Dalle diffidenze all’emulazione, Niko e Cristiana Romito: “Stupefacente il successo di tanti nostri allievi” – Virtù Quotidiane

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Personaggi 30 Dic 2024 14:53

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CASTEL DI SANGRO – La diffidenza iniziale di tanti abruzzesi nei confronti di un progetto ambizioso che sembrava alieno alla realtà di provincia, il relax domestico e lo sport nel – pochissimo – tempo libero, gli obiettivi raggiunti e la sostenibilità economica di un ristorante stellato. In un’intervista a tutto tondo, una delle rarissime in coppia, Niko e Cristiana Romito hanno raccontato molto di loro, di Casadonna, della cucina italiana, della sala, della formazione e della sua importanza.

A Virtù Quotidiane, lo chef e la sorella, general manager e maitre del Ristorante Reale, partendo da quando nel 2000 ereditarono la trattoria di famiglia a Rivisondoli, passando per la prima stella conquistata nel 2007 e la seconda nel 2009, fino alla consacrazione delle tre stelle Michelin nel 2014, hanno ripercorso venticinque anni di sfide vinte.

Con uno sguardo al 2026, quando aprirà i battenti il Campus universitario di ricerca e alta formazione gastronomica che sta sorgendo alle porte di Castel di Sangro (L’Aquila) riconvertendo un vecchio opificio, e alcune anticipazioni su quello che intendono realizzare in quel contesto.

Lo chef inizia col dire che “per Casadonna è stato un anno molto interessante, il lavoro che stiamo facendo e la ricerca che stiamo portando avanti ci stanno dando grandi soddisfazioni e sta crescendo sempre di più il pubblico internazionale che viene a Castel di Sangro e a Casadonna come destinazione. La stampa internazionale negli ultimi due anni sta parlando molto di noi”.

I Niko Boys e il ritorno alle radici

“Da parte dei giovani chef”, osserva poi Romito, che ne ha formati 350 in undici anni tanto da aver creato un “movimento” ribattezzato Niko Boys, “sta crescendo la voglia di credere anche in dei territori in cui prima era difficile investire”.

E guardando al suo Abruzzo, riconosce come ci sia grande fermento anche grazie a grandi chef come lui che vengono visti come un esempio da seguire: “Ci sono tanti ragazzi che, anche per emulazione nei confronti del lavoro che fanno altri cuochi o ristoratori che sono in luoghi non facili da raggiungere, credono sempre di più nelle proprie radici”.

“In luoghi dove prima era impensabile trovare una ristorazione di qualità, oggi piano piano inizia a nascere”, aggiunge, “c’è voglia di ritornare, investire nel proprio territorio, sicuramente con più sacrifici, ma se poi si riesce ad emergere, quelle radici e quel sacrificio fanno sì che quel luogo diventi sempre più competitivo”.

Michelin, ogni volta come la prima

“Quando esce la guida Michelin c’è sempre grande tensione ed emozione, perché ogni anno bisogna confermare. Ogni anno c’è sempre la stessa attenzione, anche la ‘paura’ di non venire confermati perché avere tre stelle significa avere un’immagine internazionale molto alta. Per un cuoco è il premio più importante che si possa avere”, ammette lo chef.

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“La terza stella l’abbiamo conquistata nel 2014”, ricorda Romito, “ma oggi l’adrenalina è sempre la stessa perché la forza della Michelin è anche questa: ogni volta prima della presentazione della guida, ci sentiamo spesso coi colleghi per sapere se si sa qualcosa perché sia come immagine sia come reputazione è importantissima”.

L’inizio in un clima di diffidenza degli abruzzesi

C’erano molte diffidenze nei primi anni Duemila nei confronti di questo cuoco visionario e ambizioso, che da una trattoria di famiglia in un paesino montano stava iniziando un’ascesa che l’avrebbe portato nell’olimpo della cucina italiana.

Lo chef le ricorda bene e le racconta: “Abbiamo iniziato questo percorso nel 2000 e tra il 2005 e il 2006 abbiamo iniziato a cambiare completamente la nostra cucina. Con il tempo, studiando, lavorando e impegnandoci molto abbiamo iniziato a cambiare proprio lo stile e la forma, il modello di servizio. Come tutte le cose, quando si crea una rottura con qualcosa che esiste c’è scetticismo, però penso anche che quando si fa qualcosa di nuovo non si può piacere a tutti”.

Ma anche tra la prima (nel 2007) e la seconda stella (2009) questo sentiment non sembrava scemare: “I primi riconoscimenti, anche da parte del pubblico, sono venuti più da fuori che dall’Abruzzo. Lo scetticismo nei nostri confronti era anche da parte di professionisti, nostri colleghi che oggi, invece, riconoscono in noi di aver tracciato un nuovo percorso e di aver comunque segnato qualcosa di importante che ha creato scia per altri cuochi”.

L’importanza della sala

“Nell’alta ristorazione bisogna avere competenze e formalismi che in una ristorazione diversa non ci sono, ma questo non vuol dire che non ci debba essere della professionalità. Bisogna dare più voce e più racconto alla sala”. Ne è convinta Cristiana Romito, general manager di Casadonna e maitre del Ristorante Reale.

