Chi sono i presunti killer di Francesco Favaretto: il lavoro in fabbrica, la scuola, i video musicali. Uno nega tutto: «Non l’ho aggredito»

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di
Silvia Madiotto

Toluwaloju Ade Mclinkspual, 19 anni, e Angelo Riccardo Ozuna, 18 anni sono in carcere dal 22 dicembre. Gli amici:«Non sono stati loro»

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Gli amici non credono alle accuse. «Non sono stati loro». A Santa Bona, i ragazzi non parlano d’altro che dei loro coetanei, due giovani poco più che maggiorenni finiti in carcere con l’accusa peggiore che ci possa essere: aver ucciso una persona. Per questioni di droga. Quel 12 dicembre resta impresso nella memoria: Francesco Favaretto, 22 anni, aggredito e ferito in modo gravissimo alla gola e al torace in via Castelmenardo, in pieno centro a Treviso, trovato agonizzante in una pozza di sangue

I profili

Toluwaloju Ade Mclinkspual, 19 anni, e Angelo Riccardo Ozuna, 18 anni, entrambi italiani di seconda generazione, sono stati arrestati domenica 22 dicembre, assieme a un 15 enne. Il giorno seguente Francesco è morto e l’accusa da tentato omicidio è diventata di omicidio volontario. Il 24 dicembre si sono tenuti gli interrogatori di garanzia con la convalida degli arresti. Ozuna, operaio a Cremona, figlio di genitori sudamericani, difeso dall’avvocato Alessandra Rech, ha chiesto i domiciliari e si proclama estraneo all’aggressione mortale perché dice di non aver partecipato all’accoltellamento di Favaretto. «I video delle telecamere confermerebbero questa tesi dal momento che le immagini lo mostrano allontanarsi all’inizio dell’aggressione – ha detto l’avvocato nei giorni scorsi -. Ozuna è mortificato per l’accaduto, la vive come un’ingiustizia perché sostiene di non aver fatto nulla. È sconvolto». Ade Mclinkspual, (difeso dall’avvocato Valentina Pignata), studente di un istituto professionale, primo di quattro figli di genitori nigeriani, è stato ascoltato dal giudice per le udienze preliminari.




















































Fra, Paul e Cora. Nomi e storie che tornano fra via Ronchese e le piscine di Santa Bona, nella prima periferia di Treviso, la città-gioiello che una notte è diventata terra di scontro per colpa degli stupefacenti. Tre ragazzi che bene o male tutti (quelli della loro età) conoscono. Trascorrono le serate insieme, hanno frequentato le stesse scuole, ma c’è chi vive di più il quartiere e chi si sposta di più verso il centro. Cora è Ozuna, residente proprio lì a Treviso. Paul è Ade Mclinkspual che invece vive con la famiglia a Ponte di Piave. Suonano insieme, registrano a San Liberale, fanno video per i social, sono ragazzi come tanti, ma ora su di loro pende un’accusa pesantissima. «Conosciamo persone che erano lì, Cora non c’entra» ripetono gli amici. Paul invece è più sfuggente da quando si è trasferito nella golena, fra le vigne e i campi, dove il Piave esonda e copre tutto nel caso di piene. La famiglia si è spostata lì da Villorba tre anni fa per motivi economici: i genitori gestiscono un negozio di alimentari e casalinghi africani vicino alla piazza di Carità. Paul è il figlio più grande, il più piccolo ha appena finito le scuole medie. A Ponte di Piave non hanno costruito relazioni o amicizie, li vedono passare, non ci sono rapporti di vicinato. La casa è piccola, per sei persone, una capra nel cortile, è una situazione di forte marginalità. La famiglia è religiosa, padre e madre sono attivi nella comunità evangelica. Il padre non si dà pace, è malato, non può uscire di casa: «Non so niente di mio figlio, domenica mi ha chiamato l’avvocato e mi ha detto che era stato arrestato, ma nessuno mi dice niente, nè l’avvocato nè i carabinieri. Non so come sta, non so niente di cosa sia successo quella sera».

«Siamo senza parole di fronte all’omicidio di un così giovane ragazzo – ha detto il sindaco di Villorba Francesco Soligo -. Durante il periodo di residenza qui, i servizi sociali sono stati vicini alla famiglia, erogando anche dei contributi economici di aiuto, versavano in condizioni di bisogno. Purtroppo, di fronte ad un crimine del genere, non possiamo che stringerci attorno ai familiari della vittima». Parla di progetti per i giovani, contro la violenza, di prevenzione. E la sindaca di Ponte di Piave Paola Roma dice: «Siamo tutti una comunità educante, nessuno escluso. Oltre ai progetti con l’Usl e la conferenza dei sindaci, abbiamo i progetti dei nostri osservatori. Ma anche gli sforzi più grandi non portano risultati se non c’è una rete composta da istituzioni, forze dell’ordine, scuola, esercenti, cittadini e genitori. Il ruolo delle famiglie è fondamentale. I percorsi educativi devono coinvolgere ragazzi e adulti, organizzando attività per tutte le generazioni. Solo così possiamo arginare i problemi che si creano nelle nostre comunità».

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27 dicembre 2024 ( modifica il 27 dicembre 2024 | 07:39)

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