Carmelo Canale: Non desecretate la mia audizione!

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«Non desecretate la mia audizione, piuttosto vengo a deporre in Antimafia».

È questa la richiesta dell’allora maresciallo Carmelo Canale, divenuto poi ufficiale – considerato il braccio destro  del giudice Paolo Borsellino – alla presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo che vorrebbe desecretare la sua audizione del 3 settembre 1997 in Commissione antimafia sul dossier Mafia-appalti.

Per quale motivo Canale chiede che non venga desecretato l’atto?

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Stando a quanto dichiarato da Canale, l’allora presidente Del Turco sarebbe stato più volte rassicurato da Caselli che il carabiniere non era iscritto al registro degli indagati, mentre invece risultava già indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

A seguito di quelle rivelazioni – afferma Canale –  che egli subì false accuse che lo inguaiarono per anni, fin quando non venne assolto con sentenza irrevocabile “perché il fatto non sussiste”.

A smentire di aver rassicurato l’allora presidente Del Turco in merito al fatto che Canale al momento della sua audizione in commissione antimafia non fosse indagato, è lo stesso Gian Carlo Caselli, che con una sua nota precisa di non aver mai riferito a Del Turco nulla in merito al fatto che non ci fosse un’iscrizione al registro degli indagati.

Del Turco, nel corso di un’intervista, aveva rivelato che l’audizione di Canale era stata oggetto di tensioni all’interno della Commissione, poiché c’era il timore che le sue dichiarazioni potessero destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia siciliana, aggiungendo che l’audizione si tenne in un’atmosfera molto tesa.

Una vicenda complessa della quale si è interessato anche il giornale ‘Il Dubbio’ che riporta come Del Turco, allora presidente della commissione, successivamente all’audizione dovette intervenire per impedire che il carabiniere facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie di Lombardo, ufficialmente per evitare di trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta, competente per eventuali reati commessi da magistrati di Palermo.

Come riportato dal giornalista Aliprandi, autore dell’articolo, il verbale dell’audizione venne inoltrato alla Procura di Palermo, e successivamente, per competenza, sarebbe poi dovuto essere inviato alla procura di Caltanissetta.

Un verbale che non si sa se venne inviato o meno, ma che è tuttora secretato in commissione antimafia.

Canale è una figura centrale di quegli anni, accusato da diversi pentiti di aver venduto a Cosa Nostra informazioni riservate – assolto da tutte le accuse mossegli – fu tra i testi a carico di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, in merito al fallito attentato all’Addaura in danno del giudice Giovanni Falcone, e sulla strage di via D’Amelio, nella quale morì il giudice Paolo Borsellino (leggi quando Mori disse che l’attentato escludeva fosse opera di Cosa Nostra, attribuendolo ad altri ambienti).

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Una figura controversa del quale ne ha scritto anche un magistrato, narrando di perplessità manifestate dal Giudice Borsellino in merito alle indagini sul duplice omicidio del colonnello Giuseppe Russo,  uno degli uomini più fidati di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e del professore Filippo Costa .

L’omicidio del colonnello Russo fu voluto da Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella.

Dell’uccisione del colonnello vennero accusati tre pastori, a seguito della confessione in caserma da parte di uno di loro stessi.

Tre innocenti, uno dei quali si era autoaccusato del delitto, chiamando in correità gli altri due.

Al momento di quella confessione, che poi si scoprirà falsa, c’era Canale.

Secondo il magistrato che ne scrive, più volte Borsellino chiese a Canale di dirgli la verità.

La giudice Alessandra Camassa nel corso di un’udienza come teste al processo al generale Mario Mori a Palermo, all’epoca accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, disse di che il maresciallo Canale l’avesse sollecitata più volte a parlare con il giudice Borsellino e dirgli di stare più attento e che non si doveva fidare dei carabinieri del Ros di Palermo perchè erano pericolosi.

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Nel corso di una conversazione intercettata tra gli ufficiali dei carabinieri De Donno, Raffaele Del Sole e il generale Mario Mori, ad avere dei dubbi sull’ex maresciallo, facendo riferimento al momento di scoramento e alla confidenza fatta da Borsellino ad Alessandra Camassa e Massimo Russo a proposito di un amico che lo aveva tradito, furono De Donno e Mori che ipotizzarono che l’amico traditore potesse essere proprio Canale.

