Bombe, faccendieri e poteri occulti: gli angoli ancora bui degli anni Settanta

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Raccontare gli anni Settanta, impresa folle e disperatissima. Enrico Deaglio, dopo gli anni Sessanta, si è buttato nella grande opera. E ne è venuto fuori un epico ma anche drammatico scanzonato e affettuoso racconto di storia e di costume. Il decennio in verità finisce presto perché i Settanta muoiono nel maggio 1978 con i colpi di pistola che uccidono Aldo Moro. E perciò sul libro campeggia una foto che è un pugno nello stomaco: l’immagine della camicia insanguinata dello statista ucciso dalle Br. Scrive Deaglio nel libro C’era una volta in Italia – Gli anni Settanta (Feltrinelli): «Quegli spari scellerati, a bruciapelo, all’alba, che abbiamo messo – non senza sofferenza – in copertina di questo volume, resteranno, come avrebbe detto Borges, nella “storia universale dell’infamia”, il trauma che ci porteremo sempre appresso».

Deaglio ci aiuta a ricordare

Se il delitto Moro è il punto finale di un processo venefico che brucia gli anni Settanta e tanti suoi protagonisti, speranze di cambiamento comprese, c’è però una storia oscura che gli corre accanto, s’interseca come un fiume carsico, a volte si sovrappone. È la storia dei poteri criminali. Un po’ ce lo siamo dimenticato, quel periodo. Ma ci pensa Enrico Deaglio a rinfrescarci la memoria su come l’eversione di destra mettesse bombe in treni, stazioni, università e come avesse preparato numerosi colpi di Stato. Come i gruppi criminali – banda della Magliana, Cosa nostra, P2, l’allora sconosciuta ’ndrangheta – si associassero al potere e facessero i “lavori sporchi” in cambio di impunità.

Il ruolo di Sindona

Ci siamo dimenticati, ad esempio, come al crocevia di finanza, mafia, traffico di droga, corruzione, ci fosse un tal Michele Sindona. Breve ripasso: l’uomo nasce dalle parti di Messina nel 1920, in Sicilia stringe utili contatti con gli americani nel periodo di occupazione, negli anni Cinquanta si trasferisce a Milano e il suo studio di fiscalista diventa famoso tra i “cummenda”. L’ascesa pare inarrestabile. Rileva un’antica banca e poi un’altra, domina la Borsa, amministra le proprietà immobiliari del Vaticano. Si scoprirà solo in seguito che le sue banche erano coinvolte nei movimenti dell’Anonima sequestri e riciclavano soldi della mafia siciliana. Per qualche anno gli va tutto benissimo. Ricostruisce Deaglio: «In America è addirittura proprietario della decima banca del Paese, la Franklin Bank di Long Island, che gode di una buona clientela legata al Partito repubblicano e alla comunità italoamericana. Ma il più grande sogno è crollato in pochi mesi, anno 1974. La Franklin ha fatto improvvisamente bancarotta, e beati i depositanti che sono riusciti a recuperare i loro soldi. E in Italia è crollato “l’impero Sindona”, quando – finalmente – gli ispettori della Banca d’Italia hanno avuto il permesso dal governatore Guido Carli di andare a guardare i conti delle sue banche».

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Da Roma a New York

Inseguito da due giustizie, Sindona ripara a New York. Dall’Italia, comunque, lo aiutano in tanti con i cosiddetti “affidavit”, cioè lettere a garanzia di quanto fosse una brava persona. «A garantire per Michele Sindona troviamo il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, Carmelo Spagnuolo, il segretario del Psdi Flavio Orlandi, la vulcanica imprenditrice milanese Anna Bolchini, due persone a noi sconosciute, Paul Rao esponente del Partito repubblicano americano e soprattutto figlio di un giudice della Corte suprema, Philip Guarino, che si presenta come rappresentante della comunità italoamericana di New York, John McCaffery, già capo del controspionaggio inglese ai tempi della guerra, il nobiluomo torinese Edgardo Sogno, appena uscito dalle accuse di aver tramato un colpo di Stato, il fresco ministro “tecnico” del Tesoro nel governo Moro, ed ex presidente della Banca Commerciale, Gaetano Stammati». E naturalmente c’è Licio Gelli.

A raccontarci poi chi fosse il segreto sponsor politico di Sindona sarà Aldo Moro, nel suo Memoriale scritto quand’era nelle mani delle Brigate rosse. E così due storie tanto diverse s’incontrano fino a diventare un tutt’uno. Racconta infatti Moro che Giulio Andreotti, in quel momento senza incarichi di governo, era andato appositamente in America per partecipare a un pranzo in onore di Sindona, libero su cauzione. Tentarono invano di sconsigliarlo sia l’ambasciatore Egidio Ortona, sia Moro stesso. «Andreotti si impuntò e sarà l’ospite d’onore (da solo) al banchetto offerto all’hotel St. Regis in cui dichiarerà Sindona l’italiano più importante della storia».

Chi tocca Sindona muore

Andreotti disponeva a New York di un “ufficio di rappresentanza”, tenuto dalle sorelle Grattan, antica famiglia di politici repubblicani, di fede anticomunista. Una delle sorelle, interrogata nel 1994 dai pm di Palermo, confermò che tra il 1978 e il 1979 aveva incontrato per otto volte Sindona nel suo studio.
Si moriva, all’epoca, a toccare Sindona. Un incorruttibile avvocato milanese, Giorgio Ambrosoli, che si occupava della liquidazione delle sue banche fu fatto uccidere da un sicario italo-americano. Il banchiere Enrico Cuccia fu convocato a New York e minacciato di morte, lui e i figli, affinché non si mettesse di traverso al salvataggio delle banche a spese dello Stato italiano. A Palermo, l’investigatore Boris Giuliano, fu ammazzato in strada perché aveva scoperto chi era il banchiere dei clan.

Infine Sindona organizzò un auto-sequestro a immagine e somiglianza del dramma di Aldo Moro: scomparve a New York nell’agosto 1979 e ricomparve nella Grande Mela due mesi dopo facendo un racconto farneticante di comunisti che lo avrebbero rapito e torturato. In realtà era andato clandestinamente in Sicilia ad incontrare massoni e capi mafiosi che volevano sapere come avrebbero riavuto indietro i miliardi che gli avevano affidato. Tutto fu organizzato meticolosamente: mentre era ospitato da un medico della polizia a Palermo, massone, scriveva lettere di finta disperazione che ogni volta un picciotto portava in aereo fino a New York per essere imbucate a Brooklyn.

Incontrò il famoso avvocato Vito Guarrasi, il potentissimo esattore Nino Salvo, il cavaliere del lavoro Gaetano Graci, il capo della massoneria siciliana Barresi. «Ma più che assicurare ai clienti che avrebbe restituito loro i soldi perduti – contava di ricattare i politici italiani che gli avevano affidato i loro risparmi perché li esportasse all’estero, ma quelli si erano salvati dal suo crack –, Sindona era venuto a vendere l’idea di un colpo di Stato separatista, il vecchio sogno del 1943; si diceva sicuro di avere l’appoggio americano, dell’amministrazione Carter, della Cia, dell’ambasciata a Roma; vantava rapporti diretti – li aveva finanziati, perbacco! – con i vertici dei servizi segreti italiani, parlava addirittura di strategie militari». Finì come doveva finire. Con un caffè alla stricnina in cella. E chissà quanti altri segreti sono stati sepolti con i fantastici anni Settanta.



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