L’analisi delle cause che hanno portato in LCA le banche venete (BPVi e Veneto Banca) ha evidenziato, in prima battuta, una gestione dell’erogazione del credito incauta, lo abbiamo visto analizzando conti delle due liquidazioni (leggi “Popolari venete in LCA, liquidatori: i buchi sentenziano che pagati Intesa Sanpaolo e Stato nulla resta. Peccato originale del crac: si sa in Vaticano?” di Fulvio Cavallari con note di Giovanni Coviello).
Vi è però chi sottolinea che il percorso di Veneto Banca S.p.a. non è paragonabile a quello di Banca Popolare di Vicenza S.p.a., riaprendo la discussione su aspetti della vicenda che non sono stati approfonditi e su questioni su cui soffermarsi ulteriormente.
È vero che Banca d’Italia auspicava una fusione? E se sì, perché? Quali erano gli scenari che la vigilanza temeva? Sono interrogativi che spostano il problema sul fronte macroeconomico e poi su quello conseguente del sistema di governo del settore del credito.
Una fonte utile è la relazione finale della Commissione d’inchiesta, istituita con deliberazione del Consiglio Regionale n. 205 del 21 dicembre 2017 “in relazione ai gravi fatti riguardanti il sistema bancario in Veneto”, poi deliberata dal Consiglio Regionale del Veneto che ne ha disposto la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto
Riporteremo in corsivo e virgolettato alcuni passaggi di uno studio lungo 282 pagine rinviando per chi volesse approfondire alle note a piè di pagina.
Tra i fattori macroeconomici la Regione Veneto individua i seguenti: 1) Il collasso del sistema economico veneto 2) il Bail-in 3) La vigilanza europea 4) La riforma delle banche popolari (in nota 1-4 )
Cambiamenti radicali del quadro generale cosa avrebbero comportato? La commissione consiliare a tal proposito riporta un parere dell’economista Stefano Zamagni espresso in un suo scritto “Quel disegno (nascosto) per cancellare le banche di territorio”, uno scritto della vigilia di Natale del 2015 (24 dicembre 2015) reperibile qui: “… In conclusione a me pare che esista un preciso disegno che punta ad eliminare le banche del territorio, non in maniera diretta, ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti per loro.” (in nota 5).
Uno scenario inquietante quello dipinto dall’economista, ma come avrebbe reagito il “sistema creditizio”? Pare cercando fusioni, aggregazioni ma, secondo la Commissione Consiliare Veneta, usando le maniere forti : “Emerge dalla cronaca di Banca d’Italia un netto squilibrio tra i rilievi effettuati durante la prima ispezione del 2013 a Veneto Banca – solo parzialmente sfavorevoli – e le contestazioni formulate solo pochi mesi dopo, a novembre, talmente gravi da indurre la richiesta di azzeramento degli organi sociali e di avviare nel più breve tempo possibile un processo di integrazione con una banca di standing adeguato.”
La fonte dei Commissari è niente meno che Vincenzo Consoli, prima Ad e poi dg di VB: “Nella nota alla Commissione dell’11 giugno 2018, Vincenzo Consoli, già amministratore delegato di VB, individua l’inizio della crisi proprio nelle due ispezioni del 2013 e, in particolare, nel successivo rifiuto apposto da VB al disegno – attribuito alla Vigilanza – secondo il quale il CdA di VB avrebbe dovuto “consegnare le chiavi ” di VB a BPVi, istituto che, secondo quanto riportato, era stato individuato da Banca d’Italia come banca aggregante (in nota 6)
La Commissione vede una conferma del narrato di Consoli nella “Relazione di minoranza della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Sistema Bancario e Finanziario “, quella presieduta di Pierferdinando Casini, a firma dell’on. Brunetta, del sen. Tosato, dell’on. Meloni, del sen. Augello, dell’on. Zanetti e della sen. Bellot riguardo all’apparente difformità di trattamento a sfavore di Veneto Banca” (in nota 7)
Vanno messe sul piatto della bilancia ovviamente le dichiarazioni di Zonin e di Banca d’Italia, rese alla Commissione parlamentare d’inchiesta.
Zonin: “ammette l’interesse suo e del consiglio di amministrazione a una fusione ma nega recisamente che vi siano state pressioni da parte della Vigilanza”.