“La sala è il primo approccio che ha l’ospite e la sala non è raccontata nel giusto modo, ma neanche nell’alta ristorazione. Bisogna dare più valore a questa professione. Perché in questo mestiere serve tanta competenza, conoscenza delle lingue, empatia, cultura generale”, rileva la maitre.

“La sala è l’ospitalità, è il mondo dell’interazione e del racconto”, aggiunge, “l’ospite quando arriva va accompagnato, la cucina arriva successivamente. Quindi siamo noi a far vivere l’esperienza all’ospite e facciamo vivere l’esperienza all’ospite”.

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A caccia di selfie o di esperienza?

Ma i clienti di oggi si approcciano a un ristorante stellato per vivere realmente una esperienza culinaria differente, o ormai è solo una questione di status symbol?

“Oggi chi viene qui ha una grande consapevolezza di dove sta venendo, c’è anche tanto studio prima di arrivare quindi il cliente sa già cosa vivrà”, rivela Cristiana. “I clienti sono molto preparati. C’è sicuramente la foto, con la sala e anche con Niko, perché vivono molto l’estetica a cui teniamo molto, ma c’è tanta consapevolezza”.

L’alta ristorazione a servizio delle mense

“Quando tra il 2016 e il 2017 ho iniziato il progetto all’ospedale Cristo Re di Roma, un team di professionisti ha cercato di cambiare il paradigma dell’offerta gastronomica. Un progetto che mi ha fatto crescere molto, facendomi capire sempre di più come l’alta ristorazione possa essere funzionale a questi modelli. La scalabilità sui grandi numeri e l’ingegnerazzazione di processi per riuscire a replicare prodotti di qualità per grandi numeri è secondo me la sfida del futuro”, dice lo chef, insistendo su quello che è ormai da anni un suo pallino, realizzare dei protocolli che permettono di preparare su ampia scala piatti buoni, economici, sostenibili e nutrienti già pronti.

“Il tema che sto portando avanti è quello del dialogo tra alta ristorazione, industria e grandi numeri”, spiega. “Il vegetale è un tema a me sempre più caro. Riuscire a creare prodotti vegetali ricettati e trasformati con valori nuovi per riuscire a creare da un lato grandi quantitativi, ma dall’altro anche economie di scala che permettono maggior accessibilità a un pubblico che sarà sempre più attento all’etichetta”.

“Le nuove generazioni cambieranno il modello di trasformazione dell’industria, perché a differenza della mia generazione che non leggeva l’etichetta, non era attenta a ciò che mangiava, oggi per tanti motivi e perché ci si rende sempre più conto che quando si mangia qualcosa si incide sia sull’aspetto nutrizionale ma anche sull’ecosistema, e i giovani nascono in una crisi ambientale planetaria, si è molto più attenti a questi temi”.

La sostenibilità economica del fine dining

È stato l’anno delle strumentalizzazioni attorno alle stelle Michelin, da chi le ha “restituite” a grandi insegne che hanno chiuso. Ma quanto è sostenibile un ristorante stellato con costi da capogiro e una manciata di coperti?

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“Casadonna è molto sostenibile, è un’azienda che si mantiene e non ha bisogno di altri tipi di business per essere efficiente”, dice subito lo chef. “Non vorrei che si dicesse che l’alta ristorazione non è sostenibile per giustificare che non ha funzionato quel determinato ristorante”.

“Gestire un ristorante non vuol dire saper cucinare e saper cucinare non vuole dire saper gestire un ristorante”, analizza Romito, “sono due aree che devono fortemente dialogare tra loro ma non è detto che un piatto buono sia sufficiente a sostenere un ristorante. Come un’azienda, bisogna mettere a sistema sia il modello gastronomico sia quello economico”.

A partire ad esempio dai costi del personale, quelli che incidono maggiormente, secondo lo chef si possono creare dei sistemi di sostenibilità andando a economizzare sul menù: “Sempre più ristoranti diminuiscono la carta a vantaggio del menù degustazione, che consente economie di scala e meno personale”.

“Ci sono poi una serie di costi, a cui prima l’alta ristorazione sembrava non potesse rinunciare, come la mise en place, che stiamo vedendo come possono essere rivisti. Dei fronzoli inutili che oggi possono essere eliminati”, osserva.

La formazione

Trecento cinquanta ragazzi formati in undici anni, un caso unico al mondo – quello di una scuola di formazione professionale all’interno di un ristorante tre stelle Michelin – che insegna che cosa?

“Quando ho aperto nel 2011 – anche lì c’era tanto scetticismo (dice sorridendo, ndr) – molti dicevano ‘ma chi verrà a Castel di Sangro a fare formazione?’. La mia riflessione invece era opposta: puntava a creare una scuola unica nei contenuti, amena perché dialoga con la cucina di un ristorante importante, in un territorio isolato per cui chi viene a studiare ha bisogno di spazi incontaminati e senza stress, e soprattutto è un grande filtro perché quando l’alunno decide di lasciare la città e trasferirsi qui vuol dire che è realmente motivato e pensa solo a fare questa professione”.

