rimettere il debito, via verso la pace

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Il tema, individuato dal Papa per la prossima Giornata mondiale della pace (“Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace”), si interseca con il Giubileo come occasione di grazia per incontrare Dio e il prossimo, costruendo la pace. Nei giorni scorsi, il quotidiano “Il Messaggero” ha pubblicato una riflessione del Santo padre sul Giubileo, nella quale ricorda come “nella storia del popolo di Israele, il suono di un corno d’ariete chiamato yobel – da cui trae origine il termine giubileo – riecheggiasse in ogni villaggio, annunciando l’inizio di un anno speciale, secondo le disposizioni della Legge di Mosè. L’anno giubilare era un tempo di riscatto e di rinascita, scandito da alcune scelte dal forte carattere simbolico, che anche oggi sono di una disarmante attualità”.

Partendo da questo abbiamo raggiunto Riccardo Moro, presidente del Civil 7 (ovvero il forum della società civile che interloquisce con il G7), componente dell’istituto Toniolo e docente di politiche dello sviluppo all’Università Statale di Milano. Moro, tra l’altro, è stato, venticinque anni fa, direttore della fondazione della Cei che portò a termine l’operazione di remissione del debito estero di due Paesi africani (Guinea Conakry e Zambia) nei confronti dell’Italia, in ottemperanza dell’appello di san Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000.

Papa Francesco ha recentemente rilanciato il forte appello per la remissione dei debiti, mettendolo come tema centrale del Messaggio per la pace 2025, e intrecciandolo con l’anno giubilare ormai alle porte. Un tema che va dritto al cuore del problema come chiave per la pace?

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Il tema non è secondario. Lo vediamo, specialmente oggi, con i numerosi interessi economici che incidono anche sui conflitti e sull’indebitamento dei Paesi. Non è un tema che va considerato in modo isolato, ma va affrontato dentro la complessità delle relazioni umane e internazionali . Il Messaggio del Papa è un forte invito a un gesto di responsabilità nella ridefinizione delle regole internazionali, in cui si inserisce anche il problema del debito, che per i Paesi del Sud globale – sia a basso che a medio reddito pro-capite – che sta di nuovo diventando un fardello che impedisce gli interventi necessari, in comunità che sono vulnerabili.

Potrebbe spiegarci perché?

Intendo dire che la spesa per il debito sottrae risorse alla spesa per attività sociali (scuole, sanità) e per le infrastrutture spesso particolarmente necessarie. Nel messaggio del Papa si fa notare come questo debito finanziario esista insieme a un debito ecologico. Ciò a dire che esiste anche una relazione asimmetrica, ineguale, che ha conseguenze sulla qualità della vita delle persone, in relazione dell’impatto che abbiamo determinato, sia in rapporto all’inquinamento prodotto che allo sfruttamento delle risorse. Risorse che sono maggiormente presenti nel Sud globale, dove ci sono i Paesi più vulnerabili, e che sono state utilizzate, viceversa, dai Paesi che chiamiamo ricchi. Si è creato un circolo vizioso, in cui i Paesi ricchi sono i creditori del debito finanziario, ma allo stesso tempo, sono i debitori dal punto di vista ecologico, condizione, questa, a cui non si dà la dovuta importanza. L’uscita da questa relazione asimmetrica o ingiusta può essere fatta solo insieme definendo nuove regole. Non a caso, nel Messaggio si parla di una nuova architettura finanziaria internazionale, cioè un insieme di regole che consentano sia di affrontare la gestione delle crisi debitorie sia la ridefinizione delle norme che consentano di rifinanziare percorsi in maniera sostenibile, sia gli impegni che chi ha più disponibilità deve mettere in atto per contribuire alla salute globale del pianeta e delle persone.

Tutto questo, come sta nel Messaggio per la pace?

La pace non nasce per un intervento magico, per il bla bla di un potente, o per un’azione divina. La pace si fonda su azioni responsabili e regole eque, basate sulla giustizia e la solidarietà. In questo senso, va letto il collegamento tra debito e pace. D’altro canto, il debito evoca l’idea di sentirsi in dovere di onorare l’impegno preso, restituendo ciò che ci viene prestato. Quindi, quando parliamo di debiti e crediti, parliamo di fiducia e responsabilità, due elementi fondamentali delle relazioni umane e nella pace. Il conflitto nasce dalla rottura di relazioni umanizzanti. A livello personale o familiare porta a tensioni, lacerazioni, separazioni e fallimenti. A livello di Stati, può portare fino alle guerre.