Barbagallo (capo della Vigilanza di Banca d’Italia) sempre alla Commissione parlamentare d’inchiesta il 12.12.2017 dice: “Vorrei anche approfittare per chiarire il discorso Veneto Banca – Vicenza. […] noi non chiediamo un’acquisizione di Vicenza di Veneto Banca, non imponiamo alcunché […]” e soggiunge: “L’operazione Veneto-Vicenza salta esattamente perché una delle due, o forse tutte e due, non volevano fare un’operazione alla pari, quindi uno voleva prevalere sull’altro.”.
Di certo vi sono i dati del Bilancio 2013 approvato dall’assemblea dei soci di Veneto Banca Spa e pubblicati sul sito dalla LCA dai quali risulta quanto segue: Attivo Euro : 31.390.985.680 – Passivo Euro: 28.525.696.276. – Capitale sociale e riserve Euro: 3.098.443.521 – Perdita dell’esercizio: 233.154.117,27 di euro, ma la perdita d’esercizio venne imputata alla voce “riserva sovrapprezzo azioni” pertanto i soci con alzata di mano deliberarono il ripianamento della stessa con le esposte modalità.
In questo quadro d’insieme non sarà superfluo dire che le risultanze dello stress test iniziato nel 2014, i cui esiti vennero diffusi il 26 ottobre dello stesso anno, diedero di primo acchito esito positivo, tanto che Banca d’Italia fece un comunicato del seguente tenore : “ “Questi risultati confermano la solidità complessiva del sistema bancario italiano, nonostante i ripetuti shock subiti dall’economia italiana negli ultimi sei anni: la crisi finanziaria mondiale, la crisi dei debiti sovrani, la doppia recessione.”
Ma successivamente nella sua relazione alla Commissione Consiliare Banca d’Italia scrive che, a seguito di ulteriori accertamenti ispettivi, gli aumenti di capitale citati al precedente punto 2 “si rivelarono solo in parte computabili nel patrimonio” e che “in questa fase prese definitivamente avvio la spirale negativa che portò al dissesto”. In particolare, Banca d’Italia sostiene che già durante l’esercizio di Comprehensive Assessment emersero evidenze del fatto che entrambe le banche avevano proceduto, nel corso del 2014, a riacquistare azioni proprie senza richiedere l’autorizzazione divenuta sempre necessaria a seguito dell’entrata in vigore del Reg. (EU) n. 575 del 26/06/2013.”. Toni stridenti con il comunicato fatto subito dopo lo stress test, soggiunge la commissione, prima di mandare un messaggio di fiducia all’opinione pubblica sarebbe stato opportuno indagare ulteriormente (in nota 9)
Ma cosa avrebbe contribuito in seguito a determinare una pericolosissima spirale con effetti devastanti sui bilanci delle due venete? Con ogni probabilità i nuovi criteri di classificazione dei crediti adottati dalla BCE e imposti sui bilanci 2014 ai due istituti: “Per quanto riguarda BPVI, a seguito del Comprehensive Assessment venne adottata una politica contabile atta a favorire il coordinamento con le nuove disposizioni ricevute che comportarono per il gruppo una perdita significativa. Nella Relazione del Consiglio di Amministrazione sulla Gestione (Bilancio 2104) si legge che “Il passaggio sotto il diretto controllo della Banca Centrale Europea, unito all’analisi dei risultati dell’esercizio di Asset Quality Review nell’ambito del Comprehensive Assessment, ha determinato la scelta del Consiglio di Amministrazione di adottare un approccio particolarmente prudenziale nella politica degli accantonamenti e nella valutazione degli attivi. Come conseguenza del citato approccio, le rettifiche di valore sui crediti sono salite a 868,5 milioni di euro, più che raddoppiate rispetto a quelle registrate nel 2013, mentre gli avviamenti sono stati svalutati di circa il 65%, per un importo di 600 milioni di euro. L’adozione di questa politica prudenziale, pur migliorando complessivamente la qualità degli attivi della nostra Banca, ha determinato il risultato netto a livello consolidato pari a – 758,5 milioni di euro.”
Analogamente, la relazione di gestione relativa al bilancio 2014 di VB spiega che: “Come pare doveroso a fronte di un invito pervenuto dal ‘Regolatore’, la Banca si è prontamente attivata per analizzare puntualmente i risultati dell’AQR e tradurre gli stessi in azioni, processi e adeguamenti di policy interne destinati a riflettere anche contabilmente gli esiti prudenziali derivanti dal comprehensive assessment . […]. I cambiamenti introdotti[..] hanno comportato la rilevazione, nella seconda parte dell’esercizio 2014, di rettifiche nette di valore su crediti [pari a circa 717 milioni di euro, n.d.r] che, unitamente alla rilevazione delle rettifiche su avviamenti ed altre attività, hanno generato un risultato negativo d’esercizio pari ad Euro 968,4 milioni.”
