Giravolte di governo e missioni romane. Il problema degli organici e dell’efficienza dell’apparato della Giustizia
Seguendo una liturgia che da almeno quarant’anni si ripete periodicamente — qualche volta andando personalmente a bussare alle porte di via Arenula, altre volte inviando appelli accorati, più o meno documentati con dati statistici che il Ministero conosce già benissimo — anche quest’anno gli «Operatori della Giustizia» bergamasca, in concordia di intenti ( viribus unitis o uniti nella lotta: ciascuno declini il concetto nella propria visione ideologica), ritentano la missione di sempre, e cioè di far comprendere al Potere romano la complessità ( ed i numeri!) di una realtà socio-economica (e criminale) che non ha niente a che fare con le mille «cittadine di provincia» sparse lungo lo Stivale. Al netto di miracoli generati dall’«Anno Santo della Speranza» appena aperto, si tratta di una missione pressoché impossibile, in mancanza di «padrini» locali di prima grandezza: e certo non aiuta l’ulteriore circostanza che i bergamaschi non bruciano dal desiderio di fare i segretari o i cancellieri, mentre chi viene da fuori — magari ingolosito dalla nostra qualità della vita «al primo posto della classifica nazionale» — fa subito due conti.
E realizza immediatamente che il suo stipendio perderebbe almeno un terzo (o la metà ?) del suo potere di acquisto rispetto a quello guadagnato con il medesimo lavoro svolto nelle città di centro o di bassa classifica.
In questo caso c’è anche la aggravante di trovarsi di fronte — credo — il peggior interlocutore degli ultimi tempi. Da magistrato, Carlo Nordio ha «organizzato» il suo piccolo ufficio di Procura (sempre la stessa!), e nient’altro: e deve a FdI la sua designazione a ministro, dopo un severo esame attitudinale in quel di Arcore (fu circostanza pubblica, che tutti ricordiamo), per una parte da Giano bifronte, chiamato ad esprimere — a seconda delle circostanze — il ruolo del legislatore giustizialista feroce (fantasioso, ed «universale») o quello del «garantismo peloso», con il primo obiettivo di togliere agli Amministratori pubblici la «paura della firma» (ed infatti, nominando il cognato al vertice di una partecipata, o affidando una golosa consulenza alla amica , o mettendo in cattedra il figlio del collega, ci si poteva sentire al riparo da qualunque problematica amministrativa, ma capitasse mai — e da qui il piccolo tremore alla mano destra che impugnava la penna — che un Pubblico Ministero provasse a ficcarci il naso: certo, carcere zero, condanne poche, ma si doveva talvolta affrontare la seccatura di qualche mormorio pubblico attizzato dagli avversari politici, costretti per giunta anche a recitare il mantra della «fiducia nella Magistratura»).
In queste (spesso difficili) giravolte, che in più occasioni lo costringono a declamare l’esatto contrario di quanto da lui sostenuto in tempi anche recenti, non credo che il ministro trovi spazio per acquisire competenze di alta Amministrazione (che spaziano dalla problematica — relativamente semplice: è solo questione di soldi e/o di efficienza — delle strutture e delle risorse materiali ed umane, a problemi più delicati, da non far dormire la notte, e che necessitano di «visione», come i luoghi di detenzione, con infermi di mente che stanno in carcere ordinario in lista d’attesa che si liberi un posto in una residenza sanitaria, gli istituti sovraffollati e senza spazi lavorativi, i tossicodipendenti abbandonati a loro stessi), e non credo neppure sia interessato a farlo.
Poco importa che i compiti del ministro della Giustizia — e cioè «l’ organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia» — siano gli unici, fra i mille possibili compiti di governo, ad essere espressamente previsti e dettati dalla Costituzione (articolo 110): come è noto, siamo in pieno e festoso clima di distruzione di ciò che è stato fissato dai parrucconi di ottant’anni fa: il Paese deve essere guidato da chi ha il consenso popolare, senza trovare sulla sua strada inutili ostacoli ed impicci. E non sia mai che un Ordine Giudiziario dotato di strutture ben organizzate, ed efficienti, finisca con l’ alzare troppo la testa nel suo — sgradito — ruolo di garanzia, svolto con effettive terzietà , autonomia ed indipendenza.
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