Elaborare il lutto del ritorno di Trump, combattere l’irrazionalità non basta

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La sinistra non vince se fa la sua battaglia contro l’irrazionalità, ma banalmente se la fa contro gli oppressori e a difesa degli oppressi. Se la sua razionalità smette di essere neutra o negativa e ritorna a commuovere, a prendere sul serio la rabbia della comunità mussulmana e i lutti politici, a raccontare il positivo dell’utopia e non solo il negativo del male minore

Non so bene descrivere lo sconcerto post trumpiano se non riconoscendo che non è un semplice giudizio politico, ma uno stato d’animo. Una forma di mood che contiene in sé il rischio vivido di un nuovo fascismo che sempre più si stabilizza come ordine prevalente del mondo.

Sarà per questo che ogni tentativo di analisi è in realtà una forma di elaborazione di un lutto. Non solo perché tutte le valutazioni consuete in questo caso sembrano saltate – le grandi città non sono più immuni al virus trumpiano, le comunità musulmane e le donne non hanno votato in massa Kamala Harris, ecc. – ma soprattutto perché ciò che ci attende non è ignoto.

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I contorni patologici erano stati ampiamente mostrati anni fa. Non ci salva neppure la tesi della supposta eccezionalità americana. È infatti evidente che una diga sta crollando e che, con tutte le differenze del caso, c’è una torbida marea nera che unisce Donald Trump e Giorgia Meloni e che ci ricorda alcune verità imbarazzanti.

La minaccia del populismo

Per esempio, che nell’ultimo decennio ci ha fatto comodo non prendere sul serio la minaccia del populismo. Qualche lettore mi dirà subito che l’abbiamo fatto anche troppo. In realtà abbiamo preferito demonizzarlo, l’abbiamo enfatizzato per giustificare poi la necessità di scegliere il male minore. Ci siamo anche illusi di averlo sconfitto, sia in Europa sia negli Stati Uniti.

Ma non abbiamo mai preso sul serio la rabbia che ne rappresenta la fonte primaria e che – quanto ci ha fatto comodo rimuovere questo aspetto! – è rivolta contro di noi. Si muove nei confronti di tutto ciò che la sinistra attuale (con le dovute differenze regionali) rappresenta.

Ho capito che Trump avrebbe vinto quando alla vigilia dell’election day ho letto un commento di una nota giornalista – su un noto giornale il cui tragitto rappresenta alla perfezione la crisi della sinistra – secondo la quale «la battaglia di Kamala Harris è contro l’irrazionale, non contro un candidato». Forse è proprio questo il punto: fin quando continueremo a presentarci con la presunzione di essere i sacerdoti della razionalità che devono combattere contro il pensiero magico degli altri ignoranti, vinceranno sempre gli altri.

La rappresentazione più eloquente della razionalità fredda della sinistra sta nella ripetizione ormai ossessiva della logica del male minore. Quella per cui siamo passati da Hillary Clinton a Harris senza imparare la lezione (e in Italia non siamo messi molto meglio).

Il male minore

Per l’appunto, il male minore è un argomento razionale e la sinistra – non solo quella americana – continua a credere che sia una razionalità incontaminata a dover guidare le nostre scelte politiche e che Trump debba perdere perché è indecente, psicopatico, ecc. Io credo invece che proprio per questo Trump vinca.

Non per la prepotenza della sua irrazionalità, ma per la debolezza della nostra razionalità. Che sceglie di non fare i conti con la natura ancipite della democrazia: un regime di governo che permette di distribuire il potere senza possedere in sé degli anticorpi sufficienti a garantirla da sé stessa e da esiti perversi.

La fragilità della democrazia appartiene alla sua natura, non è qualcosa che possiamo sorpassare ma una dimensione che dobbiamo imparare ad abitare. La rabbia della comunità musulmana che non vota Harris perché la reputa corresponsabile della carneficina in atto e rifiuta la logica del male minore in nome del lutto come sentimento politico (per evocare Butler) non ha nulla a che fare col razzismo o col maschilismo di certi altri elettori trumpiani.

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La proprietà privata

In generale e di nuovo, fin quando la sinistra non troverà altro schema che non sia quello stancamente neo-habermasiano di opporre la razionalità buona alle passioni minacciose e, in nome di questo schema, continuare a proporre soltanto l’argomento del male minore, avremo ancora infinite occasioni in cui può prevalere persino uno come Trump.

La sinistra non vince se fa la sua battaglia contro l’irrazionalità, ma banalmente se la fa contro gli oppressori e a difesa degli oppressi. Se la sua razionalità smette di essere neutra o negativa e ritorna a commuovere, a prendere sul serio la rabbia della comunità mussulmana e i lutti politici, a raccontare il positivo dell’utopia e non solo il negativo del male minore. Per come va il mondo – e non va così per caso ma per scelte storiche – la razionalità perderà sempre contro l’irrazionale. A meno che quella razionalità non sia utopica e non contenga in sé anche la forza delle passioni non tristi.

In questi giorni un mio collega storico sintetizzava con una battuta fulminante ciò che accadrà: «L’unica cosa che nei prossimi anni non verrà toccata sarà la proprietà privata». Ha ragione e al contempo svela il fallimento della sinistra nelle sue differenti versioni. Noi intellettuali impegnati abbiamo dove salvarci, probabilmente. Ci rifugiamo nei nostri giardini ben curati – dove nessuno ci verrà a cercare perché la proprietà privata è l’unico spazio sacro che rimane – a scrivere preoccupati di ciò che sarà per quelli che vagano per il mondo in cerca d’uno spazio dove potersi riparare o per quelli la cui modesta proprietà privata viene annientata incessantemente dalla prepotenza delle guerre che orientano il mondo.

Il divorzio dal socialismo

Ma forse è proprio da qui che dobbiamo partire: dal divorzio della sinistra istituzionale da ogni idea di socialismo. E da una sinistra che in questi decenni non ha saputo opporre a questa privatizzazione del mondo se non lo stanco ritornello della superiorità della razionalità sulla volgarità del populismo, riproponendo sempre la logica del male minore, cioè dei progetti politici che al massimo garantiscono a qualcuno in più di potersi riparare nel chiuso della propria proprietà privata.

Dimenticandosi l’idea fondamentale del socialismo: che si tratta di redistribuire, di “espropriare”, di garantire l’accesso pubblico e universale ai diritti per tutti e senza condizioni, di mettere in salvo la società dalla tracotanza degli interessi privati, di “forzare la mano” per permettere ai più deboli di credere nel progresso. Il sogno di una cosa, appunto. Ciò che dirigeva la razionalità e permetteva di definirla non semplicemente nei termini di un male minore. So che suona quasi osceno scriverlo in questi giorni di elaborazione del lutto, ma solo l’idea del socialismo contro la monotonia della privatizzazione potrebbe allontanare definitivamente il pericolo dei tanti Trump che si affacciano sulla scena del mondo.

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