“Se il 2014 si chiudeva con la soddisfazione per il superamento del Comprehensive Assessment , il nuovo anno iniziava con la necessità di recepire già nel bilancio dell’esercizio appena concluso le pesanti indicazioni della revisione della qualità degli attivi”.
Ma, osservano ancora oggi* fonti vicine ai vertici di Veneto Banca, “bisogna guardare al bilancio consolidato e non al bilancio della sola Veneto Banca che non rappresenta correttamente il reale valore del Gruppo. Il bilancio consolidato di Veneto Banca al 31.12.2013 chiuse con un risultato negativo di 96milioni. Tuttavia. grazie al recupero di valore dei titoli di stato italiani posseduti, la redditività effettiva risultò di euro 80milioni positivi… A pag 69/70 del BU 2013 si legge che ‘a fine dicembre 2013 il patrimonio netto consolidato, comprensivo del risultato di periodo, si attestava a ridosso dei 3,2 miliardi di Euro, registrando un aumento di 80 milioni rispetto alla consistenza di fine esercizio scorso (+2,6%)…
In dettaglio, l’evoluzione dei valori patrimoniali ha beneficiato del significativo recupero delle “Riserve di valutazione”, che hanno registrato una variazione positiva di 172 milioni grazie al miglioramento del fair value dei titoli governativi iscritti tra le “attività finanziarie disponibili per la vendita”.
Riguardo all’intervento di Bankitalia nella prospettata fusione Banca Popolare di Vicenza – Veneto Banca, dobbiamo, poi, riportare il contenuto di pagina 36 delle dichiarazioni spontanee di Zonin al Tribunale di Treviso, che confermerebbero quanto detto dagli esponenti di Veneto Banca.
“La Banca era solida e in buona salute, tant’è che, a fine dicembre del 2013, su indicazione precisa della Banca d’Italia, erano state avviate trattative per l’incorporazione di Veneto Banca nella Popolare di Vicenza. Ricordo l’incontro a Roma proprio alla fine di dicembre con il Governatore Visco e il Capo della Vigilanza Barbagallo che durò circa due ore e mezzo in cui mi fu dato esplicitamente l’input di incontrarmi con Veneto Banca per procedere alla fusione dei due istituti. E nei primi mesi del 2014, sempre con l’accordo implicito con Banca d’Italia, la BPVi aveva iniziato a esaminare i dossier di altri istituti di credito sul mercato, visto che la trattativa con Veneto Banca si era arenata per le resistenze del CdA di Veneto Banca, non seriamente intenzionato alla fusione.”.
Riguardo sempre al ruolo di Bankitalia e di Barbagallo rimane nel (colpevole?) dimenticatoio la registrazione con relativa trascrizione del famoso incontro a 3 a Roma (Barbagallo/Zonin/ Trinca) da noi pubblicato integralmente e da noi consegnato ufficialmente, su sua richiesta, alla Commissione d’inchiesta parlamentare su sistema bancario e finanziario presieduta da Carla Rucco. Che non ci risulta ne abbia fatto uso… Perché?
Tornando alle considerazioni precedenti alle ultime precisazioni l’avvitamento è stato micidiale non c’è che dire: dapprima le banche hanno dovuto fare l’impossibile e anche oltre per superare lo stress test, poi si sono viste penalizzate dalle baciate e dalle rettifiche di valore sui crediti, insomma secondo la Commissione veneta un’architettura d’insieme di regole contabili atte a modificare radicalmente in peggio i bilanci delle banche che però , dal canto loro non vanno esenti da responsabilità: “…. dal un lato, i due istituti tentarono di sostenere la clientela e l’economia locale; dall’altro, nel farlo, si assunsero eccessivi rischi, probabilmente sottovalutando gravemente la durata e l’impatto della crisi o, ab origine, valutando in modo inefficiente il merito di credito delle controparti.”.
Una vicenda caratterizzata da luci e ombre, sicuramente complessa, perché come si vede i fattori determinanti le crisi sono molteplici.
