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Criminali digitali direttamente riconducibili alla Corea del Nord si sono resi protagonisti nel corso del 2024 di oltre la metà dei furti globali dalle piattaforme di criptovalute, aumentando esponenzialmente i profitti illegali rispetto all’anno precedente. Lo afferma una ricerca effettuata da Chainalysis Inc, una società americana di analisi sulle piattaforme blockchain.
In particolare, i ladri digitali legati alla repubblica popolare democratica di Corea si sono specializzati nel tempo in metodi avanzati che sfruttano le opportunità di lavoro da remoto. Il totale è una cifra esorbitante: il furto di 1,34 miliardi di dollari in 47 diverse operazioni nel corso dell’intero 2024, più del doppio rispetto ai 660,5 milioni sottratti in 20 diverse circostanze l’anno precedente. Ma non è solo questione di soldi. Essere bravi a sfilare portafogli digitali aiuta anche a far carriere nel regime.
Cripto contro le sanzioni…
Lo scorso 12 dicembre il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti aveva fatto sapere di avere incriminato quattordici cittadini nordcoreani con le accuse di frode e riciclaggio di denaro. Essi, pur figurando come lavoratori dipendenti IT impiegati da remoto nelle fila di alcune aziende americane, avrebbero intascato più di 88 milioni di dollari sia sottraendo informazioni proprietarie, sia attraverso estorsioni. La ricerca ha dimostrato che, dopo aver rubato le criptovalute, gli hacker hanno spesso e volentieri riciclato i fondi illeciti accumulati incanalandoli per mezzo di exchange finanziari decentralizzati, servizi di mining o attività di cripto-mixing utili a oscurarne la provenienza principale.
Quello ottenuto nel 2024 non è un record per i fuorilegge digitali nordcoreani. Nel 2022 erano infatti stati 1,7 i miliardi di dollari in valute digitali rubati. Sono d’altronde anni che i funzionari statunitensi denunciano la propensione dei criminali informatici direttamente collegati al paese di Kim Jong-un a far leva sulle criptovalute come mezzo per raccogliere denaro per far fronte alle sanzioni internazionali.
Le novità rispetto al passato sono legate unicamente ai metodi. I criminali associati al Reconnaissance General Bureau (Rgb), l’omologo nordoreano della Cia statunitense, hanno attaccato le piattaforme di valute virtuali con strumenti capillari e precedentemente sconosciuti. Tra gli altri, hanno per esempio utilizzato finti siti web di lavoro, chiedendo con l’inganno alle loro vittime di pagare dei servizi in criptovalute.
…e per il nucleare
Nel 2023, i ladri nordcoreani avevano sottratto criptovalute per un valore di 200 milioni di dollari per sostenere i progetti nucleari del loro paese. In particolare, a giugno TRM Labs, una società di intelligence specializzata nel settore delle blockchain, aveva evidenziato “un significativo incremento nella portata e nell’intensità degli attacchi informatici rivolti a imprese legate alle criptovalute da parte della Corea del Nord”, notando come ciò coincidesse “con un’apparente accelerazione dei programmi nucleari e missilistici del regime”.
Il costo del benessere a Pyongyang
Già da circa un decennio, la Corea del Nord è riconosciuta come una delle principali potenze mondiali nel campo dell’hacking malevolo. I criminali digitali vengono formati proprio dall’Rgb, per poi essere inviati all’estero, generalmente in paesi dotati di infrastrutture internet avanzate, da cui possono condurre attacchi informatici minimizzando le tracce lasciate e rendendo difficile collegarli direttamente a Pyongyang.
Per chi riesce a fare carriera, scatta spesso l’ingresso nei vertici del Partito del Lavoro, il traguardo più ambito, poiché porta con sé vantaggi significativi anche per le famiglie. Queste ultime possono infatti abbandonare le zone rurali più povere e trasferirsi a Pyongyang, godendo di una qualità della vita migliore, con accesso costante ad acqua calda, elettricità e alimenti di pregio come le banane, simbolo di uno status privilegiato.
Non sono tutte rose e fiori, però: le famiglie degli fuoriclasse dell’hacking malevolo vivono in appartamenti sorvegliati e diventano di fatto ostaggi del regime, con le loro vite messe in pericolo in caso di defezione da parte dei cyber soldati.
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