L’invito del Papa per la remissione del debito riguarda solo gli Stati, o ci sono altri piani di lettura più personali?

Il Messaggio per la pace è, normalmente, un testo dedicato alle relazioni internazionali, ponendo attenzione alle, alla equa distribuzione delle risorse e alla pace. È sempre stato declinato evidenziando i fondamenti etici, che non valgono esclusivamente per la dimensione internazionale o per le istituzioni, ma per ogni persona. L’appello giubilare, così come quello per la Giornata del 1° gennaio, è anche una sorta di chiamata permanente alla costruzione di giustizia attraverso la solidarietà nella vita di tutti noi, nella vita di tutte le nostre comunità. Sul piano della persona, è chiaro il legame con il tema della riconciliazione e della costruzione di rapporti riconcilianti tra di noi. Questo perché la dimensione del conflitto è una condizione di fatto naturale della vita, come risultato delle nostre imperfezioni. Se non le gestiamo, consentiamo l’ingresso della violenza nelle nostre relazioni personali, familiari, comunitarie, che si trasformano in conflitti tra Paesi. Nel momento in cui le gestiamo in modo riconciliato, abbiamo una reciproca attenzione a cogliere gli elementi comuni, generiamo relazioni riconciliate. Il Papa, nel Messaggio, scrive: “Tutti siamo necessari l’uno all’altro”. Quando riusciamo a rendercene conto, quando riusciamo a includere tutti, anche chi può apparirci più faticoso da accogliere, allora noi riusciamo a stemperare la violenza e a utilizzare le differenze come risorse per il miglioramento.

Questo forte appello arriva nel mezzo di guerre e di forti tensioni tra gli Stati, nell’ottica di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, a causa di crisi economica e climatica. Dal suo osservatorio è oggi il tempo (kairos) più propizio per ritornare ad azioni concrete per la remissione del debito estero dei Paesi più poveri?

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La guerra fa paura. La violenza nel mondo sta crescendo. C’è una sorta di instabilità, che è alimentata da un dialogo politico che negli ultimi anni ha perso di qualità, e si è radicalizzato anche con la crescita dei populismi e dei nazionalismi. L’ultimo esempio è quello della Corea del Sud, dove il presidente Yoon Suk-yeol ha pensato di risolvere la fatica della discussione parlamentare con la sospensione, per fortuna fallita, delle attività del Parlamento e la dichiarazione di legge marziale.Ma abbiamo tensioni gravi anche per esempio in Romania, Georgia, Perù, Stati Uniti, Siria, Russia… Un elenco purtroppo non esaustivo. Vi è una fatica a comporre il dialogo, a diversi livelli, che degenera facilmente in guerre vere e proprie, e genera preoccupazione riguardo al futuro. Tra le persone, questa condizione suscita reazioni “di pancia”, che accrescono il conflitto. Nelle istituzioni, può dare vita a reazioni imbarazzanti, come quella della rieletta presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha recentemente ammonito i Paesi dell’Unione europea a “turbo aumentare la spesa militare”. Nessuno nega le preoccupazioni sulla sicurezza, ma da una figura leader di una Europa che tuttora si considera patria dei diritti umani, ci si aspettano parole diverse, e non una miopia imbarazzante di questo tipo. Non è un caso che papa Francesco ci inviti a fare, crescere il dialogo multilaterale attraverso le Nazioni Unite. Quest’ultima organizzazione vive un tempo di grave delegittimazione e l’avvento di Donald Trump non promettenulla di buono. Il prossimo presidente Usa ha già ripreso la retorica di disprezzo verso l’Onu e lo slogan “America first”. Ma, di fatto, l’Onu, oggi, è l’unica istituzione internazionale in cui tutti sono davvero rappresentati. È molto importante investire nell’Onu, perché possacontinuare la sua autorevolezza, fondata sulla partecipazione universale, e il suo ruolo di “moral suasion” e indirizzo politico verso la pace.

Il Giubileo non è utopia, ma è profezia. Nella Bibbia era anche e soprattutto una faccenda sociale ed economica. Come riportare al centro delle nostre comunità il tema della redistribuzione delle risorse e della cooperazione allo sviluppo?

