ritrovare forme di emancipazione popolare, di massa, che abbiano una reale presa sulla realtà. Ma comunque, ed il laboratorio Milei lo dimostra, pur nelle differenze, tra Argentina ed Europa cominciano a delinearsi degli analoghi nuclei problematici: come rapportarsi a questo nuovo mondo della crisi, arrivato fin dentro l’esistenza singola; in quali modalità reinterpretare la divaricazione tra civiltà e barbarie; e, infine, come rigenerare una forma di riscatto, o differente messianismo, che non abbia esclusivamente connotati negativi (o distruttivi).
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link