Le principali novit� in materia di previdenza (e assistenza) della Legge di Bilancio per il 2025

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La manovra finanziaria interviene anche sul capitolo pensioni, senza in realt� operare grosse modifiche sul sistema: mentre i canali di uscita restano simili allo scorso anno, persistono le disparit� a carico dei “contributivi puri”, di certo non alleggerite dalle novit� relative al pensionamento a 64 anni

a cura del Prof. Alberto Brambilla

Anzitutto, va precisato che la Legge di Bilancio per il�2025, come le due precedenti manovre targate Meloni-Giorgetti,�prevede�una serie di costosi interventi di natura assistenziale ma non contiene sufficienti provvedimenti per favorire le politiche attive del lavoro,�lo sviluppo industriale o per migliorare la produttivit� (tallone d’Achille dell’Italia).�Il che dimostra una mancanza di visione del futuro del Paese.�Per dirla come il ministro della Economia,�� una legge finanziaria per “poveri Cristi”,�con una grande redistribuzione di risorse (circa 20 miliardi), di cui gran parte a debito (almeno 9-10, ma forse anche di pi� visto che il calcolo � stato fatto su un’ipotesi di crescita del PIL dell’1%; verosimilmente, in realt�, si arriver� allo 0,6%-0,7%).�

Confermati anche per il 2024, seppur con una rimodulazione delle principali detrazioni fiscali, il bonus ristrutturazioni, il sismabonus e l’ecobonus al 50% per i lavori sulle prime case, che scender� al 36% gli immobili non residenziali o diversi dalla prima abitazione; prorogato il bonus mobili con la detrazione IRPEF al 50% delle spese sostenute entro un limite massimo di spesa di 5 mila euro. Tutti provvedimenti comunque discutibili che rischiano oltretutto di favorire il ritorno al lavoro sommerso in edilizia, assai pericoloso per la tutela dei lavoratori (di fatto, il punto di convenienza per fare lavori in chiaro si situa al 50% con detrazione in 7-10 anni). Rifinanziata anche per il 2025 anche la carta “Dedicata a te”, viene poi introdotta anche la carta “Nuovi Nati”,�un nuovo bonus beb� che riconosce 1.000 euro�una tantum�ai genitori entro la soglia ISEE di 40mila euro per ogni nuovo nato,�senza concorrere alla formazione del reddito. Sempre tra le misure a sostegno delle famiglie da segnalare l’esclusione dell’AUUF dal calcolo dell’ISEE per nuovo bonus beb� e bonus asili nido, che raggiunge i 3.600 euro per i genitori bambini nati nel 2024 che abbiano un ISEE sotto i 40mila euro, e l’estensione a 3 mesi della possibilit� di congedo fino al sesto anno di vita del bambino all’80% della retribuzione. Oggi ci si lamenta delle poche nascite ma in questi ultimi 25 anni l’Italia � rimasta al palo come numero di asili nido, molte scuole non prevedono il tempo pieno e siamo tra i pochi Paesi ad avere una cos� lunga chiusura estiva: se si vuole favorire la natalit� occorre risolvere innanzitutto questi tre punti, altro che bonus!

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In assenza di particolari interventi per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro o di incentivi per le scuole professionali nonostante la forte richiesta delle imprese e la scarsa disponibilit� di professionalit� adeguate,�l’unico provvedimento per incrementare l’occupazione senza mettere a rischio i conti dell’INPS � la conferma del “superammortamento del costo del lavoro”�introdotto dal Dlgs n. 216/2023 attuativo della riforma fiscale, che prevede una deduzione IRPEF e IRES del costo del personale di nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato pari al 120%, che pu� arrivare al 130% per i rapporti di lavoro attivati con persone in condizioni di svantaggio (tra cui giovani, donne vittime di violenza, persone con disabilit�).�Per quanto riguarda i�fringe benefit, invece, la legge proroga per il triennio 2025-2027 la soglia di esenzione fiscale fissata a 1.000 euro per i lavoratori senza figli e a 2.000 per quelli con figli. Confermata poi fino a 2027 la tassazione agevolata al 5% (era al 10%) per i redditi fino a 80mila euro dei premi di risultato (o partecipazione agli utili di impresa) fino a 3mila euro, mentre sul versante welfare aziendale, per i nuovi assunti a tempo indeterminato con reddito fino a 35.000 euro nell’anno precedente, che�accettano di trasferire la residenza di oltre 100 chilometri, le somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento dei�canoni di locazione�e delle�spese di manutenzione�non concorrono a formare il reddito ai fini fiscali entro il limite complessivo di�5mila euro�annui per i primi due anni dalla data di assunzione.

