In prospettiva grillina la fine del 2024 ricorda quella del 2014. Dieci anni fa. Allora come oggi l’assurdo movimento-setta fondato da un comico in disarmo e da un informatico in fama di visionario, qualsiasi cosa volesse dire, sembrava sull’orlo dello scioglimento: le ultime tornate elettorali, amministrative ed europee, risolte in puntuali disfatte, il caos a regnare sovrano tra l’inettitudine dell’intera truppa parlamentare, le faide a minare le fondamenta di un partito di cartapesta, il guru che non nascondeva la sua volontà di sbaraccare per tornare ad altri palchi.
Poi la magistratura scoperchiò l’ennesimo calderone bancario e siccome le banche più esposte erano riconducibili al premier Renzi e al suo ministro Maria Elena Boschi (sarebbe ovviamente finita in nulla di fatto), Grillo trovava una sponda inattesa, intensificando la propaganda forcaiola con cui riconquistare i voti degli idioti in servizio permanente. Premiato alle comunali della primavera dell’anno successivo, che rilanciavano il “Movimento” a Roma e a Torino con due “sindache” donne, Virginia Raggi e Chiara Appendino, a dispetto di avventure amministrative tragicomiche, Beppone poteva costruire l’ascesa fino al governo, al politico di laboratorio Conte che non sapeva gestire la pandemia e abusava in abusi.
Dieci anni dopo la setta è praticamente estinta, fondatore e usurpatore si strappano lacerti di potere, sopravvivono schegge di pazzia, ma le tragicomiche amministrative insistono come il bagliore di una stella morta. La governatora Alessandra Todde decaduta da consigliere della Sardegna e quindi, se il Consiglio confermasse, da presidente, per presunte irregolarità contabili, inadempienze sulle spese della campagna elettorale. Come dieci anni fa, come sempre, il ridicolo si sovrappone al tragico: “Impugnerò la notifica della corte d’Appello nelle sedi opportune”. Ecco, brava, impugna. Che uno, a prescindere da queste accuse, tuttora da definire, da consacrare, pensa: ma c’è qualcosa di onesto che scappa mai dal fianco dei grillini, quelli che volevano impiccare tutti al latrato “O-ne-stah! O-ne-stah!”? Meno di un anno di mandato e arriva la resa dei conti, ironicamente per mancata rendicontazione. E questi che passano, sono già passati in effetti, dal giustizialismo moralistico alla paranoia del complotto.
Fin da quando volevano aprire il Parlamento come la scatola del tonno e una volta entrati hanno scoperto che c’era più caviale che tonno, consegnandosi al demonio pur di non uscirne. Comprensibilmente: erano, sono tutti miracolati, strappati alla vita grama o mala, il grillismo non ha mai saputo esprimere una che fosse una personalità non si dica di rilievo ma almeno di decenza. La faccenda delle possibili disinvolture elettorali non è di lana caprina, ma caprina del diavolo sì perché Todde prevalse per il soffio di tremila voti. Lei ostenta indifferenza e dice: continuo a stare dove sto. Nessuna sorpresa, quando un grillino finisce nei guai si salva accusando il mondo intero di qualsiasi crimine. Ma la questione qui si riveste di irresistibile karma, di Nemesi a pensare che questi cascano regolarmente sotto la ghigliottina dei meccanismi di controllo, di sorveglianza, di verifica che per primi, e da sempre, hanno invocato, preteso, con impeto da fanatici.
La setta degli anarcomoralisti al servizio del burocratismo suicida, i campioni della politica di vetro che affondano nei vapori opachi della palude dei sospetti: non è divertente? Lo sfacelo grillino ha in sè l’osceno storico dell’Italia trasformista: “Io con Grillo? Ma quando mai”, e te li ricordi che ti scrivevano le minacce sgangherate, canagliesche, “per te è finita”, “ti veniamo a prendere a casa”, te li rivedi in corteo, la schiuma alla bocca, scodinzolanti col Dima e il Diba. Sì, ha proprio del grottesco questo dissolversi come scie chimiche di una cosiddetta classe dirigente grillina, che non c’è mai stata: dalla fondazione non hanno combinato altro che sciagure, disastri, dèbacle, tradimenti, il loro slogan è “era un altro momento” come diceva la Paola Taverna; non riescono ad essere chiari, cristallini neppure sulle spese di una campagna elettorale: siamo, piaccia o non piaccia, a Norimberga, perché sono loro ad avere nutrito la vergogna per 15 anni.
E che altro poteva essere se non una farsa tragica la stagione grillesca nel segno della irrazionalità, sempre tutto un improvvisare, un vaneggiare di autarchia, di anarcoproduttivismo, di cyberdemocrazia, e infine di salario di cittadinanza con cui “sconfiggere la povertà”? Hanno finito non volendo con l’irrobustire le mafie, che spesso si sono appropriate delle prebende pubbliche redistribuendole a loro convenienza: bel risultato da quelli che volevano i procuratori antimafia a incamiciare il Paese. Ci fu uno, promosso a responsabile del settore Cultura, che per risolvere il problema della crisi endemica aveva trovato una soluzione fantastica: stampare sempre più moneta, tanto la moneta è una convenzione, è carta straccia. Alla prova dei fatti la democrazia di vetro si risolve in segretezza maniacale, la modernità nel culto atavico di Madre Gaia, l’uno vale uno nel Grillo che sbraita “qui comando io, il movimento è mio”, negli insulti da taverna, non la ex onorevole, scambiati con Conte, il manichino che alla fine lo ha fregato. E i troppi soldi che corrono, i rimborsi che restano in tasca, e troppi nullafacenti che si sistemano, come quella che perdeva gli scontrini e chiedeva “alla rete” come fare.
Si è salvato, per intercessione di Mario Draghi, il masaniello Gigino di Maio che collocava il dittatore Pinochet in Venezuela e lo hanno spedito nel Golfo Persico, a far cosa non si è capito. Ma c’è qualcosa che si può capire nella farsa di un comico disarmato da uno che mentre stanziava soldi per le armi predicava il disarmo? Norimberga grillina, ma i danni accumulati da questa sarabanda di clown sono incalcolabili, solo tra bonus e sussidi e banchi a rotelle ne hanno bruciati circa 200, per tacere delle cinquecentomila imprese morte sotto pandemia. Il trionfo dell’irresponsabilità e del cialtronesco, con tentazioni autoritarie e disprezzo per la plebe che loro volevano salvare mentre andava salvata da loro. E, in apertura di 2025, la storia tipicamente grillina, di un grillismo morto ma irresistibile, della governatora Todde che sale al potere nella Sardegna diffidente, sospettosa, e subito la buttano giù perché sospettata di barare sulle spese elettorali. E lei, giustizialista convertita al garantismo pro domo sua: “Resto dove sono per amore del popolo sardo”.
Max Del Papa, 4 gennaio 2025
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