La presa di coscienza di una storia con così tanti risvolti potrà aiutare il risparmiatore a scrollarsi di dosso i sensi di colpa che solitamente accompagnano chi è vittima di crack finanziari, la consapevolezza si sa aiuta; tuttavia, sul terreno restano i debiti fatti per comprare le azioni e i recuperi crediti di AMCO spa, l’ex SGA spa già di Intesa Sanpaolo e poi ceduta al MEF che la pagò e le fece assumere la nuova denominazione, chissà perché…
È di pochi giorni fa la notizia che il Tribunale di Grosseto con due sentenze dell’ottobre 2024 ha deciso di far restituire a due risparmiatori le rate pagate per l’acquisto delle c.d. “baciate”, dichiarando nulle queste operazioni.
Lo avevamo anticipato dalle pagine di questo giornale non molto tempo fa, oggi possiamo dare conferma ai nostri lettori della buona novella.
(*collaborazione per le osservazioni centrali di Giovanni Coviello)
Note :
- 1 “il Veneto, in particolare, fino al 2007 fra le regioni più floride d’Italia, venne pesantemente colpito, dalla crisi economica, col declino del mercato manifatturiero, la forte flessione nell’esportazione dei beni e, in generale, la flessione delle PMI per più comparti, cui si aggiungevano le grandi difficoltà del settore edilizio. La crisi economica non poteva non riflettersi nel mercato del credito alle imprese ed ai privati, con deterioramento dei prestiti parallelo al decrescere dell’attività creditizia. Le gravi difficoltà delle due Banche venete, si palesavano inoltre nel quadro generale di crisi del sistema creditizio italiano.”
- 2 “l’introduzione del Meccanismo Unico di Risoluzione, attraverso il “bail – in” (salvataggio interno), quale strumento di risoluzione europea dei dissesti bancari”
- 3 “L’estensione della vigilanza unica (Meccanismo di Vigilanza Unica) alle due Banche popolari venete che, a partire dal 4 dicembre 2014, dipesero, quanto a supervisione, direttamente dalla BCE;”
- 4 “il decreto-legge n. 3 del 24 gennaio 2015 col quale il Governo ha introdotto misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, così detta legge di “Riforma delle Banche Popolari”, convertito con modificazioni nella legge n. 33 del 24 marzo 2015. La norma di riforma, modificando l’articolo 29 del Testo unico bancario (TUB), ha imposto alle banche popolari il cui attivo superi la soglia dimensionale massima di otto miliardi di euro, l’abbandono della forma sociale della cooperativa per azioni a responsabilità limitata, per assumere quella di società per azioni, salve l’alternativa di ridurre l’attivo nel limite consentito degli otto miliardi di euro o essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa. Fra le dieci Popolari interessate dall’obbligo di trasformazione in s.p.a., c’erano la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.”
- 5 […] In questo quadro mondiale, il caso delle banche italiane ha delle sue specificità. La prima riguarda la non sufficiente capacità della nostra classe politica di difendere le nostre banche del territorio, anche nei confronti delle regole imposte dalla Bce, che non favoriscono la concessione di prestiti e finanziamenti. Inoltre non è stato rispettato il principio di proporzionalità che vorrebbe che non fossero applicati i ratios patrimoniali delle grandi banche a quelle piccole, o ancora che i criteri di riorganizzazione fossero diversi per i grandi istituti e per quelli di minori dimensioni. Tutto questo aiuta a capire come mai le quattro banche al centro dello scandalo abbiano venduto così tante obbligazioni subordinate, prodotti che soddisfano i ratios patrimoniali ma presentano anche rischi, che evidentemente sono stati taciuti alla clientela. Ovviamente la responsabilità è delle banche imprudenti e poco trasparenti, ma è anche ovvio che queste siano state indotte ad agire in questo modo a causa degli esasperati interventi patrimoniali europei. In conclusione a me pare che esista un preciso disegno che punta ad eliminare le banche del territorio, non in maniera diretta, ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti per loro. Non si ha il coraggio di ammettere questo disegno, ma se si continuerà a ritenere le economie di scala e le ragioni dell’efficienza l’unico criterio di giudizio, a scapito del valore sociale e della fiducia, la strada è segnata. Bisognerebbe riaprire il dibattito e uscire dalle secche del tecnicismo, decidendo una volta per tutte il modello di società che vogliamo costruire.”
