Italia, 73 mila aziende a rischio climatico

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Quanto costa la decarbonizzazione? Un rapporto di Cerved ha stimato quanto dovrebbero investire le aziende per raggiungere le emissioni nette zero al 2050. E lo ha fatto calcolando il loro rischio fisico, quello di transizione e quello di credito. 

Almeno 73 mila aziende in Italia appaiono particolarmente esposte al rischio climatico, secondo una stima di Cerved, tech-company improntata alla protezione dei rischi e alla crescita sostenibili di aziende ed enti pubblici. La maggior parte di queste 73 mila imprese sono fortemente legate ai combustibili fossili (come il settore dell’oil & gas, che comprende l’estrazione, la produzione, la raffinazione e il commercio di prodotti derivati dal petrolio e di gas), ma anche alla produzione di energia e ai settori del cemento, del ferro e dell’acciaio, dei materiali da costruzione e dell’agricoltura. E ancora: l’automotive, il settore chimico, quello della moda, quello dei trasporti e della logistica.

Cos’è il rischio climatico

Occorre, in primis, fare una precisazione di natura terminologica. Per rischio climatico si intende la combinazione di due tipi di rischi finanziari legati alle conseguenze della crisi del clima: quello fisico (o ambientale) e quello di transizione. Il primo rappresenta il livello di impatto potenziale sull’ambiente delle attività di un determinato settore economico o produttivo, indipendentemente da eventuali azioni di mitigazione. Il secondo, invece, riguarda le possibili perdite economico-finanziarie legate al processo di aggiustamento verso un’economia a basse emissioni.
Il calcolo del rischio climatico, assolutamente non semplice e appannaggio soprattutto degli esperti di economia, finanza e sostenibilità ambientale, risulta essere decisivo in un momento in cui le conseguenze della crisi climatica si fanno sempre più drammatiche e in cui le varie tappe della decarbonizzazione previste a livello sovranazionale e globale (2030, 2035, 2045 e 2050) si avvicinano inesorabilmente.

Rischio climatico, il peso della decarbonizzazione

Il rischio climatico serve proprio a stimare quanto debbano spendere le aziende per far sì che i loro settori economici e produttivi diventino più sostenibili, in un’epoca sempre più delicata. Se è vero, e ormai sotto gli occhi di tutti, che allo Stato l’inazione climatica costa molto di più rispetto ad attuare politiche ambiziose di decarbonizzazione, non si può tuttavia negare il peso economico, per le imprese, da sostenere per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050.
Nel rapporto di Cerved, che ha analizzato performance e potenzialità di circa 750 mila società di capitali, basandosi sull’analisi dei dati 2023, emerge un quadro decisamente in chiaroscuro. Da un lato, ci sono molte aziende che, complessivamente, hanno debiti per 207 miliardi di euro e ne dovrebbero sostenere altri 226 miliardi per investimenti aggiuntivi. Dall’altro, ci sono 15mila aziende (più di una su cinque, il 21,4%, di quelle considerate) che potrebbero raggiungere tranquillamente la decarbonizzazione al 2050 indebitandosi, complessivamente, per 46 miliardi di euro.

Purassanta (Cerved): “Servono strategia e pianificazione”

In un contesto globale segnato dal crescente rischio climatico, le aziende sono chiamate ad affrontare sfide senza precedenti” – ha spiegato Carlo Purassanta, presidente esecutivo di Cerved – “Per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050, e sostenere gli ingenti investimenti in tecnologie a basse emissioni, sono necessarie strategia e pianificazione. Solo un’azienda su cinque, oggi, è in grado di coniugare sostenibilità e competitività, mantenendo la propria stabilità finanziaria“.

Il rischio di credito 

A rendere ancora più complessi i dati elaborati dal rapporto di Cerved, c’è un fattore che viene tenuto in conto: l’andamento del rischio di credito, che sta tornando sui livelli di medio periodo. I tassi di decadimento (il rapporto tra posizioni creditizie in sofferenze nel corso dell’anno e lo stock di impieghi a inizio periodo) mostrano infatti una crescita del rischio nel periodo 2022-2024, ma si prevede per il biennio 2025-2026 un generale assestamento, grazie alla discesa dei tassi di interesse, per tutti i settori produttivi.

Il costo della decarbonizzazione 

Ci sono ovviamente dei settori che saranno maggiormente colpiti dalla necessità di puntare verso la transizione ecologica. Indovinate un po’: il settore del fossile, neanche a dirlo, è al primo posto. Con conseguenze (quasi) direttamente traducibili in termini economici.
Sui 226 miliardi di euro stimati complessivamente per la decarbonizzazione, la quota maggiore (circa 122,1 miliardi) tocca all’oil & gas (di cui 58,6 miliardi per l’estrazione e la produzione e 63,5 per la raffinazione e il commercio). Una quota notevole di investimenti sostenibili spetterà anche alle aziende che producono energia (74,7 miliardi di euro) e, in misura nettamente minore, da altri settori come il cemento (4 miliardi), il ferro e l’acciaio (7,3 miliardi), i materiali da costruzione (1,8 miliardi) e l’agricoltura (900 milioni). Questo, essenzialmente, il dato per quei settori maggiormente colpiti sia dal rischio ambientale che da quello di transizione. Una distinzione da sottolineare riguarda altri settori che, anche se dovranno investire cifre consistenti e talvolta superiori, sono sottoposti a rischi inferiori: si tratta dall’automotive (590 milioni), della chimica (1,35 miliardi), del sistema moda (350 milioni), dei trasporti e della logistica (13 miliardi).

Per chi costa meno la transizione ecologica?

Come anticipato in precedenza, Cerved ha individuato 15mila aziende (più di un quinto del totale) che sono sicure dal punto di vista finanziario (hanno un rapporto debiti finanziari/Ebitda inferiore o uguale a 2) e che potrebbero indebitarsi con investimenti sostenibili ma senza perdere la loro stabilità. Queste imprese potrebbero aumentare i loro debiti, complessivamente, per 46 miliardi di euro senza uscire dalla soglia di sicurezza. Il rapporto di Cerved spiega anche a quali settori appartengono: sono 5.379 nel settore trasporti e logistica (per un totale di 6,5 miliardi di indebitamento aggiuntivo), 2.097 nell’agricoltura (1,3 miliardi), 1.911 nel sistema moda (4 miliardi), 1.265 nei materiali edili (2,7 miliardi), 1.090 nella raffinazione e nel commercio di combustibili fossili (2,8 miliardi), 996 nella chimica (7,3 miliardi), 987 nell’energia (6 miliardi), 761 nell’automotive (8,1 miliardi), 528 nella produzione di ferro e acciaio (4,9 miliardi), 495 nel cemento (1,6 miliardi) e 15 nell’estrazione e nella produzione di combustibili fossili (980 milioni di euro).

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