Il Rapporto del Cnel. Gli under 35 erano un lavoratore su tre 20 anni fa, oggi sono meno di uno su quattro. Gli over 50 anni sono oltre il 40% oggi. «L’Italia sta entrando in una nuova fase che corrisponde a un inedito impoverimento della forza lavoro»
Giovani al lavoro? In Italia sono sempre meno: i lavoratori con meno di 34 anni sono passati dai 7,6 milioni del terzo trimestre 2004 a 5,4 milioni nel terzo trimestre 2024. In vent’anni l’Italia ha perso due milioni di lavoratori giovani, mentre nello stesso periodo gli occupati tra i 50 e i 64 anni sono quasi raddoppiati, salendo da 4,5 a oltre 8,9 milioni. Ma non solo. Per la prima volta nel 2023 i lavoratori con più di 50 anni hanno superato per numero la fascia centrale (35-49 anni) e rappresentano il 40% degli occupati del nostro Paese.Â
Rapporto Demografia e forza lavoro
I dati emergono dal «Rapporto Demografia e forza lavoro» pubblicato dal Cnel e curato dal consigliere Alessandro Rosina, che mostra quanto il calo demografico stia incidendo sul mercato del lavoro. «L’incidenza degli under 35 sul totale degli occupati – spiega il Rapporto – è scesa negli ultimi vent’anni da valori superiori al 33% (quindi oltre 1 su 3) al 23% (meno di 1 su 4). Al contrario l’incidenza degli occupati di 50 anni e oltre è aumentata, sia per le dinamiche demografiche (qui un’analisi di Federico Fubini) sia per l’aumento dei tassi di occupazione, favoriti anche dallo spostamento in avanti dell’età alla pensione (anche a 70 anni, come si legge in questo approfondimento) , passando da poco più del 20% a oltre il 40%. La fascia centrale tra i 35 e i 49 anni è entrata in diminuzione più recentemente, scendendo dal 47% al 37%».
Impoverimento del potenziale della forza lavoro
L’Italia – analizza il Cnel – sta entrando in una nuova fase della sua storia che corrisponde a un inedito impoverimento del potenziale della forza lavoro. Abbiamo un indice di dipendenza degli anziani (rapporto tra 65 e più su popolazione tra i 20 e i 64 anni) che ha superato il 40% e si trova di circa 14 punti percentuali sopra la media Ue-27. Secondo le previsioni Eurostat potrebbe continuare a salire fin oltre il 65%. L’indice di dipendenza economica (inattivi di 65 anni e oltre su occupati tra i 20 e i 64 anni) ha superato il 60%, anch’esso circa 14 punti percentuali sopra la media europea).Â
Il declino del traino della popolazione maschile
In particolare – analizza il Cnel – da dieci anni è entrata in fase di continua e sensibile riduzione la componente che tradizionalmente è stata al centro della crescita economica del Paese. La popolazione maschile nella fascia 35-49 è, infatti, scesa da oltre 7 milioni nel 2014 a 5,7 milioni nel 2024 e continuerà inesorabilmente a ridursi nei prossimi decenni. Il numero complessivo di occupati nella fascia 35-49 è sceso da circa 10,5 milioni nel 2014 a meno di 8,8 milioni del 2024. Il margine per controbilanciare tale declino sta nella misura dell’aumento dell’occupazione femminile, il cui valore è attualmente attorno al 65% in tale fascia (il più basso tra i paesi Ue-27, circa 13 punti sotto la media).
Puntare su donne e giovani
Che cosa si può fare? Per contrastare questa riduzione dell’occupazione nella fascia più giovane sarà necessario mettere in atto politiche per far crescere l’occupazione femminile e giovanile anche attraverso politiche di conciliazione vita-lavoro. «Oltre a politiche pubbliche più incisive (sulla transizione scuola-lavoro, sulla conciliazione tra tempi di vita e lavoro, sull’integrazione) – si legge – serve anche una maggiore capacità delle aziende e delle organizzazioni italiane di andar oltre l’idea di una forza lavoro tipica del XX secolo con al centro la figura del maschio adulto per valorizzare tutte le componenti della popolazione in età attiva, con attenzione alle loro specificità (nuove generazioni, donne, immigrati) e favorendo condizioni di una lunga vita attiva (attraverso le misure di Age management). Paradossalmente, proprio per il fatto di aver sottoutilizzato tali componenti l’Italia ha attualmente maggior margine di spinta positiva su occupazione e crescita economica. Una migliore valorizzazione da combinare anche con le opportunità , non scontate, offerte dalle nuove tecnologie».
L’analisi di Alessandro RosinaÂ
«Per rispondere agli squilibri demografici in atto, continuando a garantire benessere e sviluppo – ha sottolineato Alessandro Rosina – non c’è altra strada che rafforzare attrattività e valorizzazione del capitale umano. La qualità della formazione e del lavoro, l’efficienza dei servizi di incontro tra domanda e offerta, oltre che la disponibilità e l’accessibilità degli strumenti per la conciliazione dei percorsi professionali con le scelte di vita, devono essere posti come punti chiave delle politiche di sviluppo. Si tratta dell’investimento migliore che l’Italia può fare per dare maggior solidità ad un futuro che oggi poggia su basi molto fragili. Agire in tale direzione ha infatti ricadute positive anche sulla natalità , perché mette giovani e donne nelle condizioni di poter scegliere, se lo desiderano, di avere un figlio senza continuo rinvio che porta poi spesso a rinuncia. Aiuta a ridurre i divari territoriali perché gli svantaggi di genere e generazionali sono maggiormente presenti nel Mezzogiorno. Migliora l’immigrazione da domanda perché i contesti più attrattivi e con migliori possibilità di integrazione sono quelli che mettono a fattor comune le differenze senza trasformale in diseguaglianze; offrendo in particolare adeguate opportunità a giovani e donne, indipendentemente dalla provenienza sociale e territoriale».
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