È il Giubileo, siamo tutti più buoni

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Le inaugurazioni del Giubileo e di Caivano mentre l’opposizione elucubra. Il corsivo di Battista Falconi

L’espressione coniata da Alfredo Mantovano, “Metodo Giubileo”, è stata subito fatta sua da Giorgia Meloni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio l’aveva usata durante l’ultima cabina di regia per l’anno santo, a dire che Comune, Regione e Palazzo Chigi erano riusciti a lavorare assieme nonostante le diverse colorazioni partitiche, ispirati dall’apparentemente ovvia considerazione che un fallimento avrebbe nuociuto a tutti. Mantovano, con ironia rivolta soprattutto verso monsignor Rino Fisichella, ci ha aggiunto il termine “miracolo” che, anche questo, è stato prontamente fatto suo dalla presidente.

Ma Mantovano aveva sostanzialmente utilizzato il concetto già pochi giorni prima a Caivano, sempre per sottolineare la collaborazione tra le tante istituzioni coinvolte nel risanamento del territorio, tra le quali la Regione Campania di quel discolaccio di Vincenzo De Luca. Il presidente della Regione però, dato il volemose bene dell’occasione, ha contenuto i propri ardori sarcastici limitandosi a staffilare contro il giovane e zazzeruto sindaco di Bacoli un “non riesce proprio trovare la strada del barbiere”. Battutine da burbero benefico, degne di un film minore di Totò, distanti anni luce dallo “stronza” spedito contro Meloni e ritornato come un boomerang.

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Il francesista Carlo Nordio lo chiamerebbe “embrassons-nous”. A Natale siamo tutti più buoni, figuriamoci se c’è il Giubileo. E poi c’è la stanchezza, evidente in tutti: Meloni s’è persino ammalata, tra Atreju, Camere, Euco e Nord-Sud. Ma non è solo questo. C’è anche quello che in altri tempi abbiamo chiamato governo o politica “del fare”. E che tendenzialmente si butta a destra dove ci sono pressioni ideologiche meno vincolanti, ancorché si dica spesso il contrario. All’elettore conservatore e moderato, si sa, piacciono cose semplici: pagare poche tasse, vivere in un posto tutto “law and order”, almeno in apparenza, avere intorno non troppe facce straniere e che siano bene integrate, non imbottigliarsi nel traffico per colpa dell’ennesima manifestazione indetta di venerdì (Salvini vince facile contro Landini, potremmo dire).

La semplicità è un plus che la sinistra non può e non vuole cogliere, amando profondamente la complessità, oltre che l’ideologia. I progressisti sono ancora legati alla convinzione che la realtà si affronti col ragionamento, elaborando programmi, aprendo dibattiti, studiando, capendo, conoscendo, pensando. Elucubrando. Poi arrivano i monopattini, l’intelligenza artificiale, i telefoni cellulari, gli affitti brevi, il delivery e si capisce che il mondo va per conto suo, che cambia come e quando gli pare, o pare a qualcuno che inventa una cosa e ha una botta di fortuna. I progressisti la chiamerebbero serendipità, che fa più chic.

Ma torniamo a Mantovano, Meloni, Giubileo e Caivano. Che, nel frattempo, è diventata un altro modello: il governo la vuol applicare in altre sette aree urbane degradate, decisione presa al Consiglio dei ministri di ieri. Governo del fare qualcosa, risolvere un problema, inaugurare una piazza o un sistema di vigilanza con telecamere. Poco? Dall’altra parte, si continuano a tirare fuori, con un’ostinazione degna di miglior causa, le braccia alzate di qualche ragazzotto pelato o le interviste di Richard Gere. O a cavalcare il sedicente martire o personaggio mediatico del momento, come se gli influencer portassero voti e salvo lamentarsi del successo di Vannacci.

Si dice spesso che un’opposizione così lontana dalla politica, dal fare, dalla realtà vera e non elucubrata, è un’assicurazione sulla vita dell’esecutivo. Ma è anche il contrario, è un disincentivo a migliorare la qualità dell’azione governativa, cosa di cui ci sarebbe invece bisogno. Vedi hotspot in Albania dove sarebbe servito un confronto bipartisan, visto che il format interessa governi tanto di destra che di sinistra e dove qualche ritardo e qualche problema c’è. Soprattutto ma non solo per colpa dell’opposizione giudiziaria, della quale comunque si sarebbe dovuto tener conto, tanto era prevedibile.

L’evidentissimo tentativo della magistratura di sottrarsi a qualunque forma di controllo da parte del potere politico, a proposito, è un vulnus pericolosissimo per i delicati equilibri istituzionali di una democrazia parlamentare. Opporsi a leggi, anziché applicarle, è l’anticamera di nefaste derive che già conosciamo e che conosce bene anche la sinistra, viste le recenti assoluzioni di propri esponenti indagati nel corso dell’azione politica e finiti per anni nel tritatutto mediatico-giudiziario. Ma l’elucubrante sinistra usa proprio media e giudici come stampelle, non sapendo camminare sull’opposizione nel merito.



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