Secondo il giornalista del Dubbio, l’audizione secretata di Canale, del 1997 in Commissione antimafia, potrebbe rivelare particolari importanti in merito all’incontro tra Borsellino e gli uomini del Ros del generale Mori, relativi all’indagine mafia-appalti e al coinvolgimento dei due magistrati dei quali all’epoca non fece i nomi.

Canale durante un’udienza del 2013 nell’ambito del processo Borsellino quater, aveva già dichiarato che il motivo per cui Borsellino aveva voluto incontrare De Donno e Mori il 25 giugno 1992 nella caserma Carini dei Carabinieri di Palermo, era dovuto all’interesse che il giudice aveva per il “Corvo 2”, l’anonimo che a cavallo tra le stragi di Capaci e via D’Amelio aveva scritto una lettera che aveva fatto tremare i palazzi romani e palermitani, svelando trame politiche e accordi di uomini importanti con la mafia, infangando anche Falcone e persone a lui vicine.

Secondo la testimonianza di Canale al processo contro Contrada, si trattava di una lettera anonima arrivata al Sisde, che il numero tre dei servizi aveva rielaborato e mandato a procure e giornali.

Un’altra ipotesi, era quella che il “Corvo 2” fosse stato scritto in ambienti del Ros.

L’autore anonimo, era comunque qualcuno che sapeva che a Palermo in via Roma 457 c’era la Gus, società di copertura del centro palermitano del Sisde, dove si trovava anche lo studio di Pietro Di Miceli, il commercialista che nella lettera anonima veniva accusato di aver commissionato ai servizi la strage di Capaci.

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A gettare ombre sull’operato di Canale, oltre a Giovanni Brusca, Angelo Siino, Antonino Patti e Vincenzo Sinacori – dalle cui accuse il carabiniere venne assolto – in epoca più recente era stato anche Vincenzo Calcara, che come altri pentiti definiti in più sentenze inattendibili, aveva incontrato l’allora maresciallo Canale, tessendone gli elogi.

Sulla figura di Canale, che si era occupato di dichiaranti poi scoperti inattendibili (leggi l’articolo), come Spatola, Filippello, Scavuzzo, la Grimaldi e lo stesso Calcara, questi alla domanda di Enza Galluccio (autrice di libri su mafie e relazioni tra Stato e criminalità organizzata) affermò:

“Nell’arma dei carabinieri c’erano uomini che lavoravano con lui (Borsellino -ndr), ma lo hanno tradito, lo hanno lasciato solo … al suo destino.  Se dobbiamo parlare di Canale, io so che ha fatto una buona carriera”.

Anche il pentito  Gioacchino Schembri, collaboratore di giustizia originario di Palma di Montechiaro, aveva parlato di Canale, raccontando come in uno degli incontri avuti con il carabiniere ebbe modo di conoscere il Generale Mori.

Schembri – che poi chiese di non avere più contatti con Canale – aveva dichiarato di come questi gli avesse detto di appartenere ai servizi segreti.

“Forse è giunta l’ora di togliere i sigilli, soprattutto alla luce delle attuali indagini di Caltanissetta riguardanti l’operato di almeno due magistrati di Palermo di allora”, scrive Aliprandi sul Dubbio, aggiungendo che “la commissione Antimafia potrebbe desecretare il verbale Canale, anche per capire se ci siano o meno dei pezzi mancanti, e perché quell’audizione avrebbe potuto creare una crisi istituzionale di alto livello”.

Non v’è dubbio che la desecretazione dell’audizione di Canale del ’97 – così come tutti gli atti relativi a quel periodo  – sarebbe un atto doveroso per una commissione che a distanza di oltre trenta anni si pone come obiettivo il far chiarezza sulle stragi, e coerenza vuole che proprio i giornalisti che hanno ritenuto tale desecretazione un momento importante – così come i familiari delle vittime di quelle stragi – insistano perché non rimangano dubbi sul movente e sulle dinamiche che portarono all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, e dei componenti delle loro scorte.

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Spetterà adesso alla presidente Colosimo rendere noti i contenuti di quell’audizione.

Un atto di riguardo verso le vittime, i loro familiari, e tutti gli italiani che di quegli eventi ancora oggi subiscono le conseguenze.

Gian J. Morici



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