La guerra civile dentro la BBC per come raccontare Gaza

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Ben oltre 120,00 palestinesi, un’infinità di futuri cancellati da una guerra che Israele combatte a Gaza. Dietro le facciate asettiche dei notiziari, però, si nasconde una verità manipolata. Un’inchiesta di Drop Site News svela come Raffi Berg, il direttore della BBC, stia orchestrando una vera e propria censura sui fatti, manipolando la narrazione per nascondere la portata della tragedia e proteggere gli interessi di Israele.

Non si tratta di opinioni diverse o di punti di vista opposti. Qui si parla di un sistema che fabbrica il consenso, che modella la realtà a piacimento. Un ex giornalista della BBC lo ha ammesso senza mezzi termini: “L’intero lavoro di questo tizio è quello di annacquare tutto ciò che è troppo critico nei confronti di Israele”. Un arsenale mediatico che zittisce le opinioni critiche e costruisce un oceano di menzogne attorno al conflitto.

Quella che dovrebbe essere l’informazione imparziale di una delle più grandi emittenti mondiali si rivela, secondo quanto raccontano 13 fonti tra giornalisti attuali ed ex, un’arena dove la vita dei palestinesi viene svalutata, le atrocità israeliane ignorate, e ogni tentativo di contestualizzare la realtà viene puntualmente annientato. Chi osa sfidare la narrazione ufficiale sull’occupazione israeliana viene etichettato come sovversivo. Ogni voce fuori dal coro viene messa a tacere, ogni verità scomoda viene sepolta sotto tonnellate di propaganda. Così, in questo clima di censura, ogni critica diventa un atto di coraggio.

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Un altro giornalista della BBC, disilluso dal sistema informativo che lo circonda, racconta come tutte le vicende che riguardano Israele o Gaza debbano passare attraverso il filtro di Berg. “Se vuoi fare qualcosa su Israele o Palestina”, dice, “devi passare attraverso Raffi e ottenere la sua approvazione”. Un muro invisibile che separa la verità dalla narrazione ufficiale. Un muro costruito sulla paura, un muro che impedisce di oltrepassare i confini del consentito. Un’atmosfera di autocensura che inquina il dibattito pubblico.

Prendiamo ad esempio un episodio lampante come la gestione delle accuse di genocidio lanciate da Amnesty International. Mentre il rapporto accusa Israele di crimini contro l’umanità, la BBC, sotto la direzione di Berg, non esita a minimizzare la gravità delle accuse. Il titolo scelto dalla BBC, “Israele respinge le accuse ‘inventate’ di genocidio“, è un chiaro esempio di come la realtà venga distorta in favore di una narrazione di parte. E, come se non bastasse, la storia verrà messa in quarantena per dodici ore, come un paziente infetto da verità. Un ritardo voluto che è un omicidio a sangue freddo della notizia, una condanna a morte per soffocamento per chi osa denunciare.

A colpire non è solo la censura, ma la costante minimizzazione del dolore palestinese. La BBC, nelle sue cronache, evita di usare termini come “massacro” o “atrocità” quando parla delle azioni israeliane, riservando tali parole solo a Hamas. I titoli delle notizie vengono edulcorati, trasformando una tragedia in un numero, il dolore in una gelida circostanza. Un articolo che descrive l’uccisione di una famiglia palestinese da parte di un attacco missilistico israeliano si limita a scrivere: “Israele/Gaza: un padre perde 11 familiari in una sola esplosione”. Non una parola che faccia riferimento alla responsabilità di chi ha lanciato i missili, non una riflessione sulla natura del bombardamento, solo la cronaca di una perdita personale, slegata dalla sua dimensione collettiva e politica.

Eppure, questo è solo l’inizio di una lunga serie di distorsioni. La BBC, infatti, adotta un linguaggio che nasconde i crimini di guerra dietro eufemismi scelti ad hoc. Le “evacuazioni” dei palestinesi, ad esempio, non sono altro che operazioni di pulizia etnica. Ancora più significativo è il fatto che la promessa di Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, di imporre un “assedio totale” a Gaza, accompagnata dalla terribile definizione dei palestinesi come “animali umani”, sia comparsa solo una volta, tra le righe di un contenuto online della BBC. Una dichiarazione tanto disumana, proveniente da un paese che si definisce democratico, è stata rapidamente sepolta nell’oblio dei media, come se fosse un dettaglio irrilevante.

Stando all’inchiesta, Berg non è un semplice direttore, è uno scultore della verità. Con il suo scalpello editoriale, intaglia la realtà a sua immagine e somiglianza, eliminando ogni traccia di sofferenza palestinese, riducendo una tragedia umana a freddi numeri. I giornalisti, i testimoni della storia, sono stati costretti al silenzio. Le loro testimonianze sono state cancellate, le loro inchieste archiviate. “Molti di noi hanno espresso la preoccupazione che Raffi abbia il potere di riformulare ogni storia”, concludono, consapevoli della gravità di una manipolazione che va ben oltre la singola vicenda.

Di fronte a una realtà così manipolata, una domanda ci assilla: come possiamo continuare a credere alle favole che ci vengono raccontate? Quando la verità viene nascosta dietro un velo di menzogne, quando la storia viene riscritta per giustificare l’ingiustizia, la risposta è amara: non possiamo avere fiducia.

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