La fine della globalizzazione ha tra le sue vittime illustri la Germania, il cui profondo malessere, che è allo stesso tempo strategico, politico ed economico, è colpevolmente sottovalutato nel resto dell’Europa.
Anzi, si è invece diffuso il sottile piacere nel vederla finalmente in grave difficoltà.
Tutto prende le mosse dalla violenta ricomposizione del quadro geopolitico che è stata determinata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata nel febbraio del 2022.
In Germania il già fragile governo della coalizione semaforo guidata dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, ha dovuto immediatamente riallinearsi alle imperative determinazioni degli Stati Uniti, rinunciando alla piena liberà sul piano geoeconomico di cui aveva beneficiato sin dall’inizio del secolo: una libertà che le aveva consentito dapprima di stringere un legame osmotico sul piano energetico con la Russia e poi, per bilanciare la crisi strutturale della domanda interna nell’Eurozona, di costruire con la Cina rapporti commerciali e industriali talmente intensi da farla diventare il suo primo partner.
È stata dunque rimessa in discussione quella strategia che si era snodata per un quarto di secolo, partendo dal cancellierato di Gerhard Schröder del 2002, e poi proseguita ininterrottamente sotto la guida di Angela Merkel fra il 2005 e il dicembre del 2021, in pratica fino alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina.
Germania in crisi anche dal punto di vista economico interno
La Germania è chiusa in una morsa sempre più serrata anche dal punto di vista economico interno: se la fine degli approvvigionamenti diretti di gas dalla Russia ha determinato un vistoso e generalizzato aumento dei costi di produzione, la transizione all’auto elettrica ha inferto un colpo fatale al suo gioiello industriale.
Ora, di fronte alle chiusure degli impianti e ai licenziamenti che vengono ininterrottamente annunciati, non si sa se reagire lasciando libero il mercato di riassestarsi, come fu deciso ai tempi terribili del cancelliere Bruning, oppure se intervenire in modo dirigistico: questo è il nodo economico interno che la politica tedesca deve sciogliere, dopo la crisi del governo di coalizione guidato da Scholz, da cui i liberali si sono voluti tirar fuori a ogni costo, visti i sondaggi che li danno in picchiata.
I liberali dell’Fdp continuano a essere la grande incognita della politica tedesca: quando nel 2002 parteciparono al governo guidato dal socialdemocratico Schröder, imponendogli riforme sociali di estrema durezza, non solo gli fecero perdere gran parte del consenso elettorale ma ne persero abbondantemente a loro volta.
E poi, quando a partire dal 2009 furono i partner della coalizione guidata da Merkel, vennero puniti per l’inconsistenza della loro partecipazione al governo, tanto che nelle elezioni del 2013 non riuscirono a superare la soglia dello sbarramento al 5%. Anche nella crisi in corso hanno dimostrato di navigare nel buio più assoluto.
I Verdi
I Verdi non sembrano essere da meno: da sinistra, le loro posizioni sono considerate ancora più favorevoli agli interessi capitalistici di quanto non lo siano quelle sostenute dalla ortodossia liberista.
Per questo motivo perdono voti a favore della Bsw (Bündnis Sahra Wagenknecht), soprattutto nei Land orientali. È la crisi economica profonda che fa polarizzare i voti anche a destra, a favore dell’AfD (Alternative fur Deutschland), guidata da Alice Weidel: la Germania torna a essere politicamente spaccata in due, con i partiti di estrema destra e di estrema sinistra che nei territori della ex-Ddr surclassano quelli tradizionali.
Recuperare il ruolo storico
Per la Germania, recuperare il ruolo storico di antemurale dell’Occidente nei confronti della Russia, che è tornata a essere il nemico esistenziale dell’Europa libera, significa evitare l’incubo della irrilevanza strategica rispetto alla Polonia, che di fatto è diventata la nuova Frontiera: ma questo obiettivo comporta un attivismo diretto sul piano militare assai difficile da implementare dal punto di vista sociale e culturale. Ed è dubitabile che sia nell’interesse dell’Occidente che un tale processo di riarmo tedesco venga avviato, sia pure nell’ambito della Nato.
L’intervento di Elon Musk
Come se non bastasse un quadro così confuso, ci si è messo anche Elon Musk a interloquire sulla politica interna tedesca, sostenendo che AfD è l’unico partito che con le sue proposte politiche audaci può salvare la Germania: è un Paese che si è barcamenato nella mediocrità e che ora si trova sull’orlo del collasso economico e culturale per colpa dei partiti politici tradizionali che hanno fallito miseramente.
La stagnazione economica
La loro politica ha portato alla stagnazione economica, al conflitto sociale e alla erosione della identità nazionale: per questo serve il controllo dell’immigrazione che viene chiesto da AfD, un abbassamento delle tasse e una profonda liberalizzazione del sistema economico.
La democrazia guidata dal denaro
L’obiettivo di Musk è quello del liberismo finanziario statunitense di cui è l’espressione vincente, perché è stato il supporto garantito a Donald Trump anche attraverso i social media che gli ha consentito di proseguire la campagna elettorale e di vincere le elezioni: la democrazia va guidata dal denaro, dall’alto, anche in Germania, dove va preso di mira quel Kombinat finora invulnerabile realizzato tra sistema politico, banche e rappresentanze datoriali e sindacali.
Si vellica Afd per dinamitare l’assetto politico fondato su Cdu-Csu e Spd: bisogna far saltare l’assetto costituzionale che protegge lo Stato sociale, ma soprattutto il sistema di potere che per oltre un ventennio ha rivendicato con forza la propria indipendenza sul piano internazionale, sfidando l’imperialismo politico ed economico americano. (riproduzione riservata)
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