Per quanto riguarda la previdenza in senso stretto, la situazione per il 2025 permane simile a quella dello scorso anno.�In materia pensionistica, la Legge di Bilancio si limita infatti a prorogare le misure in scadenza al 31 dicembre 2024 (Quota 103, APE sociale e Opzione Donna),�modificando invece per i soli contributi puri i requisiti necessari per il cosiddetto pensionamento anticipato contributivo.

I requisiti per il pensionamento nel 2025: le soluzioni di anticipo confermate

Nel 2025 si potr� continuare�ad accedere�alla pensione di vecchiaia con 67 anni di et� e almeno 20 di contribuzione�(i promotori di Quota 100 la chiamerebbero Quota 87).�L’et� anagrafica, che � adeguata all’aspettativa di vita, rester� infatti fissa per tutte le pensioni anticipate e di vecchiaia, cos� come per assegno sociale e misure speciali, per il biennio 2025-2026, cos� come previsto da apposito decreto del Ministero dell’Economia sulla base delle stime Istat. Nel 2027, invece, probabile un aumento a 67 anni e 2 o 3 mesi.�La pensione di vecchiaia anticipata resta possibile con 42 anni e 10 mesi di anzianit� contributiva�(41 anni e 10 mesi per le donne), indipendentemente dall’et� anagrafica e senza ulteriori adeguamenti all’aspettativa di vita,�congelati dalla legge 4/2019 fino al 2026.��Un adeguamento che non trova applicazione nella normativa pensionistica della stragrande maggioranza dei Paesi UE e OCSE e che andrebbe in verit� eliminato definitivamente per evitare pesanti distorsioni di sistema, come quella che vorrebbe l’accesso con soli 20 anni di contributi versati alla pensione di vecchiaia, che generalmente beneficia anche di soldi pubblici (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, etc), e la richiesta di requisito pi� che doppio per quanti volessero far valere la sola contribuzione effettivamente corrisposta all’ente pensionistico.�Attenzione per�, perch� per accedere a questa prestazione, � prevista una finestra di 3 mesi,�il che significa che la prima rata di pensione verr� corrisposta trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti: occorrer� quindi fare la domanda e chiedere al datore di lavoro di poter lavorare ancora un trimestre per evitare di restare senza stipendio o senza pensione.�

Tra conferme e novit� quasi del tutto assenti, tra le altre anticipazioni possibili si ricordano in particolare:

1)�Quota 103,�introdotta in sostituzione di Quota 102 del Governo Draghi a decorrere dall’1 gennaio 2023 e che consente di andare in pensione anticipata con 62 anni di et� e 41 di contributi, di cui almeno 35 ottenuti senza considerare contribuzione figurativa per malattia, disoccupazione o infortuni. Ne vengono confermati i requisiti,�da maturare entro il 31 dicembre 2025, cos� come risultano confermate le modifiche al provvedimento introdotte allo scorso anno. A cominciare dal fatto che l’intera pensione�sar� calcolata con il�metodo di calcolo contributivo�(e non misto), anche per la parte di anzianit� accumulata in regime retributivo. Inoltre,�la misura dell’assegno non potr� risultare superiore a 4 volte il trattamento minimo INPS�(circa 2.400 euro lordi al mese)�fino al compimento dei 67 anni di et�.�In aggiunta, viene anche qui prevista una cosiddetta finestra mobile,�vale a dire un periodo intercorrente�tra la maturazione dei requisiti e la fruizione della prima rata di pensione, che viene confermata a 7 mesi per i dipendenti del settore privato e a 9 per i dipendenti pubblici (nella norma del 2023 erano rispettivamente di 3 e 6 mesi). Da evidenziare poi che per chi opta per Quota 103 (come per Quota 100 e 102)��� vigente il divieto di lavorare e quindi�l’impossibilit� di cumulare redditi da lavoro con quelli da pensione fino al raggiungimento dei 67 anni di et�.�Considerate queste limitazioni, potendo,�sarebbe quindi forse pi� conveniente optare per l’uscita con 42 anni e 10 mesi�(uno in meno per le donne).�

