L’omertá… quella che uccide – Come Don Chisciotte

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di Marilina Veca

Omertà.. Cercando sul vocabolario (in questo caso mi riferisco al vocabolario italiano della Hoepli, ma la definizione è comune a tutti) troviamo la parola «omertà» interpretata come forma di complicità tra gli appartenenti alla malavita; la spiegazione fornita è di questo tipo: per cui una persona colpevole di reato viene protetta, anche da parte di chi ha subito il danno, celando la sua identità alla giustizia, onde evitare vendette. L’omertà viene anche definita «solidarietà tra gli appartenenti a una stessa categoria di persone, per cui ciascuno tiene celato l’operato dell’altro per propria opportunità o reciproco interesse».

È davvero così? L’omertà è riferita a comportamenti di reciproca copertura e protezione fra elementi della malavita o non è piuttosto una forma consueta del vivere comune?… un imperativo categorico non scritto ma inculcato nelle teste delle persone con la forza della persuasione collettiva e del luogo comune che recita «Fatti i fatti tuoi», «Tu guarda dall’altra parte», «No, non ho visto niente…», «Ma io che c’entro?». Sempre più frequentemente fatti di cronaca cruenti e atroci come i recenti crimini di pedofilia a Napoli – di cui parleremo insieme ad un altro abominevole fatto di sangue sempre legato alla pedofilia accaduto in Piemonte qualche decennio fa – hanno come comune denominatore l’indifferenza sociale, il silenzio della comunità, il «fare muro» per coprire abitudini e sicurezze, il proteggere costi quel che costi la propria «tana» senza curarsi delle urla di una bambina che viene martirizzata a pochi metri di distanza.

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Eppure questa «brava gente comune» si autoassolve in continuazione: «Io non ho ucciso nessuno», «Io quando chiudo la porta di casa mia…». Sono le comunità terribili, quelle votate all’autoassoluzione e all’autodistruzione dell’essere umano. E sono tante… Le persone cercano di sottrarsi al pericolo che viene dall’assumere la propria responsabilità mettendo in atto tutti gli accorgimenti possibili al fine di esercitare la totale rimozione: procedure di diniego e di negazione che hanno lo scopo di mantenere lo status quo affinché nulla, nell’organizzazione della vita, nell’equilibrio creato sulla menzogna, nella struttura sociale, possa mutare. In psicoanalisi si è studiata l’attivazione di quel meccanismo di difesa che serve ad «evitare» e che, in termini psicosociali, può essere definito appunto «omertà». L’omertà diventa una difesa potentissima, la trasgressione della quale mette, sia realmente che nell’immaginario, la vita del trasgressore in pericolo.

L’omertà si fissa su un oggetto che viene de umanizzato (la bambina vittima dei pedofili diventa solo un pericolo per il mantenimento del proprio equilibrio sociale e psichico e non un essere umano indifeso vittima di un crimine atroce) e vissuto come fonte dell’angoscia, che può essere controllata se non lo si rivela, cioè se ci si adegua alla regola. La regola è il non parlare perché il parlare rivela, fa sapere che «tu, proprio tu, eri presente». Le notizie relative all’orribile uccisione e agli abusi sulla piccola Fortuna, la bimba precipitata dal sesto piano del palazzo dove abitava con la madre al Parco Verde a Caivano, il 24 giugno del 2014, suscitarono una vasta eco.

Dopo una prima errata valutazione di un possibile incidente, le indagini si erano indirizzate verso gli abitanti del palazzo, verso l’incubo del «mostro della porta accanto» nascosto proprio nello stesso palazzo del Parco Verde. E si era subito ricordato il caso di un altro bambino incredibilmente morto in circostanze simili due anni prima, Antonio Giglio. Poi l’autopsia sulla piccola Fortuna ha confermato che la piccola ha subito «abusi reiterati» negli ultimi due anni dei suoi brevissimi e tormentati sei anni di vita. Il parroco del quartiere aveva dichiarato: «Ho ripetuto mille volte, dall’altare e in privato: chi sa, parli. Mi augurai allora che la verità potesse finalmente segnare un momento di rinascita per la gente del Parco Verde, realtà segnata da estrema povertà ma dove vivono persone perbene, ingiustamente colpite da sospetti generalizzati».

Eppure in quel palazzo, dove due bambini sono stati lanciati dai piani alti sul selciato, dove un’altra coppia è stata arrestata per pedofilia, dove la compagna del presunto «mostro» che abusava della piccola Fortuna e delle sue stesse figlie è stata anch’ella incriminata, in questo palazzo degli orrori, delle infinite violenze domestiche, delle torture inflitte a bambini di 3, 4, 6 anni e poco più, in questo palazzo nessuno ha visto né sentito niente, come una delle vicine e parente della famiglia dell’indiziato, ha dichiarato in tante interviste: «Non ho visto e non ho sentito niente…l’acqua della pasta stava per bollire…». Omertà, silenzio, indifferenza, «fatti gli affari tuoi», «mantieni il poco che hai», «non ho visto e non sentito niente»: tutto pur di mantenere una sicurezza sociale che, per quanto degradata e miserabile, è, per l’appunto, una sicurezza.

Abbiamo parlato di un caso emblematico di omertà. Vediamo ora un caso antico, abominevole e mai risolto: la storia di Maria Teresa Novara, una bambina di 12 anni morta «sepolta viva» nell’agosto 1969 nell’astigiano. La storia comincia così: il 17 dicembre 1968 un pregiudicato locale entra per rubare nella stanza di una cascina in zona Bricco Barrano, frazione di Villafranca d’Asti; vi trova inaspettatamente una ragazzina tredicenne, la rapisce ritenendo la famiglia molto più facoltosa di quanto fosse.

