Lo sapevate? In Sardegna la Befana è sa Femmina Beccia.
Accomunata impropriamente a Sa Filonzana, cosa si sa oggi sull’Epifania in Sardegna? Esistono delle vecchie tradizioni legate a questa festività?
Sapevate che in Sardegna la Befana è chiamata “sa Femmina Beccia”? Questo nome curioso rivela l’esistenza di tradizioni legate all’Epifania che, pur avendo subito trasformazioni nel tempo, portano con sé tracce di antichi rituali e influenze culturali diverse. L’Epifania, celebrata il 6 gennaio in tutto il mondo cristiano occidentale e il 19 gennaio nelle chiese ortodosse che seguono il calendario giuliano, è una festa dalle radici profonde. Il termine “epiphaneia”, che in greco significa “manifestazione”, era usato per indicare l’apparizione di una divinità. Nella tradizione cristiana, questa festività celebra la visita dei Magi a Gesù Bambino, evento che ha arricchito l’immaginario popolare con i celebri doni di oro, incenso e mirra, ma anche con dettagli tramandati nei secoli, come il numero dei Magi, mai citato esplicitamente nei Vangeli.
Tuttavia, in Sardegna, l’Epifania ha sempre avuto un ruolo marginale rispetto ad altre festività cristiane. Francesco Alziator, studioso delle tradizioni sarde, la descrive come una festa “non indigena”, che ha finito per sovrapporsi e soppiantare tradizioni locali. La figura della Befana, oggi ben radicata anche sull’isola, è rappresentata come una vecchietta che vola su una scopa e porta doni ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio. In Sardegna viene spesso chiamata “sa femmina eccia” o “sa baccucca eccia”, appellativi che evocano una figura anziana e misteriosa, estranea però alle tradizioni locali.
Un accostamento interessante è quello tra la Befana e Sa Filonzana, figura del folklore sardo con cui condivide l’aspetto di una donna anziana dal volto austero e spesso spaventoso. Tuttavia, mentre la Befana è associata al dono di dolci o carbone, Sa Filonzana ha un ruolo molto più simbolico e solenne: come le Moire greche o le Parche romane, tesse il filo della vita di ogni individuo, un filo fragile che il destino può spezzare in qualsiasi momento. Inoltre, Sa Filonzana è una maschera tipica del Carnevale sardo, particolarmente di Ottana, e rappresenta l’unica figura femminile in questo contesto.
Le tradizioni sarde legate all’Epifania non si fermano qui. Già nel Medioevo, come riportato nella “Carta de Logu” di Eleonora d’Arborea, il 6 gennaio era considerato un giorno speciale, chiamato “Sa Pasca de sa Epiphania” o “Pasca Nuntza”. Il termine “nuntza” fa riferimento all’annuncio dei Re Magi della nascita di Gesù. Durante questa giornata venivano annunciate in chiesa anche le date delle principali festività mobili, come la Pasqua.
Con l’influenza della cultura catalana, l’Epifania in Sardegna ha assunto alcune caratteristiche simili alla “fiesta de los tres Reyes Magos” celebrata in Spagna. La lingua sarda conserva tracce di questa tradizione nei nomi “Pasca de is tres Reis” o “Pasca de sos tres Rese”. In Catalogna, i Re Magi portano doni ai bambini e le celebrazioni culminano nella “Cabalgata de Reyes Magos”, una parata che ancora oggi richiama migliaia di persone. Anche a Cagliari, legata simbolicamente alla barca Santa Eulalia, patrona di Barcellona, si sente un eco di queste usanze.
Un elemento comune tra Sardegna e Spagna è il dolce dei Re Magi. Sull’isola si preparava una versione simile al “roscón de Reyes” spagnolo, in cui venivano nascosti tre legumi simbolici: una fava, un fagiolo e un cece. Chi trovava uno di questi legumi nella propria fetta era considerato fortunato e avrebbe avuto un raccolto prospero. La tradizione del dolce rituale sopravvive ancora in alcune aree, anche se con varianti locali.
Un’altra usanza diffusa in Sardegna era quella di andare di casa in casa per chiedere le strenne, un’usanza condivisa con la ricorrenza de “Is animeddas”. I bambini, riuniti in gruppi, cantavano “sos tres rese” davanti alle porte e ricevevano dolci, frutta secca o monete. Se una famiglia si rifiutava di offrire doni, i cantori potevano rispondere con un canto di malaugurio.
Tra le tradizioni più antiche si trovano i dolci rituali come “su kàpidu ‘e s’ànnu” o “sas Fikkas”, una focaccia bianca a forma di corona decorata con 12 piccoli soli, rappresentativi dei mesi dell’anno. Questo dolce veniva spezzato simbolicamente sulla testa del membro più giovane della famiglia durante il pranzo del 6 gennaio, un gesto che rappresentava il passaggio dal vecchio al nuovo anno. In alcuni paesi, come Nule, si preparava invece “sa pertusìta”, un’altra focaccia dolce decorata con motivi di pecore e altri animali, spesso donata ai pastori come augurio propiziatorio.
Queste tradizioni, seppur in parte scomparse, sopravvivono in alcune aree della Sardegna, come Ittireddu, Ozieri, Bonnanaro e Alghero. Sono testimonianze preziose di un patrimonio culturale ricco e variegato, che mescola influenze locali e importazioni esterne, mantenendo viva la memoria dell’isola.
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