2) Opzione Donna�che,�introdotta sperimentalmente dall’art. 1, comma 9, della L. 243/2004 prevedendo la possibilit� di pensionamento anticipato per le lavoratrici con 35 anni di contributi e 57 anni di et� (58 per le autonome), era in verit� gi� stata resa pi� restrittiva dalla manovra finanziaria di due anni fa. Come per 2023 e 2024, anche nel nuovo anno potranno accedervi le lavoratrici: a) licenziate o dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero;�b)�con disabilit� pari o oltre il 74% con accertamento dello stato di invalido civile;�c)�che assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilit� grave in base alla legge 104 del 1992, di primo o secondo grado di parentela solo in quest’ultimo caso per ultra 70enni. Rispetto al 2023, viene per� alzato il requisito anagrafico, confermato a 61 anni d’et� anche per il 2025, sempre a fronte di 35 anni di contribuzione e con riduzione di 1 anno per ogni figlio nel limite massimo di due. Confermati poi il calcolo della pensione con metodo interamente contributivo e le finestre mobili di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome. Va anche in questo caso precisato, ma questo vale in linea di massima anche per le altre anticipazioni, che per il principio della “cristallizzazione del diritto a pensione” si pu� accedere alla prestazione anche nei periodi successivi alla maturazione del diritto (requisiti + finestre), quindi anche negli anni successivi. La pensione maturata con Opzione Donna � pienamente cumulabile con altri redditi da lavoro al pari di qualsiasi altra pensione.

3) Prorogata fino al 31 dicembre 2025 anche APE sociale�che pi� che una pensione in senso stretto andrebbe considerata un’indennit� a carico dello Stato erogata dall’INPS. Confermato a 63 anni e 5 mesi il requisito anagrafico (erano 63 nel 2023), possono fare richiesta: i lavoratori disoccupati (con 30 anni di contribuzione) a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale o dipendenti di aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero e che hanno esaurito i periodi di disoccupazione, tipo NASpI; le persone con 30 anni di contribuzione,�con disabilit� pari o oltre il 74% e riconosciuti invalidi civili;�c) i lavoratori�caregiver�che, a fronte di 30 anni di versamenti contributivi,��assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilit� grave in base alla legge 104 del 1992, siano di primo o secondo grado di parentela (solo per over 70); i lavoratori dipendenti che svolgono mansioni cosiddette “gravose”, con almeno 36 anni di contribuzione e che al momento della domanda di accesso all’APE sociale, abbiano svolto una o pi� delle professioni riconosciute come gravose per legge. Per il 2024 e il 2025 � poi inserita, in precedenza assente, la previsione di incumulabilit� totale della prestazione con i redditi di lavoro dipendente o autonomo,�con la sola eccezione del lavoro occasionale entro un massimo di 5mila euro annui. L’assegno � invece sempre calcolato col sistema misto ma con limitazioni riguardanti l’importo (per un massimo di 1.500 euro lordi mensili) e l’assenza di tredicesima e adeguamenti all’inflazione fino al raggiungimento, a 67 anni di et� anagrafica, della pensione di vecchiaia.�

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I requisiti per il pensionamento nel 2025: le novit� per i “contributivi puri”�

Per i lavoratori interamente contributivi, cio� coloro che hanno iniziato a lavorare dall’1 gennaio 1996 in poi,�cambiano poi ulteriormente i requisiti per il pensionamento rispetto a quelli originariamente previsti dalla riforma Monti-Fornero.�In realt�,�poich� il nostro sistema pensionistico � a ripartizione�(vale a dire che con i contributi dei lavoratori attivi si pagano le prestazioni di quanti sono effettivamente in pensione) la legge Fornero aveva, sotto il profilo tecnico, erroneamente suddiviso i lavoratori in due gruppi:��da un parte, i retributivi e i misti che godono di requisiti pi� favorevoli per il pensionamento e beneficiano di integrazione al minimo o maggiorazione sociale nel caso in 67 anni di vita non abbiano maturato il minimo pensionistico (per raggiungerlo basterebbero solo 15 anni di normale contribuzione ma oggi quasi il 25% dei pensionati beneficia di questi trattamenti, il che induce a pensare a una larga dimensione del lavoro irregolare); dall’altra,��i contributivi puri che non hanno n� integrazione al minimo n� maggiorazioni sociali e per i quali la riforma Monti-Fornero prevedeva la pensione di vecchiata a 67 anni, con 20 di contribuzione, solo a fronte di un importo pensionistico pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Diversamente, occorrer� attendere il raggiungimento dell’importo oppure i 71 anni di et�, comunque adeguati nel tempo all’aspettativa di vita.�Previsto poi anche un canale di accesso anticipato ma molto selettivo,�con 64 anni di et� anagrafica, 20 di versamenti e un importo maturato pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale (circa 1.350 euro al mese).�

Visti i proclami di alcune forze politiche in materia di pensioni e considerando che una simile divisione delle platee non sembra appunto compatibile con le dinamiche di un sistema a ripartizione, si pensava che finalmente si estendessero i requisiti e i benefici dei retributivi/misti anche ai contributivi. Invece, incomprensibilmente visto che i primi pensionati interamente contributivi arriveranno solo tra il 2030/32,�la Legge di Bilancio dello scorso anno � intervenuta in senso ancora pi� restrittivo sull’accesso alla cosiddetta pensione anticipata contributiva.�Dal 2024 � infatti possibile ottenerla�solo se l’importo dell’assegno�maturato sar� pari almeno a 3 volte il valore dell’assegno sociale�(circa 1.550 euro al mese, tranne nei casi di lavoratrici madri, che vedranno scendere il tetto a 2,8 volte la pensione sociale con un figlio e 2,6 volte in presenza di pi� figli. Con il 2025 vengono per� introdotte ulteriori novit�,�che di fatto non spostano gli equilibri di una misura accessibile solo a una platea estremamente limitata:�mentre il valore dell’importo pensionistico potr� tenere conto anche di eventuali rendite complementari nel caso di adesione alla previdenza integrativa,�il requisito contributivo previsto sale a 25 anni di contribuzione.�

Con il paradosso che, in un modo per la verit� piuttosto schizofrenico,�per quanto riguarda l’accesso alla pensione di vecchiaia, �la manovra dello scorso anno interveniva invece favorevolmente sul limite di�1,5 volte l’assegno sociale fissato per l’accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni�con almeno 20 anni di contributi (diversamente, occorrer� lavorare fino a 71 anni d’et� e �accedere alla pensione di vecchiaia con almeno 5 anni di contributi a prescindere dell’importo della pensione), che comunque non potr� beneficiare di alcuna integrazione al trattamento minimo. Il che significa che per i contributivi sar� al 2025 possibile accedere alla presentazione con 67 anni di et� e 20 di contribuzione, a condizione di aver maturato una pensione di importo pari a un’unica volta l’assegno sociale: anche in questo caso sar� possibile far valere la previdenza complementare ai fini del raggiungimento dell’importo soglia.�

Rideterminazione dell’indicizzazione delle pensioni per il 2025

Nel 2025, in base alla Legge di Bilancio,�le pensioni minime godranno di una perequazione aggiuntiva al tasso di rivalutazione standard del 2,2%�(+1,3% nel 2026); pertanto, la pensione minima sar� di 616,67 euro rispetto ai 614,77 attuali perch� la base di calcolo non tiene pi� conto del 2,7% aggiuntivo previsto per il solo 2024.