Nel 2025, a fine giugno (30 giugno – 3 luglio), avremo, a Siviglia, un importante appuntamento delle Nazioni Unite, che è la 4ª Conferenza internazionale sul finanziamento per lo sviluppo. La Conferenza mira ad affrontare l’urgente necessità di attuare gli obiettivi dell’Agenda 2030, e a sostenere la riforma dell’architettura finanziaria internazionale, dopo i dieci anni trascorsi dalla precedente Conferenza, tenutasi ad Addis Abeba (giugno 2015). Questa Conferenza, proprio in ragione dell’instabilità internazionale, è oggetto di un fortissimo interesse da parte di tutti i Governi. In quella sede, si discuterà di regole per gestire le crisi del debito e nuove regole di prestito, ma anche di regole per il mercato finanziario, che potranno avere conseguenze molto consistenti sulla formazione dei prezzi delle materie prime, sulle conseguenti possibilità di accesso alle stesse, che significa incidere su fame e povertà, da un lato, e sull’immenso business delle grandi multinazionali, dall’altro. Vedo, in questa Conferenza, una opportunità importante per costruire delle possibili convergenze a livello globale. E l’appello giubilare, con la capacità di richiamo che il Papa può fare a livello universale, include anche questo appuntamento.

Venticinque anni fa, lei era direttore della fondazione della Cei che portò a termine l’operazione di remissione del debito estero di due Paesi africani (Guinea Conakry e Zambia). Oggi è ripetibile un’operazione come quella del 2000?

Le condizioni sono diverse, rispetto a 25 anni fa. Oltre a un clima meno conflittuale, allora il debito era dovuto soprattutto fra soggetti pubblici, Governi e istituzioni, ed era più facile affrontare politicamente il tema. Dopo il 2000, nuovi prestatori, spesso spregiudicati, hanno cominciato a concedere soldi facili a leader altrettanto spregiudicati, soprattutto nelle zone in cui si concentrano risorse minerarie di interesse strategico per le economie progredite. L’indebitamentoè ripreso, con un ruolo importante anche di creditori privati. Inoltre, le crisi del 2008 e del Covid hanno ridotto le entrate, mentre aumentavano le esigenze di spesa pubblica, portando i Governi a indebitarsi ulteriormente. Oggi, la crisi è di nuovo grave, ma gli attori sono più numerosi, con un ruolo non indifferente di privati spregiudicati, come abbiamo detto. Per questo, più che una generica cancellazione, ora chiediamo la creazione di un foro all’Onu che possa far incontrare tutti gli attori e gestire le crisi e le cancellazioni, e definire nuove regole finanziarie per il futuro .

Quali saranno i prossimi passi della Chiesa italiana?

Il 9 gennaio verrà presentata la campagna “Cambiamo la rotta. Trasformare il debito in speranza” da parte di diversi soggetti del mondo cattolico italiano, come Caritas italiana, Azione cattolica, Focsiv, Agesci, fondazione Missio e Migrantes. La Campagna risponde a un appello lanciato da Caritas internationalis in tutto il mondo, in occasione del Giubileo, e ha l’obiettivo di offrire degli strumenti di animazione sul territorio per vivere con responsabilità e consapevolezza il tempo del Giubileo, e per concorrere, con la più ampia società civile italiana e internazionale, a rafforzare l’appello per intervenire sul debito e sulla giustizia internazionale.

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Una strada può essere anche quella del microcredito e del sostegno delle realtà locali di campesinos e artigiani, come in Ecuador, con l’esperienza del commercio comunitario di Maquita e del Fondo ecuadoriano Populorum progressio (Fepp)?

Questo è un esempio virtuoso, dal quale prendere spunto come argomento di riflessione, anche in occasione del Giubileo. È una strada coerente con le indicazioni contenute nel Messaggio per la pace, che in questi anni si è rilevata feconda, perché ha saputo costruire reti sociali coinvolgendo in un ruolo attivo la popolazione, attraverso la partecipazione e rendendola protagonista di attività economiche che hanno creato filiere, scambi non basati solo sulla competizione, o sulla sola logica del profitto, ma su quella della compartecipazione, generando crescita economica sostenibile e, ciò che più importa, tessuto sociale.



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