Le piovre la forza corruttiva del grande capitale

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Se un investimento estero in Italia consistesse nel finanziare una strada o una qualunque altra opera a tassi di interesse più bassi di quelli altrimenti praticati sul nostro mercato, sarebbe cosa buona; se per investimento in Italia si trattasse nel costruire il centro di studio per nuovo design nella moda, o di prestare soldi ai nostri artigiani o contadini a tassi vantaggiosi, sarebbe molto utile per tutti; ma se per investimento si intende lo shopping di azioni delle maggiori imprese bancarie (e non) allora non si vede che vantaggio potremmo averne. Ben lo sanno i nostri partner d’oltralpe che mal digeriscono che una banca italiana acquisisca una banca tedesca o francese. Se poi scopriamo che quella banca che consideriamo italiana ha come azionista maggiore un fondo estero … allora dovremmo chiederci a che gioco stiamo giocando. Non serve qui dire che questi investimenti prettamente finanziari portano via dalle tasche delle nostre famiglie e dei nostri imprenditori piccoli e meno piccoli i profitti realizzati da questi investitori internazionali; ancor meno serve ribadire che queste concentrazioni internazionali limitano la libertà di manovra delle nostre Istituzioni; né è utile ripetere che questi mostri finanziari tolgono alle nostre imprese il meglio della nostra manodopera intellettuale; ma serve chiedersi coma mai il dibattito politico inciampa sempre su questo tema. Si sa, la politica non ha -sia a destra che a sinistra- una filosofia coinvolgente (ammesso che ne abbia una); ma non è credibile né una destra, né una sinistra che non abbia sul tema del ruolo del grande capitale internazionale una propria posizione netta. È cioè necessario chiedersi per esempio se è meglio mollare una manciata di miliardi del contribuente a Stellantis per conservare -forse- alcuni posti di lavoro oppure è meglio destinare quei soldi ad opere di utilità sociale? Se proprio li devo dare quei soldi lo stabilimento a suo tempo finanziato dal contribuente deve essere acquisito o no al patrimonio pubblico? È meglio avere in Italia una grandissima banca che asserisce di essere efficiente proprio perché dichiaratamente e concretamente riduce sportelli, costi ed occupazione, oppure è meglio averne tante di banche in competizione tra loro nel favorire i clienti sotto il profilo dei prezzi praticati e del miglioramento della qualità e quantità dei servizi offerti? Queste concentrazioni di potere economico e politico beneficiano per loro esistenza e crescita di tecnologie sempre più sofisticate fino ad arrivare al livello della occupazione vicina allo zero. È legittimo che queste organizzazioni percepiscano un profitto pur senza dare occupazione, oppure vanno acquisite al patrimonio pubblico come strade e ponti? La politica non ha risposto a queste domande e così abbiamo che la sinistra non è vera sinistra perché non difende bastevolmente lavoratori e consumatori mentre la destra non è vera destra perché non difende sufficientemente la indipendenza delle nostre Istituzioni. In mano a chi siamo? A ben guardare la cosa non riguarda solo l’Italia; la metastasi è ancora più mortale nei paesi più grandi ove queste organizzazioni multinazionali hanno maggiormente beneficiato della dimensione del mercato locale. La forza corruttiva del grande capitale è stata in grado di piegare i maggiori centri di potere internazionali; e anche le guerre più sanguinose non sarebbero state possibili senza il tacito benestare di molte multinazionali. Quindi fino a quando sia le sinistre che le destre non prendono una posizione chiara sull’atteggiamento da tenere verso questi veri e propri stati privati dalle diramazioni tentacolari -quasi delle piovre- avremo il fenomeno del distacco del Palazzo e della politica dalla gente; cioè fino a quando il pensiero politico non produrrà un suo modello di società e di economia che proponga qualcosa che inglobi o prescinda da questi attori spesso scomodi e sempre ingombranti, non avremo una credibile politica.

Canio Trione

Canio Trione

Direttore editoriale di Bari Sera e delle altre testate della editrice La Città, meridionalista da tempo immemore; scrive da sempre di economia reale, credito, finanza, scienza della moneta; ha pubblicato decine di saggi; grande critico della gestione dell’euro; profondo conoscitore della storia anche remota dell’ economia.

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