- 6 “Nella nota alla Commissione dell’11 giugno 2018, Vincenzo Consoli, già amministratore delegato di VB, individua l’inizio della crisi proprio nelle due ispezioni del 2013 e, in particolare, nel successivo rifiuto apposto da VB al disegno – attribuito alla Vigilanza – secondo il quale il CdA di VB avrebbe dovuto “consegnare le chiavi ” di VB a BPVi, istituto che, secondo quanto riportato, era stato individuato da Banca d’Italia come banca aggregante. Va ricordato che Banca d’Italia inoltrò il fascicolo con i risultati delle ispezione alla Procura di Roma, la quale, sulla base dell’ipotesi di reato di ostacolo alle attività dell’Autorità di Vigilanza, ordinò la spettacolare azione che il 17 febbraio 2015 impegnò un centinaio di finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e del Nucleo di polizia Tributaria di Venezia nella perquisizione della sede centrale di VB: immediato e clamoroso fu l’eco mediatico della vicenda.”.
- 7 “Durante i lavori della Commissione è via via emerso come la mano ferma usata dalla Vigilanza nei confronti di Veneto Banca sia stata ben maggiore di quella usata negli anni precedenti verso Banca Popolare di Vicenza. […] non si apprezza come particolarmente adeguata e tempestiva l’azione della vigilanza di Banca d’Italia, forse troppo lenta nei confronti dei vertici di Banca Popolare di Vicenza fino al 2015 (a situazione ormai compromessa) e forse troppo rigida nei confronti dei vertici di Veneto Banca (con una richiesta paracommissariale di azzeramento dei vertici stessi a fine 2013, quando la situazione non era poi così compromessa). Questo oggettivo “strabismo” appare, poi, ancora più problematico in considerazione del riscontrato fenomeno (in Banca Popolare di Vicenza) delle cosiddette “porte girevoli”, per tale intendendosi l’ingresso – tra i dirigenti e i consulenti di Banca Popolare di Vicenza – di numerosi esponenti provenienti dalle fila di istituzioni che svolgevano o potevano svolgere sulla banca funzioni di controllo a vario titolo, quali Banca d’Italia e non solo.”
- 8 “Per quanto riguarda BPVi e VB, i risultati della valutazione approfondita possono essere riassunti come segue:1. A fine 2013, entrambe le banche presentavano potenziali carenze di capitale, 683 milioni i euro per BPVI e 714 per VB (colonna D della tabella precedente);2. Tenendo conto degli aumenti di capitale perfezionati tra gennaio e settembre 2014, solo BPVI presentava ancora potenziali carenze di capitale (223 milioni di euro). Tenendo conto dell’esercizio dell’opzione del rimborso anticipato con regolamento in azioni del prestito obbligazionario convertibile “Banca Popolare di Vicenza 5% 2013/2018 convertibile con facoltà di rimborso in azioni ”, anche BPVI superava la carenza residua, incamerando 253 milioni di euro. Tale misura fu presa in extremis da un CdA convocato il 25 ottobre 2018, un giorno prima della pubblicazione dei risultati della valutazione approfondita e dopo aver appreso da confidenzialmente da Francoforte delle carenze di cui al precedente punto 2.“
- 9 Scrive Banca d’Italia che tale operatività e le anomalie riscontrate indussero la Vigilanza ad introdurre verifiche mirate alla movimentazione del fondo acquisto azioni proprie nel piano ispettivo allora in via di redazione. Il citato passaggio della relazione di Banca d’Italia, se confrontato con i toni del comunicato stampa del 26/10/2014, lascia perplessi. In sostanza, Banca d’Italia pare sostenere che le due banche venete superarono il Comprehensive Assessment grazie ad aumenti di capitale rivelatisi parzialmente fittizi e che già durante lo stesso Comprehensive Assessment la Vigilanza aveva rilevato una operatività irregolare del fondo acquisto azioni proprie, tanto da indurla ad intraprendere successive investigazioni: perché, dunque, in presenza di operazioni sospette, non si ritenne opportuno indagare ulteriormente prima di comunicare all’opinione pubblica un messaggio di fiducia e solidità? Perché posticipare l’approfondimento su comportamenti che, una volta scoperti, diedero avvio – secondo la Vigilanza – alla “spirale negativa che portò al dissesto”? Alla luce degli eventi successivi, sarebbe stato forse opportuno che Banca d’Italia adottasse un profilo comunicativo improntato a una maggior cautela.”
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