“Custodiamo il sogno di un mondo rinnovato dalla speranza…”

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Siamo di nuovo insieme, ancora commossi e stupiti per lo storico evento di domenica scorsa, 29 dicembre, con cui abbiamo dato inizio all’Anno santo nella nostra diocesi, all’insegna della Speranza cristiana, come ha suggerito papa Francesco.

A questa celebrazione ha partecipato uno straordinario numero di persone, al di là di ogni previsione, come del resto è successo anche in altre diocesi italiane.  È un segnale positivo questo, che ci fa riflettere, perché testimonia come le persone, proprio dentro una situazione drammatica quale quella che stiamo vivendo a livello globale, sentano vivo il desiderio di preghiera, desiderano ardentemente la pace, invocano una vera fratellanza, mentre si lasciano coinvolgere in proposte che generano speranza, rassicurano e danno gioia, e  insieme sono stimolati ad una azione personale e comunitaria di carità, che è poi espressione e  la misura della nostra fede.

Come ogni anno, vorremmo questa sera tentare un bilancio dell’anno trascorso.

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Umanamene parlando, ci sentiamo sopraffatti dalle tensioni internazionali che tengono il mondo sospeso, tutti preoccupati e impauriti per un clima di guerra che si espande sempre di più e che genera tanto dolore, insieme a molta inquietudine.

Insistente è la voce di papa Francesco che continuamente ripete: “Ogni guerra è sempre un fallimento della politica e della umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male” (Fratelli tutti 261). Mentre la voce dell’Europa risulta ancora troppo fioca, la domanda di pace non smette di crescere in tutta la società italiana, contro l’intollerabile sospetto che i conflitti sono dinamiche ineluttabili, legate alla natura dell’uomo.

Nel pensare un bilancio, noi non possiamo tuttavia dimenticare quello che ci siamo detti nella celebrazione di apertura sul tema della speranza cristiana, per cui, senza confondere la speranza con l’illusione di un ingenuo ottimismo, non possiamo lasciarci abbattere né dagli ostacoli, né dalla paura del futuro.

La speranza cristiana impegna: essa è innanzitutto un dono assicurato dall’alto, viene da Dio, non può spegnersi, ma anche è frutto di una nostra perseverante decisione nel resistere con tutte le forze al male presente, coinvolgendoci tutti personalmente, nei nostri semplici contesti di vita, in azioni concrete, umili ma perseveranti, di gesti di pace, di accoglienza, di solidarietà, più forti di ogni male.

Non possiamo permettere che la cultura della guerra, dell’odio, della violenza si diffonda, favorita dal vuoto di pensieri, idee, cultura. Sono questi i segni dei tempi dentro i quali la fede interpella la vita e la determina.

Siamo anche noi come i pastori di Betlemme, che dopo aver accolto l’invito degli angeli, sostando con stupore davanti al bambino Gesù, hanno poi riferito tutto quello che hanno visto e che del bambino era stato detto loro.

Anche noi abbiamo sperimentato inedite esperienze di fede proprio attraverso l’apertura del Giubileo, così da poter invocare nella preghiera la pace, la fine delle violenze, mentre ci sentiamo di chiedere ai governanti di sentirsi responsabili delle tragiche conseguenze della guerra e delle ferite profonde che essa comporta. La speranza cristiana ci obbliga ad affrontare il tempo presente senza mai rinunciare alla certezza che il bene è più forte del male e che le tempeste della vita non potranno mai avere la meglio.

Come cristiani siamo dunque “prigionieri della speranza” (Zac 9,12): essa ci obbliga a cercare tutte le opportunità per perseverare nel bene possibile, dentro le nostre relazioni personali, ci spinge con forza e decisione a promuovere sempre nuove vie di dialogo, per scelte personali e comunitarie di solidarietà, per la promozione della fraternità, che non tiene conto del male ricevuto. Esso, pur essendo presente ancora tra noi, viene oltremodo oltrepassato e vinto.

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Rileggendo poi il cammino della nostra  Chiesa di Como in questo tempo, occorre riconoscere che essa, in costante sinergia con organizzazioni civili e laiche, non si è lasciata condizionare dal torpore della indifferenza, non ha chiuso le porte alle diverse necessità di tanti fratelli e sorelle, non è stata priva di impegno a servizio della dignità delle persone, della difesa dei diritti umani, nella ricerca di strategie di accoglienza dei profughi, della vicinanza ai poveri, ai bisognosi, alle famiglie in difficoltà e ai senza tetto. Basta anche solo citare l’accoglienza della proposta del “progetto Betlemme”, che ha interessato 13 nostre parrocchie, coinvolgendo molti volontari locali o all’impegno del Fondo di solidarietà famiglia-lavoro.

Mi pare di poter affermare con assoluta sincerità che la nostra Chiesa si impegna a guardare con misericordia l’umanità, ricentrando tuttavia continuamente lo sguardo su quello di Dio, per essere un’immagine viva della sua sollecitudine nei confronti dei suoi figli. È una Chiesa che anche quest’anno si è impegnata ad imitare la carità di Cristo, prolungandola nel tempo e nello spazio, così che il nostro impegno operativo va ben oltre una semplice filantropia, (la Chiesa non è una onlus!), ma ha cercato di uniformarsi allo stile amorevole, disinteressato e benevolo di Cristo Gesù.

Un tempo la trasmissione del Vangelo avveniva dentro un tessuto di società cristiana. Oggi non è più così. Le persone per essere impegnate in attività caritative hanno bisogno di essere plasmate dalla Parola di Dio, per maturare in loro una fede adulta, capace di portare la croce e far sì che con la loro presenza il mondo non resti fuori dalla porta delle nostre chiese. Purtroppo, registriamo che la maggior parte di quanti sono impegnati in attività di volontariato sono contraddistinti da un’età media piuttosto avanzata.

Se posso esprimere un auspicio: Aiutiamoci per il prossimo anno a custodire il sogno di un mondo rinnovato dalla speranza e che la nostra Chiesa sia capace di essere, anche in futuro, segno profetico della carità di Cristo per il bene dei nostri territori.

Oscar card. Cantoni

Vescovo di Como

 

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