poche proteste e molte perplessità

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I tagli al finanziamento ordinario dell’università non generano più le proteste di una volta. Le attuali tendenze descrivono una realtà schizofrenica: tanti fondi a pochissimi progetti, più figure precarie e una burocrazia fuori controllo

La finanziaria di quest’anno prevede tagli consistenti all’università. Come misura di emergenza, molti atenei bloccheranno le nuove assunzioni per anni e prosciugheranno i contratti di docenza temporanea. Tutto questo è già stato visto e sperimentato nel periodo Moratti-Gelmini: una cura dimagrante brutale che ha ridotto ancora di più l’organico di una realtà già rachitica rispetto alle università di altri paesi europei. Ma, a differenza dei tagli dell’epoca berlusconiana, l’università di oggi fa fatica a reagire. Alcune proteste locali non hanno avuto l’eco e l’impatto di quelle passate. Decenni di populismo contro i “professoroni” hanno smantellato la fiducia sociale, il cui riflesso è oggi visibile in un corpo docente e studentesco inerme di fronte a una serie di involuzioni che in passato avrebbero fatto ribaltare il tavolo. Senza rimpiangere il passato, bisogna capire la piega inquietante che ha preso l’università analizzando le tendenze in tre aree determinanti: i progetti, la riforma del precariato e la burocratizzazione.

I progetti

Il governo ribatte alle voci critiche sostenendo che negli ultimi anni l’università ha ricevuto molti soldi. Questo è in parte vero ma va contestualizzato. Negli anni scorsi c’è stata una discreta ripresa di assunzioni di ruolo che hanno tuttavia coperto solo in parte i tagli del periodo Moratti-Gelmini. Invece il grosso dei finanziamenti è arrivato tramite progetti legati al Pnrr. Benché i progetti sembrino rispondere a un principio legittimo di accountability – ti finanzio solo se ti impegni a fare una serie di cose – la tendenza a condizionare ogni finanziamento – la progettizzazione dell’università – implica l’incertezza di flussi ordinari e una gran perdita di tempo per ottenere fondi per far funzionare quotidianamente la ricerca. In aggiunta, il ministero ha puntato molto su una versione italiana (i FIS) degli ERC europei. In nome della priorità all’eccellenza si è deciso di finanziare moltissimo pochissimi progetti. Ma questa svolta impressa dai FIS genera una piramidalità senza base. L’idea di finanziare molto bene i (pochissimi) migliori può avere un senso solo in un contesto in cui ci sono altre forme di finanziamento più ordinario e più accessibile. La ricerca è, infatti, un’operazione di collaborazione collettiva in cui le vere o presunte eccellenze sono tali solo se esiste una base significativa di lavori di buona qualità che fanno test, elaborano dati, fanno avanzare il dibattito, controllano i risultati etc. Pensare di avere una ricerca eccellente solo finanziando gli eccellenti è un paradosso logico e pratico: sarebbe come avere solo la Champions League senza la serie A, B e C.

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La riforma

Assieme al finanziamento si deve considerare la riforma, promossa dalla ministra Bernini, che riguarda le figure precarie prima dell’eventuale stabilizzazione in figure a tempo indeterminato (professore ordinario e associato). La riforma prevede una moltiplicazione delle forme precarie senza significativi limiti, introdotti da norme precedenti e in particolare dalla riforma del 2022 targata governo Draghi. Sebbene quest’ultima poneva alcuni problemi, con l’attuale riforma si potranno probabilmente allungare ulteriormente i tempi del precariato.

La burocrazia

Il paradosso finale di tutte queste tendenze è che il disegno complessivo è incoerente. Si potrebbe pensare a un’operazione che cerca di creare una realtà competitiva in cui sopravvivono solo i migliori. Operazione brutale e probabilmente destinata al fallimento ma rispondente a una certa logica. Invece, la quotidianità è oberata da una marea crescente di adempimenti gestionali: sempre più verbali da produrre, autovalutazioni da scrivere, analisi di indicatori, riunioni e comitati da convocare. Tutto questo apparato gestionale vorrebbe rendere il funzionamento dell’università più efficiente ma finisce per generare una farsa: mentre il ministero dice di voler usare l’onnipresente produzione di documenti per valutare e premiare i migliori, di fatto quasi tutti perdono fondi e il meccanismo finisce per alimentare solo sé stesso. Un’università che in teoria dovrebbe essere autonoma e responsabile è di fatto costretta ad adeguarsi a linee guida eterodirette che sono inutili dal punto di vista gestionale e non servono nemmeno a garantirsi un buon finanziamento.

Quindi, se i tagli saranno confermati, avremo un’offerta didattica impoverita, tenuta, in futuro, da figure più precarie delle attuali, in un contesto in cui tutti devono perdere moltissimo tempo a produrre documenti che servono a misurare la performance del sistema. Una misura che poi non è nemmeno usata per premiare i virtuosi ma solo per tenere al guinzaglio tutti.

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