Negli ultimi due anni, per finanziare l’aumento delle pensioni basse la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici all’inflazione, si � sostanzialmente derogato rispetto a quanto previsto dalla legge base del 1998 (articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448) che prevedeva una rivalutazione, per scaglioni, al 100% per i trattamenti fino a 4 volte il valore del trattamento minimo INPS; del 90% da 4 a 5 volte il minimo e del 75% per gli importi oltre 5 volte il minimo (ad esempio, una pensione pari a 8 volte il minimo veniva rivalutata al 100% fino a 4 volte poi al 90% tra 4 e 5 volte e per il resto al 75%). Invece, la norma scritta dal ministro Giorgetti, copiando il metodo Conte, ha previsto che la rivalutazione si applicasse con percentuali di rivalutazione pi� basse sull’intero importo (ad esempio, pensioni pari a 8 volte il minimo sono state rivaluta interamente al 37% dell’inflazione, con enormi danni economici per i pensionati con assegni medio-alti che, non avendo altro mezzo contrattuale, hanno dovuto subire interamente la perdita).�

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Fissato da Istat il valore della percentuale di variazione (0,8%),per il 2025 si prevede il ritorno alle tre fasce:�per le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS la rivalutazione � al 100%;�per le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo l’aumento sar� del 90% (dello 0,8% cio� lo 0,72%), per le pensioni oltre 5 volte il minimo l’aumento sar� del 75%. La rivalutazione dei trattamenti pensionistici non sar� riconosciuta ai pensionati residenti all’estero se i loro assegni superano il trattamento minimo INPS.

Gli incentivi per restare al lavoro e il caso del pubblico impiego

Incentivi per i lavoratori, sia pubblici che privati, che decidono di rimanere in attivit� anche dopo aver raggiunto l’et� pensionabile: per tentare di mantenere al lavoro figure professionali esperte, contrastando la carenza di personale qualificato in vari settori,​�resta confermata la possibilit� – per il lavoratore dipendente che dopo aver maturato i requisiti per accedere a una delle forme pensionistiche anticipate, includendo anche la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi (uno in meno per le donne) – di continuare a lavorare chiedendo che la contribuzione a suo carico (pari al 9,19%) sia inserita in busta paga, mentre la quota a carico del datore di lavoro continuer� a essere versata all’INPS. Ovviamente, la parte di contributi incassata in busta paga non contribuir� a incrementare il valore del trattamento pensionistico e non sar� tassata.

Nel caso del pubblico impiego,�la Legge di Bilancio si propone poi di incentivare la permanenza sul posto di lavoro anche per chi possiede i requisiti per il pensionamento attraverso l’innalzamento dei limiti ordinamentali che vengono agganciati all’et� pensionabile, cio� 67 anni. Viene poi abrogato l’obbligo di collocamento in pensione d’ufficio previsto dall’articolo 2, co. 5 del dl n. 101/2013 (che impone alle pubbliche amministrazioni la risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che abbiano raggiunto il diritto a pensione anticipata, cos� come pure la facolt�, prevista dall’articolo 72, co. 11 del dl n. 112/2008, della risoluzione facoltativa del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che abbiano raggiunto il medesimo diritto a. Infine, viene previsto che le PA possano trattenere in servizio, previa disponibilit� dell’interessato, nei limiti del 10% delle assunzioni autorizzate a legislazione vigente, il personale �anche per lo svolgimento di attivit� di tutoraggio e di affiancamento ai neoassunti e per esigenze funzionali non diversamente assolvibili�. Il trattenimento � consentito non oltre il compimento del 70esimo anno di et�.�

