Preoccupa, e non poco, nel mondo sindacale il correttivo messo a punto dal Governo in materia di Codice degli appalti pubblici. Il 17 dicembre è terminata la fase di acquisizione dei pareri preventivi richiesti per l’emanazione del Decreto Legislativo di modifica al vigente codice (con i voti delle Commissioni parlamentari e dopo che si erano già espressi il Consiglio di Stato e la Conferenza Unificata). Ora lo si vorrebbe approvare entro fine anno e al Governo spetta varare il testo definitivo.
“Il Governo potrà andare avanti con le norme proposte, in conflitto con Consiglio di Stato e gli stessi pareri parlamentari (a partire da quello del Senato) oltre che con molte parti sociali che hanno richiesto lo stralcio delle norme più controverse e che a detta di molti rischiano solo di alimentare caos e dumping contrattuale” ha spiegato oggi Angelo Chiari della segreteria provinciale Cgil, con delega agli appalti e alla sicurezza sul lavoro. “In base a quanto succederà nei prossimi giorni valuteremo cosa fare in termini di contrattazione di anticipo ma anche di vertenze”.
Il decreto legislativo modifica il Codice appalti o più correttamente il “Codice dei contratti pubblici” (D.Lgs. 36/2023) che era stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo del 2023 sostituendo dopo quasi 7 anni il “vecchio” D.Lgs. 50/2016.
“A nostro avviso si tratta di un serio attacco all’applicazione corretta dei Contratti collettivi di lavoro, quindi al rispetto delle tutele economiche e normative dei lavoratori, che rischia di produrre una proliferazione di contratti pirata firmati da organizzazioni sindacali che non rappresentano nessuno” ha proseguito Angelo Chiari. “Con l’imminente approvazione a rischio ci sono la trasparenza e la legalità. Si renderanno gli appalti più permeabili alle infiltrazioni criminali e mafiose, e si abbasserà anche il livello di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Non si finga – al prossimo infortunio – di indignarsi”.
“Tra le principali novità introdotte ci sono soprattutto interventi per scardinare il cosiddetto ‘contratto collettivo nazionale leader’, per aprire gli appalti pubblici a micro, piccole e medie imprese e permettere ‘ribassi’ mascherati, dato che le nuove norme erano di fatto più stringenti. Il decreto modifica i criteri di individuazione del contratto collettivo applicabile. Oggi è l’oggetto dell’appalto a determinarlo, ed è la stazione appaltante a indicare il contratto che l’impresa appaltatrice è tenuta a rispettare, o a sostituirlo con uno ‘equivalente’, purché sia sempre firmato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e garantisca le stesse tutele economiche e normative. Col nuovo decreto firmato dal ministro Salvini, invece, le stazioni appaltanti potranno scegliere il contratto basandosi sul codice Ateco delle imprese (che potrebbe pure non coincidere con l’oggetto dell’appalto), oppure considerando fattori come la dimensione aziendale e la ‘natura giuridica’ dell’impresa” aggiunge Chiari.
Tra le modifiche più discusse c’è poi la possibilità per le imprese di partecipare alle gare in consorzio, utilizzando i titoli di aziende “non esecutrici”, cioè soggetti che non prenderanno parte alla realizzazione dell’appalto. “Questo potrebbe favorire la formazione di cartelli, restringendo ancora una volta la concorrenza. Il nuovo decreto introduce tra l’altro una norma nuova di zecca che obbliga a destinare almeno il 20% dei subappalti a medie, piccole e micro-imprese”, prosegue il segretario, che poi conclude. “Gli appalti pubblici dovrebbero essere una leva per promuovere le migliori condizioni per i lavoratori, le massime tutela e sicurezza possibili, favorendo la qualificazione e la crescita delle imprese più serie e strutturate. Tutte le proposte di modifica del Codice vanno nella direzione opposta”.
“Le modifiche al Codice degli appalti minacciano i salari dei lavoratori, la sicurezza e la legalità nei cantieri, favorendo in maniera consistente il dumping contrattuale e il lavoro nero nella giunga di appalti e subappalti” ha aggiunto Marco Bonetti, segretario generale della Fillea-Cgil di Bergamo, la categoria di edilizia e costruzioni. “Introdurre criteri diversi da quelli ora vigenti danneggerà il ruolo di casse edili e scuole edili, presidi veri di legalità sul tutto il territorio nazionale. Si indeboliscono, infatti, i contenuti del Durc, il Documento Unico di Regolarità Contributiva, e la conseguente garanzia della congruità tra i costi per la realizzazione di un’opera e i costi della manodopera occupata. Questo produrrebbe un ulteriore aumento di lavoro irregolare a danno di lavoratori e anche delle imprese serie e dello Stato stesso che riceverebbe meno gettito fiscale. Colpire la bilateralità vuol dire anche trasformare il tema della formazione sulla sicurezza in un enorme business, senza alcun risultato concreto”.
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