Il monito del premio Nobel Acemoglu: “Serve un impegno per un’intelligenza artificiale a misura d’uomo”

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In un interessante editoriale pubblicato su Project Syndicate il premio Nobel per l’economia Daron Acemoglu torna a riflettere sull’impatto potenzialmente devastante dell’intelligenza artificiale sulla società e lancia un appello a promuovere un approccio diverso al suo sviluppo, un’agenda “anti-AGI e pro-human”.

Acemoglu: “L’avvento dell’AI generale è ancora lontano”

Acemoglu sottolinea in primo luogo come, nonostante le grandi aspettative e gli ingenti investimenti, l’AI non abbia ancora prodotto i rivoluzionari benefici in termini di produttività promessi da molti esperti del settore.

L’economista turco in forze all’MIT di Boston mette in guardia contro un eccessivo ottimismo, ricordando come la storia dell’AI sia costellata di previsioni ambiziose poi disattese.

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L’intelligenza artificiale generale (AGI), quella in grado di eseguire qualsiasi compito cognitivo umano, è ancora lontana dal diventare una realtà, spiega Acemoglu. “Non dovremmo aspettarci che l’AI sostituisca più del 5% circa di ciò che fanno gli esseri umani nel prossimo decennio”, afferma l’economista. Servirà molto più tempo affinché i modelli di IA acquisiscano le capacità di giudizio, ragionamento multidimensionale e le competenze sociali necessarie per la maggior parte dei lavori.

I rischi di un’adozione di massa del modello attuale

Ma anche se la rivoluzione portata dall’avvento dell’AI generale non è dietro l’angolo, Acemoglu mette in guardia dai rischi e dai possibili effetti deleteri sulla società legati alla diffusione degli attuali modelli di AI, che a suo avviso non sono in grado di apportare benefici alla produttività.

Acemoglu si riferisce in primo luogo ai danni che l’AI è già in grado di fare se utilizzata per l’automazione su larga scala, dove la sostituzione dei lavoratori non è accompagnata appunto da incrementi di produttività. “l’AI può essere sfruttata per l’automazione su larga scala, anche quando tali usi rendono le nostre società più disuguali, meno inclusive e meno attente ai bisogni umani”, avverte Acemoglu.

Ma ci sono anche altri effetti fortemente negativi quando l’AI viene impiegata in attività volte alla disinformazione, alla manipolazione e alla sorveglianza di massa.

Mettere l’AI al servizio del progresso di tutti

In risposta a questi scenari Acemoglu propone una visione alternativa (e positiva) del ruolo dell’AI nella società. Egli sostiene che, invece di concentrarsi sull’automazione e sulla sostituzione dei lavoratori, l’AI dovrebbe essere utilizzata per complementare e potenziare le capacità umane.

L’AI come tecnologia dell’informazione

Acemoglu evidenzia come l’AI, nella sua essenza, sia una tecnologia dell’informazione. Sia nella sua forma predittiva (come i sistemi di raccomandazione dei social media) che generativa (come i modelli linguistici di grandi dimensioni), la sua funzione principale è quella di setacciare enormi quantità di dati e identificare schemi rilevanti. Questa capacità, secondo Acemoglu, rappresenta un “antidoto perfetto” al problema dell’overload che caratterizza la nostra epoca. “Viviamo in un mondo in cui l’informazione è abbondante, ma l’informazione utile è scarsa”, dice Acemoglu. l’AI può aiutarci a trovare e utilizzare le informazioni di cui abbiamo bisogno per essere più produttivi e risolvere problemi complessi.

Questo approccio, anziché esaltare il potere distruttivo dell’AI sui posti di lavoro, esalterebbe la sua capacità di espandere le capacità di molti professionisti, dai medici agli insegnanti, dagli elettricisti agli idraulici, che si trovano ad affrontare problemi sempre più complessi e hanno bisogno di informazioni specifiche e di formazione adeguata. Invece di sostituire i lavoratori, l’AI può cioè favorirli, creando le condizioni perché aumenti la domanda dei loro servizi e di conseguenza migliorino le retribuzioni e le condizioni di lavoro.

I tre ostacoli da superare

Perché questa visione abbia delle chance di successo occorre però superare tre ostacoli che remano invece nella direzione degli scenari distopici precedentemente analizzati.

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Il primo ostacolo che il premio Nobel individua è la “fissazione per l’AGI”. L’ossessione per l’Intelligenza Artificiale Generale (AGI) distoglie l’attenzione dal potenziale dell’AI come strumento per migliorare le capacità umane.

Le aziende – rileva Acemuglu – “investono in chatbot che scrivono sonetti shakespeariani invece di sviluppare applicazioni che aiutino gli elettricisti a svolgere compiti complessi”, dice.

Acemoglu insomma critica la tendenza a sviluppare tecnologie che sostituiscono gli esseri umani invece di completarli, sottolineando l’importanza di valorizzare le competenze e le capacità umane. E propone un cambio di paradigma che enfatizzi il ruolo dell’AI nell’aumentare e ampliare le capacità umane.

Il secondo ostacolo da abbattere è lo scarso investimento nelle persone. L’AI – dice Acemoglu – può essere uno strumento di emancipazione solo se si investe in formazione e competenze. È fondamentale che le persone siano in grado di utilizzare gli strumenti di AI e di elaborare le informazioni che forniscono.

Acemoglu sottolinea quindi la necessità di investire in formazione e istruzione a tutti i livelli, andando oltre la semplice acquisizione di competenze complementari all’AI. Occorre cioè insegnare alle persone a coesistere con gli strumenti di IA e a usarli in modo efficace.

Il terzo ostacolo evidenziato da Acemoglu è quello relativo ai modelli di business che muovono l’industria high-tech.

I modelli di business delle grandi aziende tecnologiche, basati sulla pubblicità digitale e sull’automazione, ostacolano lo sviluppo di un’AI “pro-umana”: le grandi aziende tech guadagnano infatti principalmente attraverso la pubblicità digitale (raccogliendo dati sugli utenti e tenendoli “incollati” alle piattaforme) e vendendo strumenti per l’automazione. Questi modelli incentivano la dipendenza, la manipolazione e la sostituzione dei lavoratori, non il loro potenziamento. E poi il settore Tech è contraddistinto dalla concentrazione: pochi giganti monopolizzano capitali, dati e anche talenti. Questo impedisce l’emergere di aziende che vogliano proporre modelli di business alternativi: basti pensare che le startup promettenti finiscono per essere acquisite dai big player anziché competere con loro.

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Per cambiare rotta serve un’azione a più livelli: un cambio nella narrazione dei media che porti a una maggiore consapevolezza nella società e promuova un’AI al servizio dell’uomo e leggi e politiche che indirizzino lo sviluppo dell’IA verso obiettivi socialmente desiderabili e nella società civile.




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