Decontribuzioni e “taglio al cuneo contributivo”�

Sembrava destinata a saltare, e invece viene estesa fino al 2029 bench� in misura ridotta e con un ulteriore progressivo ridimensionamento,�la decontribuzione al Sud,�di fatto ritenuta dall’Europa, gi� nel lontano 1994 ( il primo governo Berlusconi), una forma di aiuto di Stato.�Evidentemente, la nostra classe politica conosce poco la storia italiana e pensa di favorire cos� l’occupazione del Mezzogiorno, quando invece si era dimostrata un flop gi� negli anni Novanta: viene da chiedersi come possa funzionare un’agevolazione solo parziale l� dove non lo aveva gatto neppure una decontribuzione totale. Da ricordare poi, secondo quanto gi� previsto dal cosiddetto “decreto Coesione”, la decontribuzione per l’assunzione di donne in particolari condizioni svantaggiate, che consente ai datori di lavoro� che dall’1 settembre 2024 al 31 dicembre 2025 assumono a tempo indeterminato�lavoratrici di qualsiasi et�prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi e ovunque residenti, o prive di impiego regolarmente retribuito dal almeno 6 mesi se residenti nelle regioni della Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno, per�un periodo�massimo di 24 mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali a proprio carico, con esclusione dei contributi dovuti all’INAIL,�nel limite massimo�di importo�pari a 650 euro mensili per�ciascuna�lavoratrice. E, ancora, la decontribuzione bonus ZES (Zona Economica Speciale unica del Mezzogiorno) per le aziende fino a 10 dipendenti a tempo indeterminato, con esonero totale dal versamento della contribuzione previdenziale per 2 anni, nel limite massimo do 650 euro mensili per i neoassunti con pi� di 35 anni e privi di un impiego retribuito da almeno 2 anni.�

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Confermato ed esteso alle lavoratrici a tempo determinato e a quelle autonome, anche con reddito d’impresa che non optano per il regime forfettario,�il bonus mamme lavoratrici, sgravio contributivo�che dal 2025 spetta alle madri di due o pi� figli, fino al compimento del decimo anno d’et� del figlio pi� piccolo.�Dal 2027 l’esonero, che spetta fino al compimento del 18esimo anno d’et� del figlio pi� piccolo, sar� invece riservato alle lavoratrici con tre o pi� figli. La decontribuzione � tuttavia riconosciuta soltanto a condizione che la retribuzione o il reddito imponibile ai fini previdenziali non sia superiore a 40mila euro annui.

La manovra finanziaria rende infine strutturale il taglio del cuneo fiscale-contributivo e lo estende, con una nuova formula, ai redditi sino a 40mila euro l’anno. La precedente misura, consistente in un taglio delle aliquote contributive per redditi fino a 35mila euro, ha infatti scontato un effetto parzialmente negativo in quanto l’aumento dell’imponibile conseguente agli aumenti in busta paga ha comportato un leggero aumento delle tasse da pagare, con un effetto scalone per i redditi vicini alla soglia dei 35mila.��Per evitare tale effetto si � quindi decisa non solo la messa a regime del provvedimento�ma anche una nuova formula per l’applicazione:�con la nuova Legge di Bilancio il taglio del cuneo resta contributivo per i redditi fino a 20mila euro, mentre per i redditi tra 20mila e 40mila euro diventa fiscale, con una detrazione fissa di 1.000 euro fino a 32mila euro, detrazione che diminuisce progressivamente fino ad azzerarsi�(d�calage)�tra i 32mila e i 40mila euro. Il tutto mentre viene confermata e resa strutturale�anche la revisione dellealiquote IRPEF a tre scaglioni, gi� introdotta per il 2024, che prevede l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito con l’applicazione dell’aliquota al 23% sugli imponibili fino a 28mila euro lordi (anzich� fino a 15mila euro)�e si introduce�invece un limite massimo alle detrazioni fiscali per i�contribuenti con redditi superiori ai 75mila euro,�al netto delle spese sanitarie e quelle relative ai mutui contratti fino al 31 dicembre 2024 e garantendo per� maggiori agevolazioni alle famiglie con pi� di due figli a carico e alle famiglie con figli disabili.�

A cura del Prof. Alberto Brambilla e del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

�2/1/2025�

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