Il calo demografico non si ferma con l’aumento delle nascite

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Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. O in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia dal 28 dicembre.

Prendiamo un orologio. La lancetta più lunga, quella dei secondi, è la politica e si muove velocemente. La lancetta media, quella dei minuti, è l’economia e si sposta più lentamente perché ha bisogno di programmazione e investimenti. La terza lancetta, quella delle ore, corta e spessa, è la demografia. Procede con movimenti impercettibili, ma è la lancetta più importante, che scandisce il tempo e definisce il perimetro e il futuro delle nostre società. Francesco Billari, demografo e rettore dell’Università Bocconi di Milano, prende in prestito questa immagine da Alfred Sauvy, uno degli studiosi di demografia più importanti del Novecento, per spiegare che Domani è oggi (come recita il titolo del suo libro, uscito per Egea). Ovvero, che il domani delle società è l’oggi della demografia. Per cui «avere un approccio demografico è necessario per pensare al futuro», spiega Billari.

Ma bisogna agire su quell’orologio, perché la demografia non è un destino ineluttabile. «La politica», dice il rettore, «può tirare fuori la corona dell’orologio, spostare la lancetta delle ore e cambiare il futuro». In una realtà che corre velocemente, la demografia offre certezze solide. «In Italia le nascite sono calate a partire dal picco dei baby boomer del 1964, quando nacque più di un milione di bambini», spiega. «Possiamo prevedere che il gruppo più numeroso nel 2025 non saranno più i sessantenni come nel 2024, ma i sessantunenni». Ma «la vera questione è che cosa succede nei prossimi dieci-vent’anni». Nel 2023 l’Italia ha registrato circa un terzo dei nati del 1964. Mentre la speranza di vita media è cresciuta a 80,5 anni per gli uomini e 84,8 per le donne.

È l’«eccezionalismo demografico italiano»: a questi ritmi di natalità (1,2 figli per donna in età fertile), gli italiani nel 2040 saranno tre milioni in meno e molto più vecchi. È un dato che avrà impatti enormi su mercato del lavoro, crescita economica, pensioni e sanità. Come cambiare la traiettoria? Il futuro dell’Italia «non dipenderà dall’aumento delle nascite», risponde Billari. Anche se riuscissimo a raddoppiare la natalità, questo non basterebbe oggi a garantire stabilità ai conti dell’Inps o a creare quelle professioni che le aziende italiane cercano e non trovano. «La riposta è l’immigrazione», dice Billari. «La demografia dell’Italia dei prossimi dieci-vent’anni si gioca su quelli che arrivano o decidono di andare via dal nostro Paese».

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A differenza della natalità, l’immigrazione ha un effetto immediato. È già accaduto in Italia con le migrazioni interne. Billari ricorda che senza gli immigrati arrivati dal Sud Italia, il Nord-Ovest (che nel Secondo dopoguerra aveva un livello di fecondità sotto i due figli per coppia) oggi avrebbe quasi cinque milioni di abitanti in meno e un invecchiamento «alla giapponese». La dinamica «virtuosa della demografia», spiega, «è stata invece decisiva nel boom economico che ha fatto decollare le aree più ricche del Paese».

Gli immigrati che arriveranno saranno studenti, lavoratori e famiglie: quello che ci serve, ribadisce il rettore. A patto però che si pensi anche a integrare le «seconde generazioni» attraverso la scuola e un sistema di acquisizione della cittadinanza più veloce. Insomma, occorrono «occhi un po’ strabici». Che significa guardare l’oggi e il domani insieme. E quello che servono non sono bonus bebè che cambiano a ogni legge di bilancio, ma «combinazioni di politiche» che offrano sostegno alle famiglie, asili nido, congedi di genitorialità e agevolazioni fiscali. Ma anche politiche per «l’occupazione femminile e la condivisione dei ruoli di cura» e altre che «migliorino l’integrazione degli immigrati e aiutino il rientro dei Neet nella vita attiva».

Non esiste una misura magica che da sola possa dare nuovi rintocchi alla demografia italiana. Solo se si crea un «ecosistema di politiche stabili e coerenti», si può avere un impatto vero. «Dobbiamo focalizzare l’attenzione più sulla genitorialità che non direttamente sulla natalità», dice Billari. «Diventare genitori è la scelta di lungo periodo per eccellenza. I bonus magari piacciono ai politici, ma non hanno impatti concreti. Quello che serve è la stabilità di lungo periodo nelle politiche». Ma, per farlo, occorre un approccio simile a quello che portò alla scrittura della Costituzione, «un accordo ampio e bipartisan tra i partiti».

Dobbiamo farci guidare dai dati ed evitare che anche la demografia diventi «materia di divisioni ideologiche».

La scienza sociale ha un metodo: si basa sui dati e sul confronto con gli altri Paesi. Punto. E se confrontiamo l’Italia con gli altri Paesi, viene fuori l’altra emergenza: bassi livelli di istruzione e scarsità di competenze. «L’Italia non solo ha pochi pochi giovani, ma li fa anche studiare poco», dice Billari. «Non possiamo più permetterci di lasciare metà degli studenti in affanno, con cicatrici di basse competenze che si porteranno dietro per sempre. Il nostro Paese ha una scelta obbligata per crescere: dare priorità alla coltivazione e all’attrazione di ogni talento». Billari propone di riformare il sistema scolastico, ancora fermo alla riforma Gentile di un secolo fa, che prevede che «ci siano le bocciature o che non tutti debbano arrivare alla fine delle superiori attrezzati per andare all’università». Questo approccio selettivo «magari potevamo permettercelo quando avevamo un milione di nati. Oggi non possiamo più farlo».

Il rettore propone di allungare l’obbligo scolastico fino a 18 anni, spostare in avanti l’età della scelta dell’università e creare una scuola superiore che abbia una base comune unica con l’aggiunta di materie opzionali. Dopodiché, aggiunge, serve anche che i giovani siano messi nelle condizioni di diventare adulti, con politiche per la casa che incoraggino «l’autonomia residenziale» anche oltre l’università. La demografia è questo: non solo numeri, ma persone e futuro. Ecco perché «anche la narrazione dei demografi deve cambiare», dice il rettore. «Non si può parlare solo dei disastri che arriveranno con l’inverno demografico, bisogna discutere anche delle politiche per evitarlo».

E accanto a demografi «più ottimisti», quello che serve sono anche politici che non giochino sulle paure. Mettere migranti contro nascite, dire che le strade sono insicure e che bisogna fermare gli sbarchi, non aiuta certo a dissolvere i timori per il futuro. Continuando così, non arrivano migranti, ma non si fanno neanche figli. Se invece si comincia a progettare un futuro migliore, lavorando magari perché ci siano asili nido per tutti, «arriveranno i migranti e faremo anche più figli», dice Billari. Si tratta certo di scelte il cui effetto andrà ben oltre l’orizzonte di un governo. Anche per questo sono difficili. Ma il tempo sull’orologio passa anche quando non lo tocchiamo. E si può agire solo spostando le lancette.

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