“Abbiamo vissuto due momenti diversi”, racconta Romito, “prima del Covid c’era una richiesta enorme di iscrizioni ma ce n’erano tanti che facevano domanda perché non sapevano neanche realmente cosa fosse questo lavoro, motivati più dal fatto che fare il cuoco significa diventare un personaggio famoso e fare tv. Questa fascia di persone l’abbiamo completamente persa, oggi chi fa richiesta di iscrizione è realmente motivato”.

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“Mi stupisce, dopo tanti anni, vedere questa quantità di ragazzi che sono usciti da noi che lavora, che ha aperto il proprio ristorante, che sta avendo successo, che sta ritornando nel proprio territorio e con grande coraggio apre un ristorante”, dice ancora lo chef. “Quello che ha trasmesso questa scuola non è solo una formazione dogmatica ma ha spiegato anche che per avere successo bisogna ritagliarsi una propria identità, un percorso che non sia omologato a un modello di formazione classica ma frutto del proprio stile”.

E a proposito del personale di sala, “chissà se in un futuro non creeremo anche noi una scuola dedicata alla formazione del personale di sala”, chiosa Cristiana.

Una ricerca sulla tradizione culinaria abruzzese

La tradizione della cucina abruzzese sarà al centro dell’attività di ricerca del Campus universitario di ricerca e alta formazione gastronomica che sarà pronto nel 2026. Un progetto da circa 7 milioni di euro con la partnership del dipartimento di Scienza e Nutrizione dell’Università Sapienza di Roma.

“Riscrivere un modello di cucina abruzzese partendo completamente dalla cucina tradizionale” è tra gli obiettivi dello chef, che rivela di avere l’idea di sviluppare “un’attualizzazione di ricette e cucina, quelle di mare, di collina e di montagna, la cucina dei vari comuni, mettendo tutto a sistema e facendo formazione su questo modello”.

Il progetto architettonico sarà caratterizzato dal recupero di archeologia industriale e dall’utilizzo di materiali ecosostenibili e di sostentamento energetico ad energia pulita. Il Campus, a Castel di Sangro nell’area industriale sulla Statale 17, si svilupperà su 3.700 metri quadrati suddivisi in laboratori di ricerca, aule didattiche, centro di produzione per materiali didattici virtuali e aree comuni, tra cui spazi multimediali con contenuti e materiali a disposizione degli studenti (on e off-campus), spazi aperti in contatto con la natura e dedicati a sperimentazioni agronomiche, zone dedicate a un apprendimento libero e autoguidato, che si affiancherà agli schemi delle lezioni pianificate.

Il Campus “è l’evoluzione dell’Accademia e si porta dietro tutta l’esperienza che abbiamo maturato in questi anni”, chiosa lo chef. “L’idea è quella di mettere a terra una serie di domande che ci stiamo ponendo e il tema che andremo a sviluppare, oltre all’Accademia che trasferiremo in questa nuova sede, è quello della ricerca”.

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Niko e Cristiana Romito

Niko Romito stava per laurearsi in Economia a Roma, sognando una carriera come broker finanziario, quando il padre Antonio, che aveva da poco trasformato il Reale di Rivisondoli (L’Aquila), la pasticceria di famiglia, in una trattoria, si ammala fino a scomparire prematuramente. Così, insieme alla sorella Cristiana che si era appena laureata come traduttrice ed interprete in francese e tedesco, nel 2000 prende le redini dell’attività.

Cuoco autodidatta, Niko entra per la prima volta in cucina senza ancora immaginare che sarebbe diventata la sua vita. Pur non avendo alcuna esperienza nel settore, sviluppa in poco tempo la propria filosofia di cucina e in soli 7 anni il Reale conquista la prima stella Michelin.

Nel 2011 il ristorante si trasferisce a Casadonna, ex monastero del ‘500 a Castel di Sangro (L’Aquila), che i due fratelli ristrutturano e decorano scegliendo materiali e opere d’arte che seguono un’idea ben precisa di eleganza, purezza e bellezza, in continuità con la cucina del Reale.

Qui, oltre al ristorante e alle camere, nasce l’Accademia, una scuola di alta formazione e specializzazione professionale di cucina. Nel novembre 2014 arriva la terza stella Michelin e Niko inizia a sviluppare nuovi e svariati format.

Cristiana, che cura anche l’accoglienza nelle 10 camere del Casadonna, ha ricevuto negli anni numerosi premi: nel 2012 il premio Le Marchesine “Best Maître” per la guida di Identità Golose; nel 2018 il premio Cantine Ferrari per miglior servizio di “Ospitalità di sala” dalla guida “Le Soste” e, in ottobre 2019, il premio Mauviel 1830 “Best Dining Room Director”, il riconoscimento più importante a livello internazionale, rilasciato dalla prestigiosa associazione Les Grandes Tables Du Monde.


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