Maria Teresa Novara

Si trattava di Maria Teresa Novara, residente a Cantarana, figlia di contadini, che nel periodo scolastico si trasferiva presso gli zii. Il rapitore nascose la bambina in un’altra cascina, a Canale d’Alba, in provincia di Cuneo; resosi conto che la famiglia non poteva pagare il grosso riscatto sperato, decise di «monetizzare» comunque la bambina vendendola per turpi interessi sessuali agli abitanti dei dintorni: a Canale d’Alba e dintorni, non erano pochi i facoltosi che non si facevano scrupoli ad avere rapporti sessuali con una dodicenne, senza curarsi dell’età e senza por caso al fatto se fosse tenuta prigioniera (peraltro in catene) o meno.

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Trascorsero otto mesi, il rapitore, una sera, dopo aver tentato un furto a Torino, per sfuggire alle forze dell’ordine si gettò nel Po. Un posto di blocco: qualcuno dice che fosse un posto di blocco molto opportuno visto che il rapitore aveva cominciato ad essere troppo ricco e a parlare troppo in giro. Travolto dalla corrente annegò. Intanto Maria Teresa, era chiusa in uno stanzino, semibuio senza aria (qualcuno ebbe cura anche di tappare le due prese d’aria del cunicolo sotterraneo dove la bambina era incatenata) senza acqua e senza cibo. Mentre con singolare lentezza, gli inquirenti aspettavano vari giorni prima di perquisire la casa del pregiudicato, nessuno dei pedofili – tutti «brave persone», gente «normale», inseriti nella vita sociale, con mogli e figli, notabili e professionisti, contadini e professori, nobili e politici – che avevano approfittato della bambina o avevano taciuto per omertà, per incuria, per durezza di cuore – si diede pena di avvisare qualcuno che nella cascina era rinchiusa un essere umano incatenato, una bambina: eppure, sarebbe stato facilissimo farlo, anche in modo anonimo, con una lettera, o tramite un prete.

Articolo Maria Teresa Novara - Omerta 2

Articolo Maria Teresa Novara - Omerta 4

Ma loro con spietata crudeltà, preferirono tacere, sicuramente anche per evitare il rischio che la ragazzina sopravvivendo potesse riconoscerli e denunciarli, pur sapendo che Maria Teresa stava morendo prigioniera e sepolta viva, cinicamente tacquero. E tacquero anche le mogli, le figlie, le sorelle, il prete, il medico, il farmacista, etc. Maria Teresa trascorse quei giorni quasi sempre dormendo, finché l’inedia e la scarsità d’aria la uccisero poche ore prima che gli inquirenti scoprissero il suo corpo. Secondo i giornali dell’epoca non valeva la pena di fare un caso della sua atroce fine dal momento che si era “prostituita”(!). «Famiglia Cristiana» trovò anzi modo di moralizzare sul fatto che nello sgabuzzino erano state trovate riviste pornografiche, indicandole come causa del degrado della fanciulla (dimenticando forse che la bambina era stata rapita, era prigioniera, terrorizzata, costretta e incatenata).

Il caso di Maria Teresa Novara è uno dei più atroci casi di colpa collettiva e di obnubilamento delle coscienze individuali nella legge del branco che dilania, tormenta e infine uccide l’innocente. Omertà, indifferenza sociale, difesa del proprio status, protezione ad oltranza della propria sicurezza, della propria tana, del proprio piccolo equilibrio, non importa se conquistato sulla pelle di una bambina seviziata, martirizzata, terrorizzata e uccisa.

Sul caso scese l’oblio del tempo e dell’indifferenza e non fu neanche aperto il fascicolo per omicidio, solo quello per rapimento e sequestro che portò alla condanna di un unico colpevole, il complice del rapitore, mentre tutte le «brave persone normali» continuarono a difendere la loro miserabile vita di menzogna e di omertà.

Articolo Maria Teresa Novara - Omerta

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Ci auguriamo ora che la nostra memoria di questi atroci casi di lacerazione del tessuto sociale, di ferita dello stesso senso di appartenenza all’umanità, possa diventare memoria attiva, memoria che costruisce giustizia e finalmente verità per questi bambini martirizzati da tanta «brava» gente «normale». E questa «brava» gente «normale» è sempre la stessa, chiusa a riccio nella sua autodifesa, uomini e donne fermi nelle loro facce di pietra, occupati solo a nascondere la verità e a fare muro, celati come ombre oscure dietro la selva dei «non so», «non ricordo», «si dicono tante cose di questa ragazzina», «è passato tanto tempo, non è più il caso di parlarne»… Care facce di pietra, noi continueremo a parlarne, a scriverne, a gridare l’orrore che la piccola Fortuna lanciata dall’ottavo piano dopo anni di sevizie, che la piccola Maria Teresa, lasciata sola a morire sepolta viva a 13 anni, e tutti gli innumerevoli innocenti ai quali è stata rubata l’innocenza e la vita, non possono più gridare.

 

Di Marilina Veca

 

Marilina Veca. Giornalista, saggista e scrittrice. La sua ultima opera è Uranio impoverito: la Terra è tutta un lutto,  Sensibili alle foglie (2023)

 

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Fonte: Toscana Oggi, 